Neuroscienze e teatro: come l’empatia modella la cura del disagio psichico

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  • Le neuroscienze rivelano che l'empatia è influenzata da esperienze pregresse, con una correlazione diretta.
  • La ricerca sui topi ha identificato un meccanismo cerebrale cruciale per l'empatia: la corticotropina.
  • Il progetto “Verso Itaca” usa il teatro per la cura del disagio psichico con 17 attori.
  • I laboratori teatrali migliorano il benessere psicosociale e la qualità della vita.
  • I neuroni specchio convalidano scientificamente la connessione emotiva tra attore e spettatore. Oltre 160 mila citazioni.

L’eco del vissuto: neuroscienze e il motore dell’empatia

Nel vasto e intricato labirinto della mente umana, l’empatia emerge come una delle capacità più complesse e affascinanti, un ponte invisibile che connette le esperienze individuali e permette la risonanza emotiva con l’altro. Recenti scoperte nel campo delle neuroscienze stanno gettando nuova luce sui meccanismi cerebrali che sottostanno a questa abilità, in particolare su come il nostro vissuto personale plasmi la nostra reazione alle emozioni altrui. In un progresso significativo, pubblicato su Nature Neuroscience, un team di ricercatori guidato da Federica Maltese dell’Istituto di Neuroscienze del Consiglio Nazionale delle Ricerche e Francesco Papaleo dell’Istituto Italiano di Tecnologia e dell’IRCCS San Martino di Genova, ha identificato uno dei “motori” cruciali dell’empatia.

La ricerca, condotta sui topi, ha rivelato un meccanismo che si attiva specificamente quando un individuo osserva un evento negativo identico a uno già sperimentato in passato. Questa specificità della memoria emozionale, evidenziata dall’alto grado di precisione con cui i topi reagiscono solo a stimoli che replicano fedelmente le loro esperienze traumatiche precedenti, apre scenari promettenti per la comprensione delle alterazioni empatiche in diverse condizioni psichiatriche umane. Nell’ambito dei disturbi psicologici emergono chiaramente il disturbo da stress post-traumatico (PTSD), l’autismo, nonché la schizofrenia; condizioni caratterizzate dalla difficoltà nel processare e reagire adeguatamente ai sentimenti espressi dagli altri.

I ricercatori hanno condotto ulteriori indagini rivelando l’importanza della CORTICOTROPINA: una molecola cruciale insieme a determinati neuroni presenti nella corteccia cerebrale. Questi ultimi sono stati osservati mentre producono tale sostanza chimica, apparendo come se fossero depositari di memoria emotiva; dunque influenzano le risposte in circostanze social-emozionali in maniera significativa. Questa scoperta rappresenta un tassello importante poiché si associa a quanto già noto circa il coinvolgimento della corticotropina nelle reazioni allo stress stesso; suggerendo così legami intrinsecamente complessi tra lo stato emotivo dello stressore: privato della sua forza comunicativa attraverso modalità social-cognitive implicate nei vissuti empatici individuali dei pazienti affetti da simili patologie.

Un’analisi accurata delle dinamiche neurologiche risultanti diventa pertanto imprescindibile per discernere i meccanismi intrinsecamente connessi alle varie manifestazioni emozionali umane rispetto agli stati affettivi degli altri individui. Come sottolineato da Papaleo, questi studi, sebbene condotti su modelli animali, offrono informazioni preziose che possono essere traslate per migliorare la nostra conoscenza delle condizioni psichiatriche. L’interdipendenza tra esperienze passate e risposte empatiche è un fenomeno da tempo riconosciuto: la stessa situazione osservata in un’altra persona può evocare reazioni diametralmente opposte, dalla solidarietà e accresciuta sensibilità a un senso di fastidio, spingendo all’allontanamento piuttosto che all’aiuto. Queste dinamiche, comuni a molti, sono proprio quelle che risultano alterate in individui affetti da PTSD, autismo o schizofrenia, rendendo la ricerca un pilastro per future strategie terapeutiche.

