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Ciclista tra la vita e la morte: l’impatto devastante degli incidenti in Friuli Venezia Giulia

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  • Il 1° giugno, un ciclista 63enne ha subito traumi al torace e alla spalla a Polcenigo.
  • Nel 2023, si contano 197 ciclisti morti in Italia, +3.4% rispetto all'anno precedente.
  • Fratture della clavicola richiedono 45 giorni per riprendere l'allenamento indoor.

Recentemente le cronache provenienti dal Friuli Venezia Giulia hanno evidenziato un evento significativo riguardante la vulnerabilità dei ciclisti, aspetto troppo spesso trascurato tanto nelle aree urbane quanto su tracciati montani più complessi. In data 1° giugno si è registrata la richiesta d’aiuto da parte di un cicloamatore nel territorio montano circostante Polcenigo nella provincia di Pordenone. Questo individuo, sessantatreenne originario della provincia trevigiana, ha subito una caduta imprevista mentre si trovava lungo la strada sotto il Col Scarpat; qui il manto stradale presentava condizioni particolarmente rischiose a causa della ghiaia disseminata.
Il sinistro ha provocato gravi danni fisici all’uomo: essendo emersi traumi al torace e alla spalla, è stato indispensabile l’intervento tempestivo dell’elisoccorso; con abilità le squadre locali addette ai soccorsi sono riuscite a effettuare un atterraggio nelle immediate vicinanze dello scenario dell’accaduto. In seguito alla ricezione delle prime attenzioni mediche immediatamente sul luogo dell’incidente, il ciclista è stato prontamente trasferito all’ospedale civile di Pordenone per ulteriori trattamenti urgenti. Tale evento sottolinea l’importanza della cautela: anche una caduta che può sembrare insignificante—provocata da elementi esterni come la ghiaia—può comportare conseguenze gravi per la salute fisica dell’atleta su due ruote e potrebbe necessitare dell’intervento qualificato e del ricovero ospedaliero.
Il resoconto relativo a questo incidente si colloca all’interno dello scenario inquietante rappresentato dalle attuali statistiche sulla sicurezza stradale dei ciclisti. I dati più recenti relativi all’anno corrente hanno rivelato una crescita preoccupante nei tassi di mortalità tra i bikers in Italia; si parla infatti di 212 perdite umane, con un rincaro percentuale pari al 3.4% rispetto al periodo precedente. Secondo quanto riportato dall’Osservatorio Ciclistico ASAPS, sono stati contabilizzati purtroppo 197 mortali nel corso del primo semestre del nuovo anno: riconfermano primariamente ciò l’aumento della Lombardia nelle conte corrispondenti ai casi letali seguito dall’Emilia-Romagna e dal Veneto; specificamente durante il mese scorso, solamente a luglio vi sono stati registrati ben 34 incidenti fatali. [ASAPS]. Le regioni italiane come Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto si attestano infelici protagoniste nel conteggio delle fatalità sulle strade. Le origini di questo incremento del rischio risiedono in diversi aspetti: dalla necessità condivisa della carreggiata con veicoli motorizzati (incluse le inattese aperture delle portiere automobilistiche) alla presenza spesso insufficiente o rischiosa delle piste ciclistiche. Nella regione del Friuli Venezia Giulia sono stati registrati nell’anno corrente ben 3.187 incidenti stradali e 56 persone hanno perso la vita in tali episodi; sebbene questo segni un calo del 24,3% rispetto al biennio passato, si deve prestare particolare attenzione all’aumento preoccupante dei feriti – evidenziando ulteriormente il bisogno cruciale di misure attuate in favore della sicurezza sulle strade. [Tgcom24].

Questo contesto di rischio accresciuto è determinato da molteplici fattori: dalla condivisione della strada con veicoli a motore (incluse le aperture improvvise delle portiere delle auto) a infrastrutture ciclabili a volte inadeguate e rischiose. L’incidente di Polcenigo, pur non coinvolgendo altri veicoli, sottolinea un altro aspetto cruciale: il rischio intrinseco legato alle condizioni del percorso e alla velocità, aumentata anche dall’utilizzo sempre più diffuso di biciclette elettriche e mezzi più performanti nelle prestazioni atletiche.

