- Circa 1 persona su 3 con CVD ha anche disturbi mentali.
- La depressione colpisce il 18% dei pazienti con CVD.
- Dopo infarto, la depressione aumenta del 22% il rischio di decesso.
L’Emergenza Silenziosa: Salute Mentale e Malattie Cardiovascolari
Nel panorama della medicina moderna, emerge con forza un’esigenza impellente: riconoscere e affrontare la complessa interconnessione tra salute mentale e malattie cardiovascolari (CVD). Al Congresso ESC 2025 è stato presentato il primo Clinical Consensus Statement dedicato a questo nodo cruciale, spesso trascurato, che rivela come circa una persona su tre con CVD conviva anche con un disturbo di salute mentale. Questa coesistenza non solo aggrava il rischio di eventi cardiovascolari, ma incide significativamente sulla mortalità per tutte le cause.
Il documento, sviluppato sotto l’egida dello ESC Clinical Practice Guidelines Committee, pone un assunto di grande impatto: ogni condizione alimenta l’altra, e quando coesistono, gli esiti a lungo termine peggiorano sensibilmente. Si invoca un cambio di paradigma, integrando sistematicamente la salute mentale nei percorsi cardiologici e, specularmente, valutando il rischio cardiovascolare nelle persone già in cura per disturbi mentali.
L’impulso per questa iniziativa deriva dall’esigenza di identificare e affrontare con metodo la relazione complessa tra diverse problematiche di salute mentale (come depressione, ansia, disturbo post-traumatico da stress – PTSD, stati di stress e isolamento sociale) e le patologie cardiovascolari. Tale rapporto, di significativa rilevanza clinica e con ripercussioni su diagnosi, aderenza alle terapie, prognosi e costi sanitari, è spesso sottovalutato nell’ambito della cardiologia tradizionale.
L