Scoperte recenti sui meccanismi dell’empatia: L’empatia è influenzata da esperienze pregresse, con una correlazione diretta tra la risposta empatica e le esperienze emotive passate. Le neuroscienze hanno identificato un meccanismo cerebrale che media questa risposta, aprendo la strada a nuove terapie per condizioni psichiatriche.
Cervello Illuminato

Il teatro come specchio dell’anima: percorsi di cura e comprensione del sé

L’antica arte del teatro, con la sua capacità intrinseca di narrare storie e mettere in scena le profondità dell’esperienza umana, si rivela un terreno fertile per l’esplorazione e la cura del disagio psichico. L’Università Luigi Vanvitelli ha abbracciato questa prospettiva con il progetto “Verso Itaca”, un’iniziativa che pone la teatro-terapia al centro di un’innovativa ricerca sugli effetti a breve, medio e lungo termine di tale pratica su individui affetti da gravi disturbi psichici. Finanziata dalla Regione Campania, questa indagine pionieristica è un esempio lampante di come l’arte possa integrare e arricchire i trattamenti tradizionali, offrendo percorsi di recupero non invasivi e a basso rischio, come sostenuto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel suo rapporto del 2019 sulle evidenze che collegano arte e salute. Recenti studi mostrano che le terapie basate sul dramma possono migliorare significativamente la salute mentale, mostrando effetti positivi nelle relazioni interpersonali e nell’autoefficacia dei partecipanti [Frontiers in Psychology].

Lo spettacolo “Verso Itaca”, una riscrittura originale dell’Odissea, è interpretato da diciassette giovani attori con storie personali di disagio psichico. Guidati dalla regista Emanuela Zincone, questi “Ulisse della nostra epoca” affrontano un viaggio simbolico verso l’identità e la casa, rappresentando sul palco le proprie battaglie personali di allontanamento e ritorno, di consapevolezza acquisita attraverso esperienze positive e negative. L’Odissea, con i suoi temi di intelligenza, lealtà, coraggio e perseveranza, funge da metafora potente per il percorso di resilienza che questi attori stanno compiendo.

Progetto “Verso Itaca”: Attori con storie personali di disagio psichico partecipano a un’iniziativa terapeutica attraverso il teatro, migliorando le loro capacità relazionali e affrontando le proprie sfide interiori.
Spettacolo Teatrale

Il “Piccolo Teatro in Libertà” è solo una delle manifestazioni del Progetto Itaca Napoli, un’organizzazione di volontariato fondata undici anni fa, parte di una rete nazionale che opera da venticinque anni. La loro missione include la prevenzione e la cura del disagio psichico attraverso il modello di cura Clubhouse, un approccio basato su strutture diurne non medicalizzate che offrono gratuitamente attività formative, relazionali e di reinserimento socio-lavorativo a persone dai 18 ai 65 anni. Il successo del laboratorio teatrale e dello spettacolo stesso ha innescato una collaborazione solida con il Dipartimento di Salute Mentale dell’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”, con l’obiettivo di rendere questa esperienza un’opportunità duratura e strutturata, capace di generare valore umano e sociale nel tempo.

Recentemente, studi psichiatrici hanno evidenziato il ruolo significativo del teatro nella cura del disagio psichico, grazie alla sua dimensione corporea, relazionale e narrativa. Il laboratorio teatrale permette ai pazienti di esprimere emozioni e vissuti in forma simbolica, coinvolgendoli in un’esperienza di gruppo basata sulla cooperazione, la fiducia e l’empatia. L’assunzione di diversi ruoli, lo studio delle interazioni umane e la creazione condivisa di narrazioni si rivelano essere mezzi estremamente efficaci per affrontare traumi passati, accrescere la consapevolezza individuale e affinare le relazioni con il contesto sociale. Un recente studio ha evidenziato come i laboratori teatrali possano contribuire a miglioramenti significativi nel benessere psicosociale e nella qualità della vita, oltre a manifestarsi in una diminuzione marcata dei sintomi psichiatrici in varie fasce d’età. Questo porta a considerare l’arte non solo come forma espressiva ma anche come un potenziale strumento terapeutico dalle implicazioni profonde e durature. [APA PsycNet]. I fini previsti dal progetto di ricerca consistono nella misurazione degli effetti determinati dall’intervento di arte-terapia sul funzionamento psicosociale e sulla qualità della vita dei soggetti coinvolti. Inoltre, si intende esaminare l’incidenza sulla riduzione dei sintomi psichiatrici, sull’adozione di un minore stigma internalizzato e sulla persistenza dell’efficacia nel tempo. A tal fine, i dati saranno raccolti in tre momenti distintivi: antecedentemente all’inizio del laboratorio teatrale, durante le attività e al termine dello stesso; infine, sarà previsto un follow-up a sei mesi dalla conclusione delle attività.

