Amigdala vs. corteccia prefrontale: la neuroscienza spiega guerra e pace

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  • Nel mondo ci sono oltre 110 guerre attive secondo Geneva Academy.
  • L'amigdala reagisce a minacce, attivando paura o rabbia.
  • Europa ha investito 800 miliardi in armamenti, critica Lilli Gruber.

Da secoli, l’umanità si interroga sulla propria predisposizione innata: siamo programmati per la pace o per la guerra? Gli antichi greci personificavano la guerra con il demone Pólemos, mentre figure come Immanuel Kant hanno cercato di illuminare un percorso verso la pace perpetua. Tuttavia, la storia è costellata di conflitti, con oltre 110 guerre attive nel mondo secondo il report della Geneva Academy. Lo psicoanalista James Hillman parlava di un “terribile amore per la guerra”, una definizione che sembra trovare riscontro nelle nuove scoperte delle neuroscienze.

Mari Fitzduff, nel suo libro “Our Brains at War”, esplora le radici biologiche dei conflitti, rivelando che la ragione spesso soccombe agli istinti. Contrariamente all’immagine del leader machiavellico, la conflittualità è un fenomeno pre-logico. Le aree cerebrali coinvolte sono principalmente due: l’amigdala, il centro delle emozioni e del cervello arcaico, e la corteccia prefrontale, responsabile del controllo degli impulsi e del pensiero critico. Quando l’amigdala percepisce una minaccia, anche simbolica, prende il sopravvento, inibendo la razionalità.
Daniel Goleman, nel suo libro “Perché meditare”, spiega come l’amigdala agisca come un “radar” per le minacce, attivando reazioni di paura o rabbia. Questo meccanismo, utile in epoca preistorica per difendersi dagli animali feroci, può essere ingannevole nel mondo moderno, dove le minacce sono spesso simboliche e complesse. La percezione di una delusione o di un danno innesca il circuito dello stress, preparando l’individuo a combattere o fuggire. Questo “dirottamento dell’amigdala” porta a rimuginare e a mantenere uno stato di allerta cronica. La soluzione? Spegnere le emozioni negative, pensare, meditare e, soprattutto, lasciare che la corteccia prefrontale prenda il controllo.

La Trappola delle Convinzioni e il Ruolo dei Social Media

Anche quando cerchiamo di ragionare, il percorso verso la pace non è sempre lineare. Durante scambi emotivamente carichi, reagiamo in automatico, usando la logica solo a posteriori per giustificare le nostre reazioni. Le nostre convinzioni profonde, quando messe in discussione, attivano nuovamente l’amigdala, impedendo un’analisi obiettiva. Invece di cercare di capire la prospettiva altrui, tendiamo a cercare conferme alle nostre idee, un meccanismo amplificato dagli algoritmi dei social media, che ci bombardano di contenuti emotivamente intensi, spesso falsi o distorti, alimentando diffidenza e rabbia.

I leader tossici, consapevoli di questa dinamica, alimentano timori e pregiudizi per mantenere il potere, sfruttando la distinzione istintiva tra “noi” e “loro”. Il nostro cervello è predisposto alla cooperazione con chi percepiamo come simile, ma si chiude di fronte agli estranei, ai “diversi”. Il razzismo, il sessismo e l’omofobia nascono dall’insicurezza e dall’ignoranza, e i leader che inneggiano alla discriminazione fanno leva su questa parte primitiva del nostro cervello.

Riprogrammare il Cervello: Compassione e Cooperazione

Per progredire, è fondamentale evitare che la percezione del “diverso” alimenti le fratture che portano a spogliare gli altri della loro umanità. *Il cervello può essere rieducato attraverso pratiche che attenuano le distinzioni tra individui e promuovono la collaborazione. Lo psicoterapeuta Paul Gilbert propone l’esistenza di un sistema innato di pacificazione dentro di noi: la compassione, intesa come la capacità di percepire la sofferenza altrui e di adoperarsi per alleviarla.