Inoltre, è importante considerare che i traumi subiti dai ciclisti sono passati da “bassa” a “alta energia”: mezzi più veloci e percorsi più sfidanti significano incidenti con impatti più violenti. L’esperienza del ciclista 63enne con traumi al torace e alla spalla è un esempio concreto di come le cadute, anche senza collisione diretta, possano causare lesioni serie che richiedono un percorso riabilitativo strutturato.

Statistiche sui Ciclisti Morti nel 2023 Nella Lombardia, 5 decessi; nel Veneto e Toscana, 3 decessi ciascuna; in Campania, Friuli Venezia Giulia, Sardegna, Lazio, ed Emilia Romagna, 2 decessi ciascuna. L’anno ha visto un totale di circa 197 ciclisti morti in Italia.

La complessa natura dei traumi nel ciclismo: dal monolesione al politrauma

L’incidente occorso al ciclista a Polcenigo ha provocato traumi localizzati principalmente al torace e alla spalla; tale evento rappresenta quindi una vera frattura nella consueta integrità fisica. Questo scenario è emblematico delle varie tipologie di lesioni collegate agli incidenti di ciclismo su strada. A differenza di episodi di caduta isolata o altri tipi d’infortunio non complessi, un sinistro stradale avvenuto mentre si utilizza la bicicletta tende comunemente a risultare in quel fenomeno definito come politrauma. Esso fa riferimento a danni estesi che riguardano simultaneamente diverse zone corporee, complicando significativamente tanto la diagnosi quanto le opzioni terapeutiche.
Inoltre, tra i tipi di fratture osservate con maggiore frequenza nei ciclisti vittime d’incidenti emerge la clavicola, seguita dall’avambraccio, e dal polso. Nonostante ciò, crescendo insieme all’incremento delle velocità raggiungibili dai mezzi e ai loro livelli crescenti di potenza, si registra altresì un crescente numero d’incidenti implicanti ossa cruciali come quelle del femore e del bacino. Casi noti nel ciclismo professionistico, come gli infortuni subiti da atleti di spicco, hanno messo in luce la gravità di tali fratture e le lunghe tempistiche di recupero associate. Il politrauma può includere, oltre alle fratture, anche altre conseguenze come il colpo di frusta (particolarmente comune negli impatti), tagli e ferite di varia profondità, e soprattutto, traumi cranici.

Il trauma cranico nei ciclisti merita un’attenzione particolare. Anche nella sua forma lieve, spesso è sottovalutato sia dalla persona coinvolta che dai soccorritori in fase iniziale. I sintomi, come mal di testa persistente, vertigini o difficoltà di concentrazione, possono infatti emergere a distanza di ore o giorni dall’evento, rendendo difficile il riconoscimento immediato del “danno invisibile”. Le dinamiche che portano a un trauma cranico possono essere diverse, dall’investimento diretto a cadute autonome anche su fondi stradali non ideali. È fondamentale che, in presenza di fattori di rischio (come il meccanismo dell’incidente che coinvolge un autoveicolo) o sintomi preoccupanti, venga eseguita tempestivamente una scansione TC o, se necessario, una risonanza magnetica, poiché l’imaging è cruciale per identificare lesioni cerebrali, anche in assenza di sintomi neurologici eclatanti.
L’attenzione dedicata alle lesioni rilevate al torace e alla spalla del ciclista coinvolto nell’incidente di Polcenigo è fondamentale. Tali traumi, pur non avendo un legame diretto con le ferite craniche, rientrano comunque nella necessaria valutazione complessiva tipica dei pazienti politraumatizzati. Infatti, ciascun settore corporeo necessita di una considerazione approfondita per chiarire l’estensione totale delle lesioni subite.

A sintetizzare la situazione sono le varie modalità attraverso cui può manifestarsi la traumatizzazione legata agli incidenti ciclistici. Queste vanno dalle singole fratture, ad esempio quella della clavicola, oppure i già citati traumi toracici e brachiali nel caso in questione; si arriva anche a situazioni più articolate caratterizzate da sindromi politraumatiche con ripercussioni sistemiche notevoli. Un approccio consapevole rispetto all’ampia gamma possibile delle ferite diviene dunque cruciale nel disegnare il futuro iter riabilitativo che spesso si rivela lungo e pieno di ostacoli.

