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Salute mentale in Italia: la riforma Basaglia rischia di essere superata?

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  • A quasi 50 anni dalla Legge Basaglia, il dibattito si riaccende.
  • I disturbi mentali causano oltre il 14% dei DALYs globalmente.
  • Il DDL 734/Sensi e altri mirano a un Piano nazionale.
  • Alcuni DDL pongono l'accento sulla "pericolosità sociale".
  • La SINPIA teme impatti negativi su milioni di minori.
  • L'OMS: «La salute mentale è parte integrante della salute».

A quasi cinquant’anni dalla promulgazione della Legge Basaglia, che ha radicalmente trasformato l’approccio alla salute mentale in Italia segnando una svolta storica nel superamento degli istituti manicomiali, e a più di due decenni di distanza dal piano di “Tutela salute mentale 1998-2000”, il panorama politico italiano torna ad accendere i riflettori su un tema di cruciale importanza: la salute mentale. In un contesto che vede l’Italia, come molti altri paesi, ancora alle prese con le sfide legate all’applicazione piena ed efficace dei principi sanciti dalla Legge 180 e dai successivi accordi internazionali in materia di diritti delle persone con disabilità, diverse iniziative legislative sono state presentate in Parlamento.

Queste proposte, pur partendo da una comune constatazione della necessità di un aggiornamento normativo e di un potenziamento del sistema di assistenza, divergono significativamente nelle soluzioni prospettate, riflettendo la complessità e la delicatezza di questo ambito.

Attualmente, sono al vaglio del Senato e della Camera una serie di Disegni di Legge presentati da diverse forze politiche, tra cui il Partito Democratico (PD) e Alleanza Verdi e Sinistra (AVS), la Lega e Fratelli d’Italia (FdI). Questa trasversalità nell’identificare l’esigenza di una riforma sottolinea un riconoscimento condiviso delle criticità attuali, ma le diverse visioni che emergono dai testi mettono in luce approcci distinti e, in alcuni casi, contrapposti alla gestione della salute mentale.

Un punto fondamentale che accomuna le premesse di tutti i DDL è la dichiarata intenzione di non “toccare” la Legge Basaglia. Questa posizione sembra riflettere la consapevolezza del ruolo storico e simbolico che la Legge 180 ha assunto in Italia, essendo universalmente riconosciuta come un esempio pionieristico di umanizzazione della psichiatria e di tutela dei diritti fondamentali delle persone con disturbi mentali. La Legge Basaglia, nonostante le criticità e le difficoltà incontrate nella sua applicazione nel corso degli anni, è stata una vera e propria “rivoluzione”, che ha segnato un prima e un dopo nel modo di concepire e affrontare la malattia mentale, promuovendo il superamento degli ospedali psichiatrici e la creazione di servizi territoriali orientati all’integrazione e alla cura nella comunità.

Le proposte legislative in campo mirano ciascuna a stabilire un nuovo quadro di riferimento per la salute mentale, confrontandosi con le sfide attuali, tra cui l’aumento dei disturbi, la carenza di personale e la necessità di garantire servizi adeguati e diffusi su tutto il territorio nazionale. Tuttavia, le differenze nelle soluzioni proposte sollevano interrogativi e dibattiti, in particolare per quanto riguarda il rischio di un passo indietro rispetto ai principi cardine della Legge Basaglia e il possibile ritorno a pratiche del passato che hanno segnato pagine buie nella storia della psichiatria.

Le diverse proposte legislative riflettono visioni del mondo e approcci alla salute mentale che non sono sempre in linea. Mentre alcuni DDL sembrano orientarsi verso un rafforzamento dei principi della Legge Basaglia, puntando sull’implementazione di un Piano nazionale per la salute mentale, l’aggiornamento dei LEA e il divieto delle contenzioni coercitive, altri pongono l’accento sulla prevenzione, la sicurezza e la necessità di garantire un maggior numero di posti letto, sollevando timori riguardo a una possibile reintroduzione, de facto, di concetti come la “pericolosità sociale”, un’idea che era stata superata proprio con la Legge 180.

