TikTok therapy: La salute mentale è davvero a portata di swipe?

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  • Il 72% degli adolescenti nota più contenuti sulla salute mentale online.
  • L'87% degli adolescenti si imbatte in temi di salute mentale sui social.
  • Il 36% considera di vedere un professionista dopo aver visto contenuti online.
  • Oltre il 50% dei video #mentalhealthtips contiene info errate.
  • «Il modello di business di TikTok espone i giovani a seri rischi».

L’ascesa della “TikTok therapy” e il fenomeno #mentalhealth

Il progresso dell’era digitale ha comportato una metamorfosi radicale nelle modalità attraverso le quali le informazioni vengono condivise e assimilate; ciò è particolarmente evidente per quanto concerne la salute mentale delle nuove generazioni. Le piattaforme social come TikTok e Instagram si sono trasformate in spazi digitali dedicati al dibattito aperto sul benessere psicologico: gli hashtag inclusivi quali #mentalhealth hanno raggiunto cifre strabilianti nei loro volumi d’interazione – parliamo di decine di miliardi su TikTok accompagnati da milioni d’inserzioni su Instagram. Questa tendenza risulta amplificata dalla recente crisi sanitaria globale che ne ha acuito gli effetti psicosociali: ciò si traduce non solo in una diffusione della conoscenza, ma anche nel progressivo abbattimento del pregiudizio verso i disturbi mentali così come per la terapia psicologica stessa. Un’indagine realizzata su oltre 3.300 adolescenti mostra risultati sorprendenti: ben il 72% afferma d’aver notato una maggior presenza del tema rispetto ai precedenti due anni; l’87%, invece, riferisce d’essersi imbattuto in tali tematiche sui social network. Impressionante è anche il dato secondo cui il 36% degli intervistati considera seriamente la possibilità d’incontrare un professionista dopo aver visionato simili contenuti online. Questo suggerisce un legame diretto tra la popolarità del tema sui social e la crescente domanda di aiuto professionale.

Tuttavia, l’incremento della visibilità non è privo di insidie. La natura rapida e spesso superficiale dei contenuti sui social media, privilegiando format brevi e accattivanti, rischia di semplificare eccessivamente concetti complessi legati alla salute mentale. Se da un lato la condivisione di esperienze personali può creare un senso di comunità e supporto, dall’altro apre la porta alla disinformazione e all’autodiagnosi. Il proliferare dei cosiddetti “Tik Tok” o “Instagram therapists” non sempre corrisponde a professionisti qualificati, e anche quando lo sono, il mezzo stesso impone limitazioni sulla profondità e l’accuratezza delle informazioni trasmesse.

La tendenza a romanticizzare la sofferenza psichica o a etichettarla come una tendenza “cool” è un altro aspetto preoccupante che emerge da questa sovraesposizione mediatica. La salute mentale rischia così di trasformarsi in un trending topic, un argomento da trattare con leggerezza o addirittura da sfruttare per ottenere visibilità, come suggerito dalla creator Aurora Ramazzotti, che ha notato come parlare di salute mentale possa talvolta diventare una scorciatoia per aumentare follower e visualizzazioni.

La facilità con cui determinate narrazioni si diffondono, anche quelle non corrette, è amplificata dai meccanismi algoritmici che personalizzano i feed degli utenti, creando camere d’eco dove determinate informazioni vengono continuamente riproposte, rafforzando convinzioni preesistenti, anche se errate. La “TikTok therapy”, intesa come l’accesso a consigli e (presunte) diagnosi tramite la piattaforma, evidenzia la necessità di un approccio critico e informato da parte degli utenti. La psicoterapia online, sebbene resasi più accessibile durante la pandemia e accolta da un numero crescente di persone, rimane uno strumento complesso che richiede l’interazione con professionisti qualificati, non sostituibile da video di pochi secondi o da consigli generici.