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  • ⚠️ Incidenti in bici: una vera piaga! Le statistiche sono allarmanti......
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Il percorso di riabilitazione: tempi, professionisti e tecniche

Il recupero da eventi traumatici rilevanti come quelli occorsi al ciclista in Friuli Venezia Giulia – coinvolgente sia il torace sia la spalla – così come dalle complicazioni associate agli incidenti ciclistici quali le fratture del bacino oppure del femore, è sicuramente una procedura complessa. Tale processo esige non solo pazienza, ma anche l’assistenza di professionisti altamente qualificati. La riabilitazione deve essere concepita non come una soluzione estemporanea bensì come un viaggio costruito su misura attorno alla severità delle problematiche sorte: essa ambisce a mitigare i dolori avvertiti ed integrare i postumi dovuti alle ferite subite riportando così al proprio stato ottimale.
In seguito all’eventuale trattamento nella sua forma acuta – questo potrebbe includere operazioni mediche mirate alla stabilizzazione delle fratture o altri tipi di trauma (per esempio nel caso della riduzione di una frattura scomposta) – si passa a uno stadio ulteriore che esige dedizione continua e accurata specializzazione nel recupero motorio. Qui risulta chiaro quanto sia indispensabile far scorrere con gradualità anche il fattore temporale; senza però trascurare l’importanza cruciale dell’esecuzione contemporanea, a tale intervallo cronologico, del piano riabilitativo concepito ad hoc. Sebbene restino importanti figure chiave quali il medico responsabile della gestione iniziale o lo specialista ortopedico coinvolto sin dai primi attimi dopo l’incidente – qui emerge preminentemente quella funzione strategica ricoperta dal fisioterapista, considerato fulcro indiscusso nel cammino verso una completa guarigione fisica. Questo specialista accompagna il paziente in un percorso terapeutico finalizzato al ripristino delle funzioni motorie e alla riscoperta dell’abilità manuale che potrebbero aver subito limitazioni. Si prevede l’impiego di attrezzi particolari, come i collari destinati al trattamento del colpo di frusta, oppure diversi supporti funzionali progettati per migliorare le capacità motorie.
Un altro elemento fondamentale nella riabilitazione fisica è rappresentato dal rafforzamento della massa muscolare, che potrebbe risultare ridotta a causa di prolungati periodi d’immobilità provocati da eventi traumatici (che causano atrofia). A tale scopo si ricorre anche all’utilizzo di pratiche consolidate, quali massoterapia; quest’ultima può essere combinata con metodi innovativi basati sull’impiego delle tecnologie più moderne. Tecniche come i trattamenti laser ed emissione infrarossa vengono frequentemente applicate al fine di accelerare i processi naturali cicatriziali nei tessuti lesionati, contribuendo così al ripristino dell’equilibrio tonico-muscolare. Inoltre, procedure quali l’elettrostimolazione assieme a esercizi focalizzati su specifiche aree muscolari costituiscono ulteriori strategie operative disponibili ai fisioterapisti affinché possano raggiungere un efficace ritorno della massa corporea.
É importante evidenziare quanto sia fondamentale considerare le differenze nei tempi richiesti, nonché nelle modalità adottabili durante il processo riabilitativo. Una frattura di clavicola in un ciclista amatoriale, ad esempio, potrebbe essere gestita chirurgicamente solo in casi particolari e richiedere circa 45 giorni prima di riprendere l’allenamento indoor, con un recupero completo visibile radiograficamente dopo circa 3 mesi. Per un atleta agonista o professionista, con lo stesso tipo di frattura, un intervento chirurgico potrebbe essere preferibile per accelerare i tempi, permettendo un ritorno in sella (con i dovuti rischi) già dopo 2-3 settimane.

Un Dato Importante sui Traumi Ciclistici
Studi suggeriscono che la riabilitazione dei traumi ossei varia in base al tipo di frattura: fratture della clavicola possono richiedere un ritorno in attività già dopo 45 giorni, mentre fratture del femore necessitano di un trattamento chirurgico e tempi di recupero più lunghi.