Il dibattito in corso, quindi, non riguarda solo aspetti tecnici e organizzativi del sistema sanitario, ma investe profondamente la visione stessa della salute mentale e il modo in cui la società intende prendersi cura delle persone che ne soffrono. Le diverse proposte legislative offrono lenti diverse attraverso cui guardare a questo complesso universo, evidenziando la necessità di un confronto approfondito e di un percorso condiviso che tenga conto delle conquiste del passato, delle sfide del presente e delle aspirazioni per il futuro.

Nota Importante: Secondo uno studio del Global Burden of Disease, i disturbi mentali sono responsabili di oltre il 14% dei Disability-Adjusted Life Years (DALYs) a livello globale, segnalando una necessità di intervento urgente.
[Fonte]

Divergenze e critiche: il nodo delle contenzioni e della “pericolosità sociale”

Analizzando le varie iniziative legislative sul tavolo emerge un quadro ricco di contrasto riguardo alla direzione futura del sistema sanitario dedicato alla salute mentale in Italia. I disegni di legge elaborati dal Partito Democratico – nello specifico il DDL 734/Sensi insieme al DDL 1113/Serracchiani, Scarpa ed altri – insieme a quelli promossi da Alleanza Verdi Sinistra (DDL 938/Magni, De Cristofaro con Cucchi), mirano entrambi a consolidare ed evidenziare ancor più i fondamenti delineati dalla storica Legge Basaglia. Questi documenti legislativi perseguono l’obiettivo prioritario della creazione di un Piano nazionale per la salute mentale, unitamente all’aggiornamento dei Livelli Essenziali d’Assistenza (LEA). Entrambi gli aspetti sono considerati vitali per assicurare una diffusione uniforme nonché un elevato standard qualitativo nei servizi sanitari su scala nazionale. È fondamentale notare come uno degli elementi chiave inseriti all’interno sia il fermo diniego verso qualsiasi forma di abuso fisico o psicologico ai danni degli individui oggetto del trattamento sanitario obbligatorio (TSO). Inoltre vi è chiaramente l’intento di escludere ogni genere di misure coercitive che possano comportare quali limitazioni aggiuntive alla libertà individuale; speciale enfasi viene data anche sull’argomento relativo alle contenzioni. Una questione fondamentale viene sollevata da numerosi specialisti nel campo della salute mentale infantile. Tra questi spicca la presidente della Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, la quale ha manifestato forti timori riguardo agli effetti potenzialmente dannosi delle recenti proposte legislative sui minori affetti da disturbi neuropsichiatrici.

La proibizione mirante ad abolire l’uso delle contenzioni fisiche così come quelle farmacologiche ed ambientali esprime una sempre maggiore coscienza collettiva sia a livello nazionale sia internazionale circa l’urgenza impellente di abbandonare pratiche frequentemente dannose per la dignità degli individui. Tali misure continuano a essere diffuse in determinati ambiti senza però ottenere un consenso unanime circa il loro valore terapeutico. Infatti, l’applicazione indiscriminata delle stesse appare piuttosto come una testimonianza tangibile: scarsa disponibilità economica ai servizi sanitari; insufficiente formazione professionale; metodologie antiquate nella gestione dei momentanei episodi critici o comportamentali problematici. L’instaurazione tramite legge del divieto sarebbe pertanto considerata un progresso sostanziale verso il rafforzamento di un assistenzialismo improntato su valori quali il rispetto, l’empatia ed innovazioni quali le tecniche per ridurre l’aggressività attraverso metodi verbali o terapeuti sensorialmente stimolanti per creare luoghi dove i soggetti si sentano al sicuro ed accolti.

Di contro, i DDL presentati dalla Lega (DDL 1171/Cantù e altri) e da FdI (DDL 1179/Zaffini e altri) mostrano un orientamento diverso, focalizzandosi su aspetti quali la prevenzione, in particolare per quanto riguarda gli effetti negativi della pandemia e dell’uso di sostanze, e la sicurezza. In particolare, il DDL di FdI sembra reintrodurre, seppur implicitamente, il concetto di “pericolosità sociale” associata al disturbo mentale. Affidando al Ministero dell’Interno, insieme al dicastero della Giustizia e sentito il Ministero della Salute, il compito di individuare le misure di sicurezza per il contenimento dei comportamenti violenti e di normare i trattamenti coattivi, si manifesta un approccio che privilegia l’aspetto securitario e repressivo nella gestione di determinate manifestazioni del disturbo mentale. Questa impostazione solleva forti preoccupazioni tra gli addetti ai lavori e le associazioni dei familiari e degli utenti, che vedono in essa un possibile ritorno a una visione del “malato come pericoloso” che era stata decisamente superata dalla Legge Basaglia e che ha storicamente giustificato l’isolamento e la segregazione delle persone con disturbi mentali.