Rapporto Amnesty International: La ricerca dimostra che il modello di business di TikTok espone i giovani a seri rischi per la salute mentale, con il feed personalizzato che spesso propone contenuti dannosi. I dati mostrano che dopo ore di permanenza su TikTok, quasi la metà dei video visualizzati riguardano la salute mentale, molti dei quali romanticizzano comportamenti autolesionisti.Leggi di più

Studio del Guardian: Oltre il 50% dei video su TikTok con hashtag #mentalhealthtips contenevano informazioni errate o fuorvianti. Gli esperti hanno sottolineato come molti influencer utilizzino un linguaggio terapeutico improprio e offrano soluzioni non scientifiche con potenziali rischi per la salute.Scopri di più

Consigli per l’uso critico di TikTok:
– Usate TikTok come punto di partenza, non come strumento diagnostico. Si raccomanda vivamente di controllare meticolosamente le fonti informative, così come la storia professionale dei creatori di contenuti. È opportuno dare priorità alle informazioni che provengono da fonti mediche ufficialmente riconosciute.

Il fenomeno della banalizzazione del processo terapeutico appare problematico; esso è spesso visto come un semplice impegno da aggiungere alla lista delle attività settimanali, simile a una visita in palestra. Questa concezione rischia di travisare profondamente l’effettivo significato e la complessità intrinseca dell’esperienza terapeutica.

Psicologia cognitiva e vulnerabilità alla disinformazione

La psicologia cognitiva offre preziose chiavi di lettura per comprendere perché gli individui sono così suscettibili alla disinformazione, specialmente in contesti digitali come TikTok, dove la rapidità e la quantità di contenuti sono soverchianti. Un concetto fondamentale in questo ambito è la “avarizia cognitiva”, che descrive la tendenza umana a conservare le risorse mentali, preferendo scorciatoie e semplificazioni nel processo decisionale e nella valutazione delle informazioni.

In un ambiente saturo di stimoli come TikTok, dove l’attenzione è costantemente sollecitata, questa inclinazione naturale ci rende più vulnerabili ad accettare informazioni superficiali o non verificate, piuttosto che impegnare sforzi cognitivi per un’analisi critica approfondita. La disinformazione in ambito sanitario, inclusa la salute mentale, può sfruttare questi “bias” cognitivi.

Ad esempio, l’euristica della disponibilità porta a sovrastimare la probabilità di eventi che vengono facilmente richiamati alla mente. Se un utente è costantemente esposto a video che descrivono sintomi specifici di un disturbo mentale in modo semplicistico e accattivante, potrebbe essere portato a credere di manifestare quel disturbo, anche in assenza di una diagnosi clinica. Allo stesso modo, il bias di conferma spinge gli individui a cercare e interpretare informazioni che confermano le loro convinzioni preesistenti, ignorando o sminuendo quelle che le contraddicono.

Avarizia cognitiva
Descrive la tendenza umana a minimizzare gli sforzi cognitivi, ciò porta a preferire informazioni semplici e di facile consumo rispetto ad approfondimenti più complessi.

La psicologia della disinformazione non riguarda solo una mancanza di attenzione o un deficit di conoscenza; piuttosto, è profondamente radicata nei meccanismi con cui elaboriamo le informazioni a livello cognitivo. Le fake news, specialmente in ambito medico e sanitario, sono spesso costruite per attivare risposte emotive, come paura o speranza, che possono bypassare i processi di ragionamento logico. Notizie allarmanti su presunti effetti collaterali di farmaci psicotropi, come quelle citate riguardo all’aumento di peso mostrato su TikTok, possono indurre timore e reticenza nel cercare un trattamento adeguato, anche quando scientificamente provato.
Il contesto sociale in cui le informazioni vengono ricevute gioca anch’esso un ruolo cruciale. La diffusione virale di certi contenuti su TikTok crea una sorta di “validazione sociale”: se un video è popolare e condiviso da molti, tende a essere percepito come più credibile, indipendentemente dalla sua accuratezza. Questo è particolarmente vero per gli adolescenti, per i quali l’opinione dei pari e la validazione all’interno della comunità online hanno un peso significativo. La piattaforma può anche creare un senso di appartenenza per coloro che si auto-identificano con determinati disturbi, trasformando la sofferenza in un’identità sociale e romantizzando condizioni complesse. Questo bisogno di appartenenza, sebbene legittimo, può distogliere dalla ricerca di un aiuto professionale qualificato, privilegiando l’adesione a una narrazione online.

