- 41 bis confermato per D'Ambrogio, detenuto dal 2011, per la sua influenza persistente.
- D'Ambrogio condannato a 19 anni e 8 mesi, estese la sua influenza a 4 aree.
- Guttadauro, nipote di Messina Denaro, eredita una posizione verticistica nella mafia.
41 Bis Confermati per D’Ambrogio e Guttadauro
La giustizia italiana ribadisce la sua fermezza nella lotta alla criminalità organizzata, confermando il regime carcerario del 41 bis per figure di spicco come Alessandro D’Ambrogio e Francesco Guttadauro. Queste decisioni, avallate dalla Corte di Cassazione, sottolineano la persistente pericolosità di questi individui e la necessità di isolarli per prevenire la ripresa di attività criminali. Il rigetto dei ricorsi presentati dai legali dei due boss evidenzia come le autorità giudiziarie ritengano ancora attuale il rischio che, senza le restrizioni imposte dal carcere duro, possano riattivare i loro collegamenti con l’esterno e continuare a esercitare la loro influenza all’interno delle rispettive organizzazioni mafiose.
D’Ambrogio: Un Mandamento Ancora Attivo
Alessandro D’Ambrogio, figura chiave del mandamento di Porta Nuova, rimane una minaccia concreta. Nonostante la detenzione iniziata nel 2011, la sua influenza non è scemata, come dimostrato dalla persistente attività del suo gruppo criminale e dalle segnalazioni della Direzione Distrettuale Antimafia (DDA) di Palermo riguardo a omicidi avvenuti nel territorio di riferimento. La sua “allarmante carriera criminale” e il suo “ruolo apicale” nell’organizzazione, unitamente all’assenza di segnali di dissociazione, hanno convinto il Tribunale di sorveglianza di Roma e la Cassazione a mantenere il regime del 41 bis. D’Ambrogio, che sta scontando una pena di 19 anni e otto mesi, era riuscito a estendere la sua influenza ben oltre il suo territorio originario, arrivando fino a Corso dei Mille, Brancaccio, Pagliarelli e Uditore. La sua agenzia di pompe funebri a Ballarò era un punto di riferimento, una “porta sempre aperta” per molti.
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Guttadauro: L’Eredità di Messina Denaro e le Dinamiche Familiari
Anche per Francesco Guttadauro, nipote di Matteo Messina Denaro, il 41 bis è stato confermato. La Cassazione ha respinto il suo ricorso, basandosi su un “compendio istruttorio tutt’altro che lacunoso” che evidenzia la sua “posizione verticistica” all’interno dell’organizzazione mafiosa. Gli investigatori guardano con attenzione a Guttadauro e alla zia Patrizia, sorella di Messina Denaro, per comprendere le future mosse della mafia trapanese. Patrizia, definita una “donna boss”, è stata condannata a 14 anni e mezzo di reclusione. Francesco, figlio di Filippo Guttadauro e Rosalia Messina Denaro, porta con sé un’eredità pesante, non solo quella dei Messina Denaro, ma anche quella paterna, con il padre Filippo all’ergastolo bianco e lo zio Giuseppe, boss del mandamento di Brancaccio. I profondi legami di parentela non si sono allentati, neanche dopo la dipartita del padrino.

Oltre le Sbarre: Riflessioni sulla Dissociazione e il Cambiamento
La conferma del 41 bis per D’Ambrogio e Guttadauro solleva interrogativi cruciali sulla possibilità di una reale dissociazione dalla criminalità organizzata. L’assenza di segnali di pentimento o di volontà di collaborare con la giustizia da parte di questi individui alimenta il dibattito sull’efficacia delle misure di isolamento e sulla necessità di sviluppare strategie più efficaci per favorire un cambiamento interiore e un distacco definitivo dal mondo criminale. La persistente influenza di figure come D’Ambrogio e Guttadauro, anche dietro le sbarre, dimostra la complessità del fenomeno mafioso e la difficoltà di eradicare una cultura criminale radicata nel territorio.
Un’Analisi Psicologica del Potere e della Resilienza Criminale
Amici, riflettiamo un attimo su cosa significa tutto questo. Da un punto di vista della psicologia comportamentale, la mancata dissociazione di figure come D’Ambrogio e Guttadauro può essere interpretata come un esempio di resistenza al cambiamento. I rinforzi positivi associati al potere e al controllo all’interno dell’organizzazione criminale creano un legame difficile da spezzare.
Ma andiamo oltre. Un concetto più avanzato, legato alla psicologia cognitiva, è quello della dissonanza cognitiva. Questi individui potrebbero trovarsi in uno stato di conflitto interiore tra i valori della società e quelli dell’organizzazione criminale. Per ridurre questa dissonanza, tendono a giustificare le proprie azioni e a negare la propria responsabilità, rendendo ancora più difficile un reale cambiamento.
Pensateci: cosa spinge una persona a rimanere fedele a un sistema criminale, anche quando questo significa rinunciare alla libertà e alla possibilità di una vita diversa? Quali meccanismi psicologici entrano in gioco? E come possiamo, come società, intervenire per spezzare questo ciclo e offrire alternative concrete a chi vuole davvero cambiare?