Neuroni specchio e la “scienza dell’attore”: ponti tra neuroscienze e arte scenica

La scoperta dei neuroni specchio, avvenuta all’inizio degli anni ’90 da parte di un team di neuroscienziati dell’Università di Parma guidato da Giacomo Rizzolatti, ha segnato una svolta fondamentale nella comprensione di come gli esseri umani elaborano le azioni e le emozioni, non solo quando le esperiscono in prima persona ma anche quando osservano gli altri. Questi “interruttori” cerebrali, attivi sia durante l’esecuzione di un gesto sia nell’osservazione dello stesso, hanno spiegato l’empatia tra individui distinti e una miriade di altri fenomeni con una valenza neurologica e psico-sociale. Questa rivoluzionaria intuizione ha generato oltre 160 mila citazioni e ha trasformato il meccanismo “mirror” in un caposaldo per molteplici discipline, tra cui la psicologia, l’educazione e, in modo particolarmente suggestivo, il teatro.

Come sottolinea Peter Brook, con la scoperta dei neuroni specchio, le neuroscienze hanno iniziato a comprendere una verità da sempre nota ad attori e drammaturghi. Il legame tra azione credibile e “connessione” emotiva tra attore e spettatore è stato scientificamente convalidato: il pubblico si emoziona e lo spettacolo riscuote successo quando l’interprete riesce a immedesimarsi pienamente nel personaggio, e lo spettatore, grazie all’attivazione dei propri neuroni specchio, con lui. Un esempio lampante di questo fenomeno è stato osservato durante lo spettacolo “Macbettu” di Alessandro Serra, in cui il pubblico era talmente coinvolto da trattenere il fiato al semplice gesto di un attore che fingeva di scagliare un sasso.

Il regista e pedagogo ticinese Luca Spadaro ha esplorato queste profonde implicazioni nel suo manuale “L’attore specchio. Training attoriale e neuroscienze in 58 esercizi”, fornendo metodi innovativi di training per attori che mirano a indirizzare le loro azioni verso obiettivi specifici, rendendole così più credibili. Il teatro, nel suo regno del “qui e ora”, beneficia enormemente di questa comprensione. Spadaro, rifacendosi a maestri come Stanislawski e Eugenio Barba, il quale intuì che la scienza poteva “dare un nome alle scoperte dell’arte”, cerca di portare un’aritmetica riconoscibile in un’arte spesso definita “il regno del vago”. A differenza di musica o danza, dove parametri oggettivi misurano la performance, nel teatro la validità di un’interpretazione è più sfuggente. Ma la scienza può dare risposte chiare.

Funzione dei neuroni specchio: I neuroni specchio sono cruciali per l’elaborazione delle emozioni e l’immedesimazione, fungendo da ponte tra l’azione e la comprensione emotiva. Questi neuroni non solo attivano le stesse regioni del cervello durante l’osservazione e l’esecuzione, ma sono anche fondamentali per lo sviluppo dell’empatia. Recenti ricerche hanno dimostrato che i neuroni specchio svolgono un ruolo chiave nella capacità di comprendere le emozioni altrui, permettendo l’immedesimazione e il rafforzamento dei legami sociali [UCLA Health].

Il fulcro dell’indagine neuroscientifica applicata al teatro è l’intenzione che sottende l’azione. Spadaro propone esercizi che mostrano come un medesimo gesto, ad esempio scavare una fossa, cambi completamente il suo statuto emotivo e interpretativo a seconda che si scavi per fischiare, per realizzare un orto o per la propria tomba. Lo “stato fisico”, ovvero la posa che comunica uno stato emotivo autentico, è la cosa più delicata e interessante che possa avvenire in scena e costituisce la chiave per una performance che risuoni con il pubblico. Questa abilità, che l’attore deve allenare, si fonda sulla capacità di “credere” nel personaggio, di abbracciare quella “compresenza di due realtà” che trasforma la finzione scenica in una verità emotiva per lo spettatore.

