- Il neuromarketing, nato circa 20 anni fa, studia le motivazioni inconsce all'acquisto.
- L'affidabilità delle previsioni comportamentali raggiunge circa l'80% con tecniche come la fMRI.
- La sensazione di possesso aumenta il valore percepito di un oggetto.
Neuroscienze e marketing: tra possibilità e interrogativi etici
Nel panorama odierno, l’interazione tra neuroscienze e marketing è diventata un terreno fertile per l’innovazione, ma anche per accesi dibattiti, specie con l’ipot<a class="crl" href="https://www.respira.re/psicologia-cognitiva/attenzione-il-neuromarketing-manipola-le-nostre-scelte/”>etica introduzione di prodotti come la scarpa “Mind” di Nike. Sebbene al momento non esistano notizie concrete o rumors diffusi riguardo l’esistenza effettiva di una scarpa Nike denominata “Mind” che sfrutti direttamente le neuroscienze per manipolare il consumatore, il dibattito è acceso. La ricerca online sulla combinazione “Nike neuroscienze marketing ‘Mind'” non ha prodotto risultati specifici su tale prodotto, suggerendo che si tratti, per ora, di una speculazione o di un’idea concettuale. Tuttavia, questo scenario fittizio offre lo spunto per affrontare un tema di grande attualità: l’applicazione delle neuroscienze al marketing, comunemente definita neuromarketing. Questa disciplina promettente, sebbene ancora nelle sue fasi iniziali, suscita un mix di entusiasmo per le sue potenzialità e preoccupazione per i suoi risvolti etici, in particolare per il rischio di manipolazione e la potenziale violazione della privacy dei consumatori.

Le metodologie impiegate spaziano dalle tecniche neurometriche, come la risonanza magnetica funzionale (fMRI) che misura l’attività cerebrale, alle tecniche biometriche che analizzano risposte corporee quali il battito cardiaco o la risposta galvanica della pelle. Queste indagini, seppur raffinate, sono ancora soggette a limiti di accuratezza e significatività statistica, rendendo la loro applicazione pratica una sfida costante.

Il neuromarketing è una sotto-disciplina della neuroeconomia, attirando l’attenzione anche da media internazionali riguardo alle sue implicazioni etiche. Le valutazioni sull’efficacia delle comunicazioni sono emerse grazie all’uso di tecniche di neuroimaging e necessitano di una visione critica per superare gli stereotipi esistenti e apportare un cambiamento positivo nel marketing stesso.
In Italia, lo sviluppo del neuromarketing è avvenuto con un certo ritardo rispetto ad altri paesi, come gli Stati Uniti, ma sta rapidamente guadagnando terreno. È fondamentale approcciarsi a questo campo con responsabilità e trasparenza, garantendo che i benefici offerti alle aziende e ai consumatori siano bilanciati dal rispetto della persona e dalla salvaguardia dell’esperienza di acquisto, migliorandola senza condizionarla indebitamente. La chiave risiede nel creare una comunicazione che rispetti il modo naturale in cui il cervello elabora le informazioni, offrendo percorsi decisionali chiari e cognitivamente sostenibili.
La psicologia dietro il neuromarketing: bias cognitivi e decisioni d’acquisto
Il neuromarketing si fonda su una premessa fondamentale, elaborata da figure di spicco come Daniel Kahneman, premio Nobel per l’Economia: la maggior parte delle decisioni umane, incluse quelle di acquisto, è guidata da impressioni, euristiche ed emozioni, piuttosto che da un’analisi logica e razionale dei fatti. Kahneman ha delineato due sistemi attraverso cui il cervello elabora le informazioni: il Sistema 1, rapido, intuitivo, emozionale e automatico, e il Sistema 2, analitico, lento, logico e deliberativo. Il neuromarketing interviene proprio sul Sistema 1, che governa la maggior parte delle scelte quotidiane, facendo leva sui cosiddetti bias cognitivi. Questi sono delle “scorciatoie mentali” che il cervello utilizza per risparmiare energia decisionale, permettendo di valutare alternative in pochi secondi. Comprendere questi bias è cruciale per progettare comunicazioni e strategie di marketing che siano efficaci e che rispettino le naturali dinamiche di elaborazione delle informazioni.