Contrastare efficacemente la disinformazione sulla salute mentale su TikTok richiede un approccio che tenga conto di questi meccanismi cognitivi e sociali. Non basta semplicemente rimuovere i contenuti falsi; è essenziale promuovere l’educazione al pensiero critico e sviluppare una maggiore “alfabetizzazione mediatica” tra gli utenti, in particolare i giovani. Ciò implica insegnare a distinguere le fonti affidabili da quelle non attendibili, a riconoscere i segnali di allarme della disinformazione e a non basare decisioni importanti sulla salute su informazioni reperite casualmente online. La “inoculazione psicologica”, un metodo che prepara le persone a resistere alla disinformazione esponendole preventivamente a versioni indebolite di argomenti falsi e fornendo loro i mezzi per confutarli, potrebbe essere una strategia promettente in questo senso.

Casi studio e l’impatto sui giovani

Diversi studi e report evidenziano l’entità del problema della disinformazione sulla salute mentale sui social media, con TikTok in prima linea. Un’indagine recente ha mostrato che più della metà dei video di tendenza pubblicati su TikTok con hashtag #mentalhealthtips conteneva informazioni errate o fuorvianti. In particolare, l’inchiesta del The Guardian ha rivelato che oltre la metà dei video più visti presentava imprecisioni o semplificazioni dannose. I consigli spaziavano da rimedi non provati, come il consumo di zafferano o glicinato di magnesio per alleviare l’ansia, a banalizzazioni di condizioni complesse come il disturbo da stress post-traumatico (PTSD), presentato come facilmente comprensibile e gestibile attraverso strategie superficiali.

Tipologia di contenuto Percentuale di contenuti errati
Video su ansia 54%
Video su depressione 59%
Video su autolesionismo 47%

Attenzione! La progettazione intrinseca di TikTok facilita l’interazione attraverso video concisi e avvincenti; tuttavia, questa caratteristica ostacola gravemente la trasmissione delle sfumature relative alle problematiche mediche e psicologiche. Tale situazione può provocare interpretazioni erronee circa i vari disturbi ed è ancor più allarmante poiché favorisce fenomeni d’autodiagnosi.

Un numero crescente di giovani fruitori della piattaforma, attratti dalla sua immediata accessibilità e anonimato garantito dai social media, si cimenta nell’identificazione dei propri segnali clinici o in quelli delle loro conoscenze attraverso materiali reperiti online. Secondo quanto riportato in uno studio recente, sta diventando consueto per gli adolescenti procedere a autodiagnosticarsi patologie basandosi sulle notizie condivise su TikTok. Nonostante ciò che offre potrebbe rappresentare un primo passo utile nella navigazione degli argomenti inerenti alla salute mentale—allo stesso tempo alleggerendo il pesante fardello dell’isolamento—è fondamentale sottolineare che non potrà mai sostituire l’assistenza esperta fornita da professionisti del settore.

Le conseguenze derivanti dalla disinformazione assumono toni particolarmente gravi quando interessano fasce giovanili o individui già fragili: questa fase dello sviluppo umano è caratterizzata da una suscettibilità maggiore nei confronti delle informazioni esterne ed evidenzia una cognizione critica frequentemente incompleta; pertanto, risulta inevitabile rendere questi individui facili prede per racconti falsati o banalizzati riguardo ai problemi psichici. Le esperienze negative o traumatiche condivise online, se non contestualizzate da fonti affidabili, possono generare ansia e timore. Allo stesso tempo, la presentazione distorta delle cure, come ad esempio la demonizzazione di farmaci necessari o la promozione di soluzioni rapide non scientificamente validate, può portare all’abbandono di percorsi terapeutici efficaci o al ricorso a pratiche dannose.

La Wilderness Therapy, menzionata in alcuni dei materiali, offre un esempio di come narrazioni online (in questo caso, anche tramite TikTok) possano portare alla luce esperienze controverse, ma allo stesso tempo richiedere un’attenta valutazione per distinguere tra testimonianze individuali e una comprensione complessiva delle pratiche. Sebbene TikTok possa dare voce a chi ha vissuto esperienze negative, è fondamentale che queste vengano esaminate nel contesto più ampio delle evidenze scientifiche e delle linee guida professionali.