Questo esempio evidenzia come le esigenze funzionali e le richieste del paziente influenzino profondamente il percorso, ma sottolinea anche l’importanza di rispettare la fisiologia umana e i tempi biologici di guarigione per evitare complicanze o rallentamenti nel recupero. È imperativo intraprendere una riabilitazione tempestiva e mantenere un legame funzionale con i servizi dedicati, poiché ciò si rivela cruciale per massimizzare gli esiti favorevoli.

In aggiunta, non si deve sottovalutare il baffo biomeccanico. A seguito di lesioni significative, la conformazione fisica e le dinamiche motorie del ciclista potrebbero subire modifiche sostanziali. Pertanto, al termine della fase di recupero potrebbe risultare indispensabile attuare un corretto posizionamento sulla bici sotto la supervisione di esperti in biomeccanica oppure eseguire piccole regolazioni nell’attrezzatura necessaria affinché si possa tornare a una pedalata omogenea e performante; tutto questo servirà a scongiurare la comparsa di ulteriori dolori o disagi provocati da dismetrie corporee o da adattamenti posturali conseguenti al trauma subìto.

L’impatto psicologico dell’incidente e il ruolo fondamentale del supporto

Accanto ai danni fisici evidenti—tra cui i traumi toracici subiti dal ciclista trevigiano o la lussazione accompagnata da trauma cranico dell’escursionista verificatesi nei pressi di Barcis (un altro caso accaduto nel pordenonese)—vi è una dimensione psicologica non trascurabile generata dall’incidente ciclistico. L’esperienza traumatica impone sfide emotive ben oltre le ferite corporee visibili. Le reazioni personali davanti a simili eventi traumatici possono essere molteplici ed estremamente difficili da prevedere: si può passare da stati d’ansia immediati a effetti psichici che emergono soltanto nel lungo termine.
Fra le reazioni psicologiche più diffuse dopo eventi del genere figura il Disturbo da Stress Post-Traumatico (PTSD). Questo disturbo si traduce tipicamente in esperienze intrusive legate all’incidente stesso, comprendendo flashback continui, incubi persistenti, tendenze ad evitare luoghi o circostanze riconducibili al fatto traumatico, così come uno stato perenne caratterizzato dalla vigilanza aumentata insieme all’ansia.
Tuttavia, le reazioni emotive non si esauriscono nel PTSD; possono includere quadri depressivi, altri disturbi d’ansia generalizzata e fobie specifiche, come l’amaxofobia, ovvero la paura intensa di guidare o di essere trasportati in un veicolo a motore. Anche indicatori apparentemente minori, come un’aumentata irritabilità o una perdita di interesse per attività prima gradite, possono essere segnali di un disagio psichico sottostante che richiede attenzione qualificata.

Il trauma fisico stesso, specialmente se comporta lunghi periodi di immobilità o limiti funzionali, può avere un impatto significativo sullo stato mentale, alimentando frustrazione, un senso di vulnerabilità e la paura di non poter tornare alla vita di prima, inclusa l’attività ciclistica. Non sono rari i casi di sportivi che confessano di aver attraversato periodi di depressione in seguito a un infortunio grave, lottando con il dubbio di “tornerò mai come prima?”. Questo rende il supporto psicologico un elemento non accessorio, ma fondamentale e imprescindibile nel percorso di recupero post-incidente.
Il ricorso tempestivo alla consulenza da parte di uno psicologo o psichiatra esperto in traumi permette una valutazione accurata del potenziale danno psichico presente, agevolando sia la diagnosi che l’inizio immediato di un intervento terapeutico mirato. Approcci come l’EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) hanno dimostrato significative capacità nel curare i traumi psicologici associati a eventi quali incidenti sportivi. L’assistenza professionale sostiene gli individui nella rielaborazione dell’esperienza traumatica fornendo strumenti per gestire reazioni emotive intense; favorisce anche il recupero della fiducia personale e facilita il reinserimento nel quotidiano così come nelle attività sportive. Questo genere di intervento non è solo finalizzato al trattamento delle problematiche specifiche, ma rappresenta anche una risorsa fondamentale nell’affrontamento delle difficoltà pratiche ed emozionali legate alla riabilitazione.