- Effetto Framing: La percezione di un’informazione può essere modificata in base al modo in cui viene presentata.
- Illusione di accessibilità: Presentare costi totali suddivisi in unità più piccole rende l’acquisto più percepito come abbordabile.
- Effetto esca: L’introduzione di un’opzione “esca” può influenzare la preferenza verso le opzioni più costose.
- Effetto IKEA: Il valore percepito aumenta quando il consumatore partecipa alla creazione del prodotto.
- Effetto Contrasto: La presentazione di articoli a prezzi diversi influenza la percezione del valore.
- Paradosso della scelta: Un eccesso di scelte può portare a indecisione.
- Bias di ancoraggio: Il primo numero visto funge da riferimento per le successive valutazioni.
- Effetto di proprietà (Endowment Effect): È risaputo che la sensazione di possesso tende a incrementare il valore percepito di un oggetto.
La fusione tra tali bias cognitivi non è orientata alla manipolazione delle persone; piuttosto punta a creare esperienze cognitive ottimali e a facilitare i processi decisionali. Attraverso un approccio meditato, il neuromarketing aspira a ridurre l’attrito cognitivo al fine di rendere le decisioni più fluide e spontanee, tenendo in considerazione i vincoli naturali della psicologia umana.
Etica nel neuromarketing: tra persuasione e manipolazione
Il dibattito sull’etica del neuromarketing è particolarmente acceso, data la sua capacità di “leggere” le risposte inconsce del cervello e del sistema nervoso. La disciplina, ancora agli albori, solleva legittime preoccupazioni riguardo alla possibilità di manipolare i consumatori. Tuttavia, un punto fondamentale che gli esperti tengono a sottolineare è che il “buy button” – il fantomatico interruttore cerebrale che spinga all’acquisto compulsivo – semplicemente non esiste. Le migliaia di articoli scientifici pubblicati ogni anno sul neuromarketing non hanno mai condotto alla scoperta di un meccanismo per accendere il desiderio di acquisto come si accende una lampadina, come spesso scherzosamente osservano gli addetti ai lavori.
Le tecniche utilizzate, come la fMRI o l’analisi delle risposte biometriche, sono strumenti scientifici che mirano a prevedere i comportamenti con un’affidabilità che si aggira intorno all’80%, non a indurli. Questo approccio è essenziale per una pratica responsabile. Roger Dooley, autore del bestseller “Brainfluence”, afferma che il neuromarketing non è concepito per forzare i consumatori a fare scelte che non vogliono, ma piuttosto per migliorare le strategie pubblicitarie e ridurre i costi associati a campagne inefficaci.
Verso un futuro consapevole: la neuroetica e il rispetto del consumatore
Il confine sottile tra persuasione etica e manipolazione è il nucleo del dibattito che circonda il neuromarketing. Comprendere il funzionamento del cervello umano non dovrebbe tradursi in una forzatura delle decisioni, ma piuttosto nella creazione di ambienti nei quali gli individui possano scegliere in modo più fluido, sereno e, soprattutto, in linea con i propri bisogni reali e la propria autentica volontà.
Non si tratta di “costringere” o “obbligare” all’acquisto, ma di perfezionare la comunicazione e l’offerta in modo che rispondano meglio alle aspettative e alle dinamiche cognitive individuali. In un’epoca in cui la conoscenza del cliente diventa sempre più granulare grazie all’intelligenza artificiale e ai metodi predittivi, la questione del consenso informato e della protezione della sfera psicologica individuale assume un’importanza capitale. È essenziale che la scienza, anche quando applicata al commercio, mantenga saldi i principi di integrità e rispetto della persona.
- Neuromarketing: Applicazione di tecniche neuroscientifiche per comprendere il comportamento di acquisto.
- fMRI: Risonanza magnetica funzionale, strumento per misurare l’attività cerebrale.
- Neuroetica: Studio delle implicazioni etiche relative alle neuroscienze.









