Giustizia minorile: punire o recuperare? L’appello disperato degli esperti

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  • Neuroscienze: corteccia prefrontale matura non prima dei 20 anni.
  • D.P.R. 448/1988: cardine rieducazione, non solo sanzioni.
  • Sotto i 14 anni non penalmente responsabili, valutazione caso per caso fino 18.
  • Tribunale minorenni competente fino ai 25 anni se reato commesso prima.

In data odierna, 05/08/2025 alle ore 18:09, ritorna sotto i riflettori il confronto sulla giustizia minorile a causa di una proposta normativa mirante ad assimilare le sanzioni per i minorenni autori di delitti gravi a quelle destinate agli adulti. Questa iniziativa nasce indubbiamente dall’ansia crescente per l’impennata dei crimini effettuati dai giovani; tuttavia essa solleva questioni sostanziali sull’efficacia di un modello esclusivamente punitivo e sulle complesse implicazioni neuroscientifiche legate a tale parità.

Lo Sviluppo Cerebrale e la Responsabilità Penale

Negli ultimi tempi l’ambito delle neuroscienze ha reso accessibile una comprensione dettagliata dello sviluppo cerebrale durante l’adolescenza. Attraverso studi di grande rigore pubblicati su riviste di alta reputazione come Nature, si fa evidente che la corteccia prefrontale—a capo delle funzioni esecutive quali il controllo degli impulsi e la pianificazione—non conclude il proprio processo di maturazione nemmeno alla soglia dei vent’anni. Il fenomeno della mielinizzazione riguardante questa specifica area dorsolaterale del cervello culmina intorno ai 25 anni; tuttavia, le interazioni fra quest’area orbitofrontale e altre aree limbiche continuano a evolversi fino anche ai 32 anni.

Questo fatto suggerisce che un giovane possa avere chiaro ciò che costituisce bene o male senza però avere raggiunto ancora quel grado di saggezza tipico dell’adulto nell’apprezzamento delle ripercussioni delle sue azioni oppure nell’opposizione alle influenze esterne e nella gestione degli impulsi stessi. Si sottolinea con incisività nel lavoro svolto da Somerville, Casey e Caudle nel 2011 quanto i giovani siano portatori d’impulsività elevata ed inclini a condotte rischiose specialmente quando sono coinvolti in esperienze altamente emotive. Una ricerca approfondita condotta da Zelazo e Carlson su più di 10.000 partecipanti ha evidenziato che le abilità esecutive, includendo elementi come la memoria operativa, il controllo degli impulsi e la capacità di adattamento del pensiero, continuano a progredire fino ai 18-20 anni.

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  • Finalmente un articolo che mette in luce l'importanza del recupero... 👍...
  • Equiparare le pene? Un errore madornale che pagheremo caro... 😡...
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La Filosofia della Giustizia Minorile

La legislazione italiana riguardante il sistema della giustizia minorile trova le sue basi nel D. P. R. 448 del 1988, improntata su un principio cardine: quello della rieducazione. Non si tratta semplicemente di infliggere sanzioni severe ai giovani trasgressori; piuttosto si intende fornire l’opportunità affinché possano mutare le proprie azioni negative e riconquistarsi un posto all’interno della comunità evitando ulteriori infrazioni. Secondo quanto stabilito dalla normativa vigente, non possono essere considerati penalmente responsabili coloro che hanno meno di 14 anni, mentre per gli adolescenti che si collocano nella fascia d’età fra i 14 e i 18 anni, ciascun caso viene esaminato singolarmente tenendo conto della loro facoltà decisionale al momento dei fatti contestati.

La gestione dei casi avviene presso il Tribunale per i Minorenni; questo ente giudiziario è formato da magistrati insieme a professionisti specializzati nei settori psicologico e sociale ed esercita autorità sui casi relativi ai minori fino al compimento dei 25 anni, qualora gli atti criminosi siano stati perpetrati durante l’età infantile o adolescenziale. Il procedimento relativo alla giustizia minorile include molteplici tutele indispensabili come, ad esempio, l’adozione prevalente di misure sostitutive alla detenzione tradizionale, oltre alla salvaguardia dell’anonimato degli accusati più giovani e a una graduale diminuzione delle pene rispetto alle sanzioni applicate agli adulti in situazioni analoghe. La detenzione viene percepita come un’opzione estrema; in situazioni legate a reati che non rivestono particolare gravità, si ha la possibilità di archiviare il procedimento. Questa scelta è motivata dal desiderio di preservare l’integrità dello sviluppo dei giovani coinvolti.

I Rischi di un Approccio Punitivo Indifferenziato

Equiparare le pene per i minorenni a quelle degli adulti, come proposto, significherebbe rinnegare i principi fondamentali della giustizia minorile e ignorare le evidenze scientifiche sullo sviluppo cerebrale. Si tratterebbe di un approccio semplicistico e controproducente, che rischia di compromettere i percorsi rieducativi e di aumentare il rischio di recidiva. Etichettare un sedicenne come “criminale adulto” significa imporgli un’identità dalla quale difficilmente potrà liberarsi, soprattutto in un contesto carcerario che spesso si rivela più efficace nel confermare la condanna sociale che nell’evitarla.

Le misure alternative alla detenzione, la possibilità di personalizzare i percorsi educativi e il margine di mediazione dei magistrati verrebbero spazzati via, lasciando spazio a una logica punitiva rigida e impersonale. La paura, pur legittima, di fronte alla criminalità minorile non può giustificare scelte che rischiano di aggravare il problema, anziché risolverlo. Le radici del disagio giovanile vanno affrontate con politiche sociali mirate, con interventi educativi precoci e con un sistema di giustizia che sappia coniugare la fermezza con la capacità di recupero.

Oltre la Punizione: Investire nella Rieducazione

È imprescindibile afferrare come la giustizia rivolta ai minori non debba essere vista come una porta aperta all’impunità; al contrario, rappresenta una forma incisiva d’investimento nel domani sociale. Percorsi rieducativi mirati ed efficaci possono decisamente ridurre il tasso di recidiva dei giovani delinquenti, aumentandone contestualmente le chance d’integrazione sociale. Trattando questi individui immaturi alla stregua degli adulti, si perde quest’opportunità preziosa; si profila così per loro uno scenario oscuro fatto di esclusione sociale e illegalità.

L’effettiva sfida consiste nel convertire l’angoscia collettiva in politiche avvedute, capaci d’affrontare i fondamenti stessi del disagio adolescenziale, garantendo ai giovani effettive occasioni di riscatto. Ciò presuppone sforzi concertati tra istituzioni pubbliche, famiglie unite nell’intento educativo, scuole impegnate nella crescita personale dei ragazzi al fine ultimo d’intessere una realtà sana dove tutti possano progredire senza dover subire gli effetti deleteri della violenza o dell’illegalismo. Dunque, amici miei, prendiamo qualche istante per meditare su quanto esposto: la psicologia cognitiva mette in luce come quelli siano proprio i meccanismi mentali alla base delle nostre scelte siano pertanto plasmati dal processo evolutivo cerebrale stesso. Un adolescente non ha la stessa capacità di un adulto di valutare le conseguenze delle proprie azioni.

E ora, una nozione più avanzata: il concetto di “plasticità cerebrale” ci dice che il cervello è in grado di modificarsi e adattarsi nel tempo, soprattutto durante l’adolescenza. Questo significa che un intervento rieducativo può avere un impatto significativo sul futuro di un giovane, aiutandolo a sviluppare le competenze necessarie per una vita positiva e produttiva.
Non è forse meglio investire in un futuro di speranza piuttosto che in un presente di sola punizione?


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