Conclusione degli esperti: I professionisti della salute mentale devono essere consapevoli dell’impatto dei social media e considerare come utilizzarli in modo etico ed efficace per la divulgazione, distinguendo chiaramente la divulgazione generale dalla consulenza clinica individuale.

Strumenti di contrasto e una riflessione personale

Affrontando la problematica della disinformazione riguardante la salute mentale, possiamo constatare come essa sia amplificata dalla diffusione massiccia dei social network come TikTok; questo scenario sollecita lo sviluppo di strategie adeguate volte a tutelarsi e a salvaguardare in particolare le nuove generazioni. Fondamentale in questa direzione è il potenziamento dell’alfabetizzazione mediatica e digitale; una competenza che trascende la mera capacità d’uso degli strumenti tecnologici per abbracciare un’acuta analisi critica dei contenuti proposti, l’individuazione delle fonti veritiere e il riconoscimento dei campanelli d’allarme associati alla disinformazione. In tale contesto, l’implementazione di programmi scolastici educativi combinati con campagne informative pubbliche si rivela indispensabile. Questi elementi serviranno a dotare i più giovani degli strumenti cognitivi essenziali affinché possano orientarsi con sicurezza all’interno del vasto – talora tumultuoso – mare delle informazioni digitali. La questione non consiste nell’escludere i social media dal discorso pubblico: questi possono essere preziosi spazi di interconnessione sociale; piuttosto occorre impararne un uso consapevole ed etico.

Dal punto di vista della psicologia cognitiva, l’allenamento al pensiero critico rappresenta un aspetto essenziale. Coltivare la capacità di mettere in discussione le informazioni, di cercare conferme da fonti multiple e diversificate, e di essere consapevoli dei propri bias cognitivi può rendere gli individui meno suscettibili alla manipolazione e all’accettazione passiva di contenuti non verificati. La promozione dell’immunità mentale, attraverso l’esposizione controllata a forme attenuate di disinformazione e la successiva confutazione, è un approccio promettente per “vaccinare” le menti contro l’inganno.

È fondamentale anche che i professionisti della salute mentale si impegnino attivamente nel dibattito online, offrendo contenuti basati sull’evidenza e promuovendo un’immagine realistica e non banalizzata della psicoterapia. Le linee guida per l’utilizzo dei social media da parte dei professionisti rappresentano un passo importante in questa direzione. Distinguere chiaramente la divulgazione di informazioni generali dalla consulenza clinica individuale è un imperativo etico e pratico per evitare di generare false aspettative o fuorviare chi cerca aiuto.

La psicologia cognitiva ci insegna che la nostra mente tende a semplificare per gestire la complessità del mondo, una strategia che, se non bilanciata dalla consapevolezza e dal pensiero critico, può renderci facili prede della disinformazione.

Approfondendo, una nozione più avanzata della psicologia cognitiva, il “framing” o incorniciamento, spiega come il modo in cui un’informazione viene presentata (l’inquadratura, il contesto, le parole utilizzate) possa influenzare profondamente la nostra percezione e la decisione che ne deriva, indipendentemente dal contenuto oggettivo. La disinformazione sui social media è spesso sapientemente “incorniciata” per appellarsi alle nostre emozioni o bias, rendendola più persuasiva di un fatto scientificamente provato ma presentato in modo arido. Riflettere su questi aspetti ci invita a una maggiore umiltà e a una costante vigilanza. In un mondo dove l’informazione è onnipresente ma la verità è spesso sfuggente, la nostra mente è il primo, e forse l’unico, vero filtro. Dedicarci alla nostra formazione personale, potenziare la nostra abilità di analisi critica e curare il nostro sano equilibrio psicologico, avvalendoci dell’assistenza professionale laddove se ne presenti l’occasione, trascende il mero interesse individuale; rappresenta infatti un contributo cruciale per forgiare una comunità più colta, forte e piena di empatia.


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