Il dibattito sull’autenticità delle emozioni provocate dall’arte è risuonato anche nelle parole di Vittorio Gallese al Festival dei due mondi di Spoleto, il quale ha sottolineato che le emozioni e le lacrime generate dall’esperienza estetica sono “genuine”. L’esperienza estetica, che non è mediata solo dalla parte cognitiva e linguistica della mente ma include un ineludibile coinvolgimento empatico, attiva aree cerebrali tattili e motorie, oltre a quelle visive. Questo processo, definito “simulazione incarnata”, è alla base del coinvolgimento estetico e dimostra come la visione non sia solo un’attivazione della parte visiva del cervello, ma un fenomeno sinestetico e multimodale che integra componenti emotive, tattili e motorie. L’immobilità del fruitore, spesso seduto o in piedi di fronte a un’opera d’arte, potenzia questi meccanismi, mettendoli al servizio di un’esperienza particolare e profonda, dove anche “ciò che non è fisico può essere reale”.

Il “Sé” nell’intreccio digitale e terapeutico: un nuovo umanesimo

In un’epoca in cui la digitalizzazione sta ridefinendo ogni aspetto della nostra esistenza, trasformando non solo il mondo fisico ma anche l’architettura delle relazioni umane e persino la nostra identità, le neuroscienze, il teatro e la psicologia convergono nell’esplorare un nuovo umanesimo. Il concetto di “Sé” e di “Noi” si intersecano in una trama complessa, come evidenziato nel libro di Morelli e Gallese, “Paradossale l’Io senza Noi”. Questa intuizione, che sottolinea l’indissolubilità dell’individuo dal suo contesto relazionale, trova una risonanza profonda nelle recenti scoperte scientifiche e nelle pratiche terapeutiche innovative.

Il neuroscienziato Vittorio Gallese ha posto l’accento sulla percezione che “il mondo fisico non ci basta”. L’essere umano è ossessionato dal creare e raccontare storie, manifestando espressioni artistiche fin dalle più remote testimonianze storiche. L’arte, in tutte le sue forme – dal teatro performativo alle arti visive, dalla letteratura alla partecipazione culturale – non è un mero ornamento dell’esistenza, bensì un veicolo essenziale per la conoscenza del mondo attraverso la “sensibilità corporea”. Questo aisthesis non si limita all’osservazione passiva ma si traduce in un’attivazione sinestetica e multimodale del cervello, che integra componenti emotive, tattili e motorie. Quando osserviamo un’opera d’arte, simuliamo il gesto che l’ha prodotta, attivando processi di “simulazione incarnata” che sono alla base del coinvolgimento estetico e, di conseguenza, dell’empatia.

Nel contesto della salute mentale, questo approccio si rivela rivoluzionario. La psichiatra Samah Jabr, operante in contesti di trauma coloniale come Gaza, descrive una sofferenza psichica che, seppur esprimendosi attraverso sintomi individuali, non può essere trattata solo a livello della singola persona. Il trauma in Palestina, reiterato, costante e subdolo, si stratifica e si trasmette come un’eredità. In queste situazioni, i farmaci o la psicoterapia individuale non sono sufficienti. Jabr propone un approccio centrato sulla “psicologia di comunità”, in cui l’intervento non si limita alla clinica ma si estende alla ricostituzione di un tessuto sociale smagliato. La sua “terapia” non è solo la prescrizione di farmaci, ma l’orientamento verso un “buon uso della ribellione”, trasformando l’impotenza in azione, la passività in sumud palestinese – un misto di tenacia, resistenza non passiva e iniziativa. Questo è un lavoro eminentemente politico, dove la solidarietà internazionale assume un potere curativo reciproco, arricchendo sia chi la dà sia chi la riceve, e aiutando a sciogliere la morsa del trauma, che è una “malattia dello spirito”.

L’OMS, con la sua “revisione fino ad oggi più completa sulle evidenze tra arti e salute”, ha evidenziato come gli interventi artistici – dalla musica alla danza, dal teatro alla fotografia – possano influenzare profondamente i determinanti sociali della salute, sostenere lo sviluppo del bambino, incoraggiare comportamenti di promozione della salute e prevenire malattie. Queste attività non solo riducono lo stress e regolano le emozioni, ma stimolano anche la cognizione, riducendo il rischio di demenze e altri disturbi mentali. L’interazione sociale durante la partecipazione alle arti può mitigare solitudine ed isolamento, migliorando il capitale sociale e riducendo la discriminazione associata alla malattia mentale. Ciò include la gestione di disturbi mentali gravi, la cura di condizioni acute, il supporto a patologie neurologiche e la gestione di malattie non trasmissibili. La “visione” che ne emerge è quella di una cura che va oltre il corpo fisico per abbracciare l’intera esperienza umana, intesa come un complesso poliedro di fattori emotivi, cognitivi, sociali e persino spirituali. Promuovere la consapevolezza pubblica dei benefici dell’arte, includere le arti nella formazione degli operatori sanitari e investire in ricerca sono tutti passi fondamentali per configurare un panorama terapeutico più sensibile e non invasivo, in cui il benessere psichico è al centro delle dinamiche sociali.