All’interno dell’ecosistema della salute mentale, le interazioni umane assumono una rilevanza primaria; durante i processi riabilitativi, oltre alla dimensione individuale, c’è necessità del sostegno costante da parte dei propri cari: la rete sociale composta da amici o gruppi dedicati diventa così indispensabile nel percorso verso la guarigione.

Rivelare le esperienze vissute a fianco di individui che hanno superato difficoltà analoghe può contribuire in modo significativo a sminuire il senso di isolamento. Tale pratica fornisce anche occasioni per ottenere svariate prospettive, oltre a consolidare un forte sentimento di appartenenza. La resilienza, ovvero quel processo attraverso il quale ci si rialza dopo aver subito una caduta, non trova nutrimento in un contesto privo di relazioni significative; al contrario, essa fiorisce grazie all’attiva partecipazione nella ricostruzione del proprio stato di benessere personale. Si deve riconoscere che il valore del benessere psicologico riveste un’importanza fondamentale, senza considerare gli eventuali sviluppi legali o assicurativi relativi all’accaduto: ciò che conta prima di tutto è garantire la completa guarigione e il ristabilimento integrale dell’individuo.

Oltre l’evento: la risalita mentale e la costruzione della resilienza

Quello che accade dentro di noi dopo un trauma fisico importante, come un incidente in bicicletta con traumi al torace e alla spalla o lesioni più severe, è una sorta di terremoto non solo nel corpo ma anche nella mente. È normale sentirsi smarriti, spaventati, a volte come se una parte di sé si fosse spezzata insieme all’osso o al tessuto danneggiato. La psicologia cognitiva ci insegna una cosa importante: la nostra sofferenza non dipende solo dall’evento oggettivo dell’incidente, ma molto da come lo interpretiamo e dal significato che gli attribuiamo. Se pensiamo costantemente al pericolo scampato, alla fragilità percepita, al cambiamento forzato della nostra routine o al dolore fisico, la mente può rimanere “bloccata” in uno stato di ansia e paura, rendendo difficile anche solo pensare di tornare sulle due ruote, o semplicemente affrontare la quotidianità con serenità. È qui che emerge una nozione fondamentale di psicologia comportamentale: le tecniche di esposizione graduale. Se abbiamo paura di tornare in strada in bici, iniziare sedendosi sulla sella ferma, poi pedalando in un luogo sicuro come un cortile, e solo dopo affrontare percorsi sempre più complessi, aiuta il cervello a “riscrivere” l’associatione tra bicicletta e pericolo, dimostrando che la realtà percepita non è sempre letale come la paura iniziale suggerisce.

Andando un po’ più a fondo, in un’ottica più avanzata che sconfina nella neuropsicologia e nella gestione complessa del trauma, la riabilitazione psicologica post-incidente lavora sulla ristrutturazione cognitiva e sull’elaborazione del ricordo traumatico. Il PTSD, ad esempio, non è solo il rivivere l’evento, ma il fatto che il ricordo non sia stato “archiviato” correttamente nel cervello, rimanendo come “congelato” nel presente. Terapie come l’EMDR, attraverso l’attivazione bilaterale (spesso movimenti oculari), mirano proprio a facilitare questa rielaborazione, permettendo al ricordo di integrarsi nella rete mnemonica generale, riducendone la carica emotiva disturbante. Contemporaneamente si sta approfondendo il concetto di resilienza, non visto esclusivamente come una qualità innata ma piuttosto come un processo attivo volto all’adattamento positivo in presenza delle avversità. La capacità individuale di sviluppare resilienza dopo aver vissuto un trauma è fortemente influenzata dalla predisposizione a stabilire legami interpersonali e dalla volontà di cercare aiuto dagli altri oltre che ad accettarlo. Si presenta qui un intrigante paradosso: la recuperazione da traumi significativi fiorisce frequentemente nelle dinamiche condivise delle interazioni umane. Comprendere che si è parte integrante della collettività—con persone che hanno affrontato percorsi similari—mira a stimolare risorse interne ed esterne capaci di trasformare il peso del dolore in una base solida per ristrutturare l’esperienza personale verso direzioni potenzialmente innovative; diramando quindi verso nuovi modi altrettanto rilevanti o impattanti per raggiungere benessere e soddisfazione personale.


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