- Le teorie del complotto offrono un «anestetico mentale» in contesti incerti.
- Il legame tra 5G e COVID-19 è una distorsione narrativa diffusa.
- Nel 2023, Bowes rivela motivazioni profonde dietro le teorie.
- La ricerca di Lantian nel 2017 evidenzia tratti come la sfiducia.
- Nel 2016, Moulding notò legami con distacco sociale.
Il fascino oscuro delle narrazioni alternative: quando la mente cerca rifugio nel complotto
Il magnetismo inquietante delle storie alternative: nel momento in cui l’intelletto si rifugia nelle teorie del complotto
Nel panorama complesso e spesso turbolento della società contemporanea, l’emergere e la proliferazione delle teorie del complotto rappresentano un fenomeno che cattura l’attenzione di psicologi, sociologi e professionisti della salute mentale. Lungi dall’essere semplici divagazioni eccentriche, queste narrazioni intricate e spesso prive di fondamento tangibile si rivelano essere una risposta psicologica profonda e articolata a bisogni umani fondamentali, in particolare in contesti di incertezza e percezione di minaccia. Sebbene il complottismo non sia classificato come una patologia psicologica in senso stretto, la ricerca indica una correlazione significativa con specifici tratti della personalità e condizioni che influenzano la propensione a credervi. La psicologia lo descrive come un atteggiamento mentale che porta a interpretare gli eventi attraverso una lente alternativa a quella ufficiale, attribuendo spesso gli accadimenti a un complotto segreto. È cruciale distinguere questa inclinazione da un delirio psicotico, poiché il complottismo si configura più come un “delirio a bassa intensità”, con una peculiare caratteristica di essere socialmente condivisibile e contagioso.
Questo fenomeno non è isolato, ma si manifesta in una varietà di forme, spesso alimentate da paure ataviche e una cronica diffidenza verso le istituzioni. Le teorie del complotto tendono a prosperare in terreni fertili di incertezza, offrendo una sorta di “anestetico mentale” che promette un senso di controllo e comprensione di fronte a fatti percepiti come complessi e inesplicabili. Per esempio, la teoria che lega la pandemia da COVID-19 alla tecnologia 5G, suggerendo che quest’ultima indebolisca il sistema immunitario, è un classico esempio di come si cerchino connessioni causali in assenza di prove concrete, in un tentativo di dare un senso a un evento globale traumatico e destabilizzante. Recenti studi confermano che il legame tra 5G e COVID-19 è una distorsione narrativa diffusa, con una parte significativa della popolazione che crede in tali teorie senza base scientifica [CORDIS]. Allo stesso modo, narrazioni come quelle sullo “Stato Profondo” che manipola i politici o l’ipotesi dell’ “Inside Job” riguardo agli attacchi dell’11 settembre 2001, illustrano la tendenza a credere che poteri occulti e malevoli siano all’opera dietro le quinte. Questi esempi mettono in luce la base comune di queste teorie: l’esistenza di un gruppo di cospiratori che agisce in segreto, con piani subdoli e dannosi per il pubblico ignaro. La famosa teoria sulla morte del presidente John F. Kennedy nel lontano 1963, pur essendo stata ufficialmente attribuita a un cecchino solitario, continua ad essere un emblema di questa ricerca di spiegazioni alternative e complesse, che suppongono l’esistenza di motivazioni politiche più ampie e oscure.
Articolo: “Teorie del complotto: motivazioni e personalità dei complottisti”. Autore: M. Agradi. Rivista: State of Mind. Anno: 2023.