È proprio qui, nell’intersezione tra l’antica saggezza dell’arte e le rivelazioni delle neuroscienze, che si delinea un nuovo umanesimo. Un umanesimo che riconosce la dimensione estetica come parte integrante della nostra realtà, anche quando mediata dal digitale. Se l’arte può dare un nome alle nostre scoperte scientifiche, come intuito da Barba, allora la scienza può dare una direzione, quasi una grammatica, per un’arte che cura. “Guardare, ascoltare, rispettare la complessità, non stancarsi di raccontare, essere umili, affidarsi alla sapienza di chi soffre, non aspettare le grandi soluzioni”: queste le parole di Samah Jabr, un manifesto di un approccio che valorizza l’empatia e la solidarietà come principi fondamentali della vita. In questo scambio fecondo tra discipline, impariamo che l’individuo si ricompone nel “Noi”, nella narrazione condivisa, nella simulazione incarnata delle esperienze altrui, e nella tenacia creativa di un’esistenza che si fa arte di vivere. Il nostro stesso “Sé” si espande, si trasforma, e trova nuove forme di espressione e di resilienza in un mondo che, pur digitale, non smette di essere profondamente umano.

Nel viaggio incessante alla scoperta di noi stessi, l’incontro tra neuroscienze e teatro ci offre una prospettiva sorprendente sulla nostra interiorità. Immagina di sederti in platea, le luci si abbassano e, sul palco, una storia si svela. Non stai solo guardando; i tuoi neuroni specchio, quelle cellule meravigliose nel tuo cervello, si accendono, riproducendo silenziosamente le azioni e le emozioni che vedi. È come se tu stesso stessi provando la gioia, la tristezza o la sorpresa del personaggio. Questa è una nozione fondamentale della psicologia cognitiva: l’osservazione agisce come una simulazione interna, un “fare come se” che ci permette di comprendere e connetterci con l’altro. È un meccanismo che usiamo ogni giorno senza accorgercene, per capire un sorriso, per reagire a un gesto di dolore.

Andando oltre, la psicologia comportamentale ci insegna che l’immedesimazione profonda, quella che il teatro sa suscitare, può avere effetti terapeutici duraturi. Quando ci troviamo di fronte a personaggi che affrontano traumi o superano difficoltà, i nostri neuroni specchio non solo riflettono, ma innescano un processo di rielaborazione emotiva. È come se il nostro cervello, in un ambiente protetto e narrativo, provasse a “riscrivere” o “riordinare” le proprie esperienze dolorose. Questo processo, chiamato re-scripting o re-processing, è una tecnica avanzata utilizzata, ad esempio, nella terapia cognitivo-comportamentale per il trattamento del disturbo da stress post-traumatico. Il teatro, quindi, non è solo evasione o intrattenimento, ma una palestra emotiva dove possiamo esplorare la vulnerabilità umana e, attraverso la finzione scenica, trovare nuove risorse per affrontare i nostri traumi e costruire un “Sé” più resiliente. Riflettendo su quanto sia potente questa esperienza, si può quasi sentire la scossa di una comprensione nuova, la consapevolezza che, in fondo, tutti siamo attori sul grande palco dell’esistenza, capaci di immedesimarci e di imparare, scena dopo scena, a essere più umani.

Glossario:
  • Neuroni specchio: cellule cerebrali che si attivano sia quando un soggetto compie un’azione sia quando osserva altri compiere la stessa azione, fondamentali per l’empatia e l’apprendimento.
  • Corticotropina: ormone prodotto in risposta allo stress, che svolge un ruolo importante nella regolazione della risposta empatica.
  • Empatia: capacità di comprendere e condividere i sentimenti degli altri, considerata un elemento fondamentale nell’interazione sociale.
  • PTSD: disturbo da stress post-traumatico, condizione psichica che può emergere dopo aver vissuto o assistito a traumi gravi.
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