La sinpia (Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza) ha espresso profonda inquietudine riguardo alle conseguenze di alcune di queste proposte legislative sull’assistenza a bambini e adolescenti con disturbi neuropsichici. La SINPIA sottolinea che l’approccio proposto da alcuni DDL, che sembra appiattire l’intervento ai soli disturbi psichiatrici in adolescenza, potrebbe compromettere l’assistenza a milioni di minori con una vasta gamma di disturbi (autismo, malattie rare, dislessia, disabilità complesse, disturbi alimentari, ecc.), che necessitano di servizi dedicati, equipe multidisciplinari specializzate nell’età evolutiva e percorsi terapeutici su misura che coinvolgano attivamente famiglia, scuola e ambiente di vita. L’appartenenza obbligata al DSM, peraltro, è vista come controproducente per la continuità di cura di bambini, ragazzi e famiglie.

Tipo di Disturbo Età Media di Insorgenza Interventi Raccomandati
Autismo Prevalentemente negli anni della prima infanzia Interventi comportamentali, educativi e terapeutici personalizzati
Dislessia Scuola elementare Supporto didattico e tecniche di apprendimento personalizzate
Disturbi Alimentari Adolescenza e prima età adulta Terapie nutrizionali e sostegno psicologico intensivo
Depressione Adolescenza Terapia cognitivo-comportamentale e supporto emotivo

Le critiche alle proposte più orientate alla sicurezza e al controllo risiedono nella preoccupazione che esse possano minare le fondamenta su cui si basa un’assistenza efficace e rispettosa dei diritti. L’enfasi sulla repressione e sulle misure di sicurezza, infatti, rischia di oscurare la necessità di investire in risorse umane qualificate, in percorsi formativi adeguati per gli operatori e in modelli organizzativi che favoriscano la costruzione di un rapporto di fiducia e di cura. La carenza di risorse e l’organizzazione attuale dei servizi, spesso in difficoltà nel rispondere alla crescente domanda e alla complessità dei bisogni, creano un clima di distacco e paura che può generare tensioni e, in alcuni casi, comportamenti aggressivi, ma la risposta a tali criticità non può essere unicamente securitaria.

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  • Temo che si stia sottovalutando il rischio di un passo indietro... 😔...
  • E se la vera riforma fosse ripensare il concetto di normalità... 🤔...

L’importanza di un approccio centrato sulla persona: oltre la malattia, la persona

Al centro del dibattito sulla riforma della salute mentale si pone, in modo ineludibile, la necessità di riaffermare e rafforzare un approccio centrato sulla persona. Questa prospettiva, che trae le sue radici dalla psicologia umanistica e in particolare dal lavoro di Carl Rogers con il suo approccio “non direttivo” o “centrato sul cliente”, pone l’individuo al centro del processo di cura, riconoscendone l’unicità, la dignità e la capacità intrinseca di autodeterminazione e crescita.

Definizione: La salute mentale è parte integrante della salute e del benessere, secondo la definizione dell’OMS.

Nell’ambito della salute mentale, un approccio centrato sulla persona significa guardare oltre la diagnosi e il sintomo, per cogliere la complessità dell’individuo con la sua storia, le sue esperienze, i suoi valori, i suoi bisogni e le sue potenzialità.