L’importanza intrinseca dell’attuale fenomeno nel contesto della psicologia cognitiva contemporanea—sia essa comportamentale oppure concernente il benessere mentale—consiste nella sua attitudine a mettere in luce le vulnerabilità psicologiche umane. È cruciale approfondire le origini del complottismo al fine non solo di incoraggiare l’emergere del pensiero critico ma anche di combattere l’espansione della disinformazione. Questo diventa particolarmente urgente nell’attuale era caratterizzata dall’impatto dei media digitali—un ambiente capace di innalzare notevolmente il volume delle narrazioni fuorvianti. La recente adesione ai movimenti come QAnon da parte delle vittime degli abusi sessuali rivela una connessione stridente: questi individui sono colpiti dalla narrazione secondo cui una rete occulta avrebbe orchestrato atti orribili contro i bambini. Ciò illustra chiaramente quanto possano influenzare i traumi generati da esperienze sfavorevoli; tali elementi li spingono verso sistemi interpretativi confondenti ma ancorati al desiderio naturale di identificarsi con presunti segni di “giustizia” o “controllo”. L’interrelazione fra vissuti dolorosi e inclinazioni verso credenze cospirazioniste rappresenta oggi uno dei campi d’indagine più importanti poiché offre preziose indicazioni su come fattori quali l’assenza di figure stabilizzatrici affidabili ed esposizioni ripetute ad atrocità possano alterare radicalmente la percezione della realtà sociale inducendo gli individui alla necessità smisurata di approfondire, ricercando spiegazioni alternative rispetto agli eventi sfaccettati che segnano il nostro tempo. In determinate situazioni, le teorie complottiste tendono ad offrire a chi si sente escluso un falso senso di dominio sulla propria esistenza e una presunta inclusione in un gruppo più ampio, creando così un legame illusorio per coloro che avvertono un disagio nei confronti della realtà sociale.
La psicologia dietro il velo: bisogni motivazionali e tratti di personalità
La sfera della psicologia propone molteplici angolazioni per analizzare il fenomeno del complottismo; questa visione va ben oltre l’idea comune secondo cui tale fenomeno rappresenta solamente segni d’ingenuità oppure manifestazioni patologiche. Indagini recenti, inclusa la meta-analisi condotta nel 2023 da Bowes et al., rivelano invece una motivazione ben più intricata e profonda, determinante nell’attrarre individui verso simili credenze. Le evidenze suggeriscono che coloro propensi ad abbracciare tesi cospirazioniste possiedono esigenze fondamentali correlate alla necessità umana innata di dare significato e acquisire controllo su situazioni complesse o sfuggenti. In un contesto globale caratterizzato dalla percezione dell’incertezza crescente e dall’apparente caos delle dinamiche quotidiane, tali teorie propongono risposte alternative: approcci solitamente semplificati ma in grado d’offrire rassicurazione ed illusioni fittizie riguardo il dominio sul mondo circostante. Questa instancabile ricerca conferisce a ogni individuo l’impulso primordiale verso comprendere le realtà più intricate; pertanto, nei momenti in cui i chiarimenti forniti dalle autorità risultano ambigui o insufficientemente soddisfacenti agli occhi dei cittadini comuni, la mente può risultare suscettibile ad accogliere narrazioni alternate destinate a colmare lacune cognitive – pur essendo fondamentalmente costruite su presupposti non dimostrabili.
Un altro motore potente dietro il complottismo è il bisogno di appartenenza e superiorità. Le teorie del complotto tendono a essere più attraenti per coloro che si sentono emarginati dalla società, con relazioni sociali impoverite e un generale senso di infelicità. L’adesione a queste teorie può fornire un’identità sociale alternativa, un senso di far parte di un gruppo selezionato che detiene una “verità nascosta”, elevandoli al di sopra della “massa ignorante”. Questa dinamica è particolarmente evidente quando si percepiscono minacce sociali; ad esempio, chi si sente minacciato può aderire a teorie del complotto basate su eventi specifici, come quelle che ipotizzano la pianificazione governativa degli attacchi dell’11 settembre. In questi contesti, l’identità sociale gioca un ruolo significativo, poiché la credenza in tali teorie può rafforzare il senso di coesione e mutuo supporto all’interno di una comunità di “svegli”. Questo può innescare una dinamica persecutoria, fondata su una radicata sfiducia verso l’altro, il sospetto e, in alcuni casi, una sfumatura quasi paranoica.