Un Investimento per la Pace: Dalle Armi ai Servizi

John F. Kennedy ammoniva: “L’umanità deve porre fine alla guerra, o la guerra porrà fine all’umanità”. Lilli Gruber sottolinea gli “affari giganteschi” dietro il mercato bellico, criticando l’Europa per aver investito 800 miliardi di euro in una corsa agli armamenti, mentre i servizi sanitari, la scuola e le infrastrutture versano in crisi. È inammissibile destinare risorse economiche a strumenti bellici e droni quando, al contrario, dovrebbero essere impiegate per mitigare le disparità sociali.

Oltre la Biologia: La Responsabilità Umana e l’Intelligenza Emotiva

Uno studio del 2012 ha evidenziato come il cervello reagisca con diffidenza alla vista di persone percepite come “diverse”, attivando l’amigdala. Tuttavia, la corteccia prefrontale dorsolaterale interviene per neutralizzare questa reazione, promuovendo giudizi più equilibrati. Questo scontro tra istinto e ragione dimostra che il razzismo e la discriminazione non possono essere giustificati biologicamente, poiché il cervello ha gli strumenti per dominare le emozioni negative.

È fondamentale riconoscere il ruolo pervasivo delle emozioni nella nostra vita e sviluppare l’intelligenza emotiva, ovvero la capacità di riconoscere, comprendere e gestire le proprie emozioni. Una maggiore consapevolezza emotiva può ridurre il pregiudizio e l’aggressività verso gli altri. Il raggiungimento della pace interiore è strettamente connesso alla capacità di vivere in armonia con gli altri, e per entrambe le condizioni è indispensabile una profonda comprensione e padronanza delle proprie reazioni emotive.

Un Nuovo Orizzonte: Coltivare l’Empatia per un Futuro di Pace

La neuroscienza ci offre una finestra privilegiata sulla complessità del nostro cervello, rivelando come istinti primari e capacità cognitive superiori si intrecciano nel plasmare il nostro comportamento. Ma al di là delle reazioni automatiche e dei meccanismi di difesa, emerge una verità fondamentale: abbiamo la capacità di scegliere. Possiamo soccombere alla paura e alla diffidenza, alimentando divisioni e conflitti, oppure possiamo coltivare l’empatia e la compassione, costruendo ponti verso un futuro di pace.
La sfida è trasformare la consapevolezza scientifica in azione concreta. Investire nell’educazione emotiva, promuovere il dialogo interculturale e rafforzare i legami sociali sono passi essenziali per riprogrammare il nostro cervello e costruire una società più inclusiva e pacifica.

E qui vorrei aggiungere una riflessione, quasi un sussurro all’orecchio. In psicologia cognitiva, un concetto fondamentale è quello dei bias cognitivi, ovvero errori sistematici nel nostro modo di pensare che possono influenzare le nostre decisioni e percezioni. Uno di questi è il bias di conferma, la tendenza a cercare informazioni che confermino le nostre credenze preesistenti, ignorando quelle che le contraddicono. Questo bias, come abbiamo visto, è amplificato dai social media e può alimentare la polarizzazione e il conflitto.
Un concetto più avanzato, mutuato dalla psicologia comportamentale, è quello del
condizionamento operante. Le nostre azioni sono influenzate dalle conseguenze che ne derivano: se un comportamento viene premiato, è più probabile che venga ripetuto; se viene punito, è meno probabile. In un contesto di conflitto, la violenza può essere “premiata” con il potere o la vendetta, perpetuando il ciclo. Per spezzare questo ciclo, è necessario rinforzare* i comportamenti pacifici e cooperativi, creando un ambiente in cui la pace sia più vantaggiosa della guerra.

Riflettiamo, quindi, su come i nostri bias cognitivi e i nostri schemi di condizionamento influenzano le nostre interazioni quotidiane. Cerchiamo di essere consapevoli delle nostre reazioni istintive e di coltivare un pensiero critico e aperto al dialogo. Solo così potremo contribuire a costruire un futuro in cui la pace non sia solo un’utopia, ma una realtà concreta.


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