Questo approccio si basa su alcuni principi fondamentali: l’ascolto attivo ed empatico, l’accettazione incondizionata, la genuinità del terapeuta (o dell’operatore sanitario in senso più ampio), e la fiducia nelle risorse del cliente/paziente. Trasferiti nel contesto dei servizi di salute mentale, questi principi si traducono nella promozione di una relazione terapeutica basata sul rispetto reciproco, sulla condivisione delle decisioni e sulla valorizzazione del ruolo attivo della persona nel proprio percorso di recupero. L’approccio centrato sulla persona si contrappone a modelli più tradizionali, spesso caratterizzati da un’asimmetria di potere tra “esperto” e “paziente” e da un’enfasi esclusiva sul controllo della malattia, ponendo invece l’accento sulla promozione del benessere globale, sulla qualità della vita e sull’integrazione sociale.

Nell’ottica di un approccio centrato sulla persona, le alternative alla contenzione fisica e farmacologica assumono un ruolo cruciale. La consapevolezza che le contenzioni rappresentano una misura estrema e spesso traumatica, che limita la libertà e può infliggere sofferenza fisica e psicologica, spinge a cercare strategie meno invasive e più rispettose della persona. Tecniche di de-escalation verbale, che mirano a ridurre l’agitazione e la tensione attraverso la comunicazione efficace e l’ascolto empatico, rappresentano un’alternativa fondamentale. La terapia sensoriale, assieme all’adozione di ambienti terapeutici caratterizzati da sicurezza e accoglienza, offre anche il vantaggio significativo dell’introduzione di attività ricreative e occupazionali su misura. In aggiunta a ciò va considerata fondamentale la partecipazione attiva delle famiglie durante il processo curativo; tutto questo costituisce uno strumento prezioso per affrontare le crisi mantenendo sempre alta la dignità della persona.

In un contesto della salute mentale che pone al centro il soggetto anziché solo i sintomi clinici emerge chiaramente che tale modello non si limita al mero trattamento delle patologie ma abbraccia una concezione globale dell’individuo. La valorizzazione dell’autonomia personale così come delle competenze intrinseche rappresenta pertanto un aspetto centrale nella dimensione sociale d’intervento. Questo approccio esige pertanto un costante investimento nella formazione del personale dedicato: gli operatori devono acquisire competenze relazionali oltre ad approfondite conoscenze specifiche idonee a operare efficacemente secondo questa filosofia assistenziale. È altresì necessario orientarsi verso investimenti nelle risorse umane e organizzative che stimolino lo sviluppo di piani curativi altamente personalizzati ed elastici nelle loro applicazioni pratiche così da adeguarsi con tempestività ai bisogni variegati degli individui assistiti. Di conseguenza possiamo affermare senza indugi che quest’approccio individualizzato costituisce una base imprescindibile per edificare un sistema psicosanitario improntato sull’umanizzazione totale dei processi terapeutici mentre onora appieno i diritti legittimi dei pazienti stessi; ciò è coerente sia con quanto stabilito dalla storica Legge Basaglia sia con le tendenze più evolutive nel campo della riabilitazione psicologica.

Alternative alla contenzione: un cammino verso un’assistenza più umana

La questione riguardante la riforma della salute mentale italiana accende i riflettori sulle complesse problematiche legate alle pratiche di contenzione. Queste modalità operative continuano a essere presenti nei servizi dedicati all’assistenza mentale nonostante una forte opposizione pubblica volta al loro abbandono. Le diverse forme di contenzione – siano esse fisiche, farmacologiche o ambientali – si configurano sempre più come indicatori evidenti di inefficienza nel fornire cure appropriate e umane; emergendo da una scarsità acuta di professionisti formati ad hoc e orientamenti organizzativi datati. Inoltre, vi è una persistente assenza nell’adozione di approcci centrati sulla persona nella gestione delle crisi.