La ricerca di Lantian del 2017 ha evidenziato che tratti come la sfiducia, la scarsa amicalità e il machiavellismo sono spesso correlati alle credenze complottiste. La scarsa amicalità, intesa come mancanza di affidabilità, gentilezza e cooperazione, rende gli individui meno propensi a fidarsi degli altri e a collaborare. Anche il machiavellismo, ovvero la tendenza a concentrarsi sugli interessi personali e a manipolare gli altri per ottenere ciò che si desidera, si allinea perfettamente con una visione del mondo in cui gli attori agiscono con egoismo e secondi fini. Dal punto di vista cognitivo, le persone con forti credenze complottiste tendono a sovrastimare la possibilità di eventi coincidenti, attribuendo connessioni intenzionali anche quando sono improbabili, e mostrano un livello più basso di pensiero analitico. Questo suggerisce che la propensione alle teorie del complotto può derivare da una tendenza a cercare significati e connessioni anche quando non sono razionali o supportate da fatti dimostrabili. Nel 2016, Moulding ha effettuato uno studio in cui ha messo in evidenza una significativa connessione fra l’adesione a teorie complottiste e determinati fattori quali il distacco dalle convenzioni sociali, l’assenza di referenti normativi e un profondo senso di impotenza e alienazione. In parallelo, nello stesso anno è emersa da una ricerca condotta da van Prooijen che l’instabilità della propria autostima si configuri quale elemento chiave nell’inclinazione verso tali teorie.
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I bias cognitivi: distorsioni percettive che alimentano le cospirazioni
Le teorie del complotto si manifestano non solo in quanto risposta a bisogni emozionali o caratteristiche individuali; sono altresì condizionate da determinati bias cognitivi. Tali sistemi mentali possono indurre distorsioni sia nella percezione sia nell’interpretazione dei fatti. I bias funzionano quindi come lenti attraverso cui si elaborano le informazioni e giocano un ruolo cruciale nel sostenere le idee legate ai complotti.
Tra i più pertinenti c’è il bias di proporzionalità. Questo porta gli individui a presupporre che eventi eccezionali debbano possedere cause parallele per grandezza e articolazione. Ne risulta quindi una tendenza ad attribuire alle situazioni un’intricata rete causale: ogni circostanza remota appare impregnata dell’influenza misteriosa ed orchestrata di poteri occulti. Un caso emblematico è rappresentato dalla caduta delle Torri Gemelle: chi ha questa inclinazione psichica fatica ad accettare l’idea convenzionale secondo cui tali attacchi siano stati perpetrati da gruppetti terroristici composti da poche persone; sarà propenso piuttosto a concepire scenari intricatissimi all’interno del governo stesso. In virtù della sua stessa gravità, l’evento impone una necessaria connessione causale con fattori dallo stesso elevato profilo. Un’importanza cruciale viene rivestita dal bias di attribuzione, il quale sottolinea la predisposizione a collegare gli eventi alle qualità intrinseche degli individui o ad intenti non manifestati. Spesso vengono ignorati gli elementi situazionali e contestuali capaci invece di influenzarli profondamente. In sostanza, anziché scrutare attentamente le condizioni esterne o la complessità delle relazioni instauratesi prima dell’accadimento reale, i cospirazionisti si concentrano sugli interessati. A tal punto giungono ad assegnare loro colpevolezza morale oppure cattive intenzioni. È evidente questa inclinazione nell’esigenza umana verso spiegazioni finalizzate dove operano forze volitive consapevoli anche quando mancano prove tangibili. Si consideri infine uno scenario: qualora un’impresa vada incontro al collasso finanziario, invece di riflettere su scelte manageriali errate o oscillazioni dell’economia globale, potrebbe emergere l’ipotesi del sabotaggio orchestrato dai competitori avversari.
Infine, il bias di conferma è un potente meccanismo che contribuisce al mantenimento delle teorie cospirazioniste. Questo bias spinge gli individui a cercare, interpretare e privilegiare le informazioni che confermano le proprie convinzioni preesistenti, ignorando attivamente o sminuendo quelle che le contraddicono. Una volta che una teoria del complotto è stata assorbita, il bias di conferma rende estremamente difficile scardinarla, poiché ogni nuova informazione viene filtrata attraverso la lente della credenza già stabilita. Notizie, articoli o dichiarazioni di esperti che non supportano la teoria vengono scartate come parte della “disinformazione ufficiale” o della copertura del complotto stesso, rafforzando ulteriormente la convinzione iniziale. Questo crea un circolo vizioso in cui la teoria del complotto si autoalimenta, diventando sempre più resistente alla critica e all’evidenza empirica. La combinazione di questi bias cognitivi non solo facilita la nascita delle teorie cospirazioniste, ma ne assicura anche la persistenza, rendendole incredibilmente resilienti e difficili da smontare anche di fronte a prove schiaccianti.
Navigare la complessità: resilienza e pensiero critico
Il complottismo, sebbene non sia una patologia, ci interroga profondamente sulla salute mentale collettiva e individuale in un’epoca di informazioni sovrabbondanti e spesso contraddittorie. È fondamentale riconoscere che dietro l’adesione a queste teorie c’è spesso un tentativo, seppur distorto, di elaborare eventi traumatici o complesse dinamiche sociali. Dal punto di vista della psicologia cognitiva e comportamentale, la ricerca della coerenza narrativa e la necessità di dare un senso al caos sono bisogni primari. Quando le spiegazioni ufficiali sembrano incomplete o inaffidabili, la mente cerca alternative, e l’architettura spesso seducente delle teorie del complotto offre un’impalcatura che promette ordine dove c’è disordine.
Una nozione base di psicologia cognitiva applicabile a questo contesto è che la nostra mente è costantemente impegnata nella costruzione del significato. Ogni giorno, elaboriamo milioni di informazioni, e per evitare il sovraccarico, creiamo “schemi mentali” che ci aiutano a organizzare e interpretare il mondo. Quando questi schemi vengono sfidati da eventi inaspettati o traumatici, può emergere una forte tensione emotiva e cognitiva. Le teorie del complotto, con la loro narrazione chiusa e onnicomprensiva, possono ridurre questa tensione offrendo una “spiegazione pronta all’uso”, ripristinando un senso di controllo e prevedibilità, anche se illusorio. È un meccanismo di difesa, una strategia per fronteggiare la paura e l’incertezza, specialmente quando si proviene da esperienze di trauma o abbandono, dove la fiducia nelle figure di riferimento fondamentali è stata compromessa.
A un livello più avanzato, la psicologia comportamentale ci insegna l’importanza del rinforzo sociale e cognitivo. Quando un individuo esprime una convinzione complottista e trova conferma o sostegno in un gruppo, quel comportamento e quella credenza vengono rinforzati positivamente. Questo crea una “bolla di conferma” in cui le prove contrarie vengono attivamente invalidate o reinterpretate, e l’identità personale si lega sempre più saldamente alla credenza condivisa. L’influenza dei pari può manifestarsi in forme implicite ed esercitare effetti straordinariamente potenti. Ciò che apprendiamo da questo fenomeno è significativo: essere vulnerabili al complottismo non implica per forza una mancanza di incisività intellettuale; bensì è l’esito di intricate relazioni tra esigenze psicologiche rimaste insoddisfatte, modelli mentali alterati e processi sociali che rinforzano taluni racconti.
Prendiamoci del tempo per riflettere su quanto siamo pronti ad affrontare situazioni caratterizzate dall’incertezza e dalla pluralità senza ricercare risposte preconfezionate o trovare capri espiatori. È essenziale preservare il nostro spirito critico adottando una visione aperta verso le diversità delle opinioni mentre ci alleniamo a sostenere l’ambiguità. In quest’era segnata da dispute sulla veridicità delle informazioni disponibili – oltre alla diffusione capillare della disinformazione – affinare questa competenza va oltre il semplice impegno cognitivo; assume contorni quasi terapeutici nel prendersi cura del proprio equilibrio psichico. Spesso dovremmo interrogarci sulle vere ragioni dietro le nostre interrogative esigenze: siamo capaci effettivamente di affidarci ai fatti empirici piuttosto che lasciarci guidare soltanto da timori personali o desideri insoddisfatti? La sfida è grande, ma la posta in gioco, ovvero la nostra capacità di costruire una società basata sulla fiducia e sulla realtà condivisa, è ancora più significativa.
Glossario:
- Teoria del complotto: narrazione che attribuisce eventi a piani segreti di gruppi di potere.
- QAnon: movimento complottista che sostiene l’esistenza di una rete di pedofili tra i politici.
- 5G: quinta generazione di tecnologia mobile, spesso al centro di teorie del complotto riguardanti la salute.
- Cognizione sociale: modo in cui le persone percepiscono e interpretano il comportamento degli altri.