Il superamento dell’impiego delle contenzioni deve essere concepito come un traguardo tangibile piuttosto che una mera aspirazione impossibile; tale trasformazione necessiterà necessariamente di una revisione profonda del paradigma culturale attuale dei servizi sanitari associata a investimenti strategici nel campo della formazione continua degli operatori, oltreché nell’introduzione di innovative strutture operative. Sono già disponibili molteplici alternative alle pratiche coercitive; se ben applicate, possono effettivamente fungere da mezzi per affrontare o evitare situazioni critiche con maggiore efficacia, garantendo altresì la dignità individuale degli assistiti. Un campo d’intervento altrettanto significativo abbraccia le terapie sensoriali e l’impiego di spazi terapeutici caratterizzati da sicurezza e accoglienza. La progettazione di ambienti capaci di proporre stimoli sensoriali distensivi, come illuminazioni tenui, musicoterapia e aromaterapia, strutturati per minimizzare i rischi percepiti, gioca un ruolo cruciale nel diminuire stati d’ansia ed impedire il ricorso ad approcci coercitivi. Un setting confortevole che incoraggia un senso profondo di privacy assieme al rispetto per l’individuo rappresenta un elemento cardine nell’approccio assistenziale fondato sulla valorizzazione dell’umanizzazione delle cure. Un’efficace strategia per affrontare le sfide nella cura consiste nel coinvolgimento attivo dei familiari insieme alle reti sociali, che si propone come una valida alternativa all’uso della contenzione. Quando i familiari ricevono le giuste informazioni e il necessario supporto, hanno la potenzialità per assumere una funzione determinante nell’identificare tempestivamente segni precoci d’agitazione; offrono sostegno emotivo e interagiscono con i professionisti sanitari durante gli episodi critici. Creare una forte alleanza terapeutica tra gli operatori sanitari stessi, le persone assistite e i loro cari costituisce uno degli elementi imprescindibili al fine di favorire un ambiente caratterizzato da fiducia reciproca e all’individuazione coerente di strategie su misura volte alla gestione dei rischi.

In ultima analisi, sostenere l’autonomia nonché sviluppare le competenze dell’individuo tramite piani riabilitativi ad hoc combina attività lavorative o ricreative rendendo disponibile anche spazio per impegnarsi in azioni liberamente scelte dall’individuo stesso; ciò tende ad alleviare sentimenti legati alla frustrazione o inattività oltre al comune sentimento d’impotenza che frequentemente si traduce in maggiore probabilità d’agitazione o nell’adozione forzata di provvedimenti restrittivi. Investire in alternative alla contenzione comporta un intervento mirato verso un sistema sanitario psichico fondato sulla centralità dell’individuo. Tale approccio non solo incoraggia il benessere complessivo, ma si impegna altresì a tutelare i diritti fondamentali delle persone coinvolte. Questo processo richiede una determinata volontà politica e amministrativa, finalizzata a mobilitare le necessarie risorse destinate alla formazione degli operatori, oltre all’adeguamento strutturale dei servizi esistenti. È imprescindibile, infine, sviluppare modelli assistenziali volti all’implementazione di pratiche sempre più civili ed empatiche riguardanti la dignità intrinseca ad ogni persona. Superare l’uso delle contenzioni rappresenta una tappa cruciale nel cammino verso una vera terapia nella sfera della salute mentale e riveste fondamentale importanza nell’ambito dell’inclusione sociale.

La sfida di un futuro che onori il passato e abbracci l’innovazione nella cura della salute mentale

Una prova impegnativa per il domani: rispettare le tradizioni mentre si accoglie il progresso nelle pratiche di assistenza alla salute mentale

La questione relativa alla riforma della salute mentale in Italia oggi mette in luce le gravose sfide cui il nostro Paese è chiamato a rispondere. Questo avviene mentre si tenta una mediazione tra l’eredità storica offerta dalla Legge Basaglia e le crescenti difficoltà contemporanee. Con quasi cinquant’anni trascorsi dall’adozione della Legge 180, caratterizzata dall’obiettivo primario del superamento dei manicomi e da un forte impegno verso l’umanizzazione dell’assistenza psichiatrica, essa rimane indubbiamente un pilastro imprescindibile, illuminando la strada per quanti aspirano a costruire una sanità mentale più rispettosa dell’individuo. Tuttavia è opportuno sottolineare come la realizzazione pratica dei principi contenuti nella legge non abbia mostrato uniformità sul piano nazionale; ciò ha portato a disuguaglianze significative nell’accesso ai servizi e alla qualità delle prestazioni offerte.

L’attuale panorama normativo presenta diverse proposte legislative; malgrado tali divergenze, vi è una generale consapevolezza riguardo all’urgenza d’intervenire. Pertanto diventa imperativo garantire che i provvedimenti futuri possano fortificare i meriti associati alla Legge Basaglia, mirando all’innovazione senza riadottare pratiche superate o stigmatizzanti. La possibilità che alcune proposte legislative reintroducano, anche solo implicitamente, concetti come la “pericolosità sociale” e legittimino ulteriormente pratiche coercitive come le contenzioni solleva serie preoccupazioni. Rischiare di tornare indietro, anche solo in parte, significherebbe tradire lo spirito della Legge 180 e disattendere gli impegni assunti a livello internazionale in materia di diritti delle persone con disabilità.

Il cammino da percorrere richiede un impegno coraggioso e lungimirante. È necessario investire in modo significativo nella salute mentale, destinando una quota maggiore del bilancio sanitario a questo settore cruciale e garantendo risorse adeguate per i servizi territoriali, le equipe multidisciplinari e la formazione del personale. La formazione degli operatori non deve limitarsi agli aspetti clinici, ma deve includere una solida preparazione sui principi dell’approccio centrato sulla persona, sulle tecniche di de-escalation verbale, sull’etica dell’assistenza e sulla promozione dell’autonomia e dei diritti delle persone. Ritenere essenziale la diffusione di una cultura capace di sopraffare lo stigma legato al disturbo mentale, favorendo così l’inclusione sociale delle persone colpite, è imperativo. Tale obiettivo esige uno sforzo collettivo da parte delle istituzioni stesse, ma anche del tessuto sociale globale, dei media e degli studiosi impegnati nella ricerca. È indispensabile il coinvolgimento attivo non solo degli individui affetti da questi disagi, ma anche dei loro familiari durante il processo decisionale relativo alla creazione dei servizi; ciò risulta essenziale per assicurarsi che tali iniziative siano veramente rispondenti ai bisogni e alle aspirazioni registrate da coloro che affrontano quotidianamente la dura realtà della sofferenza psichica.

Adottando una prospettiva basata sulla psicologia cognitiva si evidenzia quanto i nostri modi interpretativi riguardo a noi stessi e all’ambiente circostante influenzino notevolmente il nostro stato d’animo. Per chi vive situazioni caratterizzate da disturbi mentali si traduce nella necessità incessante di confrontarsi con modalità cognitive errate; credenze autodistruttive concernenti la propria identità o il futuro possono emergere insieme a difficoltà nell’assimilare le informazioni in maniera adeguata. Un intervento iniziale mirato in questo settore si concentrerebbe sull’individuazione e sulla modifica di quei pensieri e schemi cognitivi disfunzionali, facilitando così lo sviluppo da parte dell’individuo di modalità mentali maggiormente realistiche ed edificanti.
Esaminando il fenomeno attraverso il prisma della psicologia comportamentale avanzata emerge l’importanza cruciale del contesto ambientale unitamente alle dinamiche sociali nell’affrontare i sintomi. Ad esempio, L’analisi funzionale del comportamento svelerà quali fattori ambientali specifici generino certi comportamenti o modi di pensare; ulteriormente permetterà la creazione di strategie tese alla modifica delle suddette circostanze. Questo approccio applicato al discorso riformista avanza l’idea secondo cui edificare spazi assistenziali maggiormente accoglienti insieme ad attivare relazioni benefiche risulterebbe notevolmente più vantaggioso nel lungo periodo rispetto alla mera repressione dei sintomi mediante strumenti coercitivi.

Invitiamo alla riflessione: quale disponibilità abbiamo come comunità nell’impegnarci per realizzare un domani in cui la salute mentale sia considerata un diritto imprescindibile, piuttosto che una mera opportunità? A quale grado siamo disposti a confrontarci con le nostre paure e i nostri pregiudizi, adottando un approccio centrato sulla persona? Essa comprende tanto la sua vulnerabilità quanto le straordinarie capacità insite in ciascuno di noi. Si tratta di una sfida aperta; infatti, le scelte politiche che saranno effettuate in Parlamento influenzeranno profondamente l’esistenza di milioni di individui. È auspicabile costruire un futuro capace non solo di rispettare il passato, ma anche di integrare innovazioni significative nel campo della salute mentale; ciò comporta tuttavia uno sforzo collettivo oltre a una visione audace per essere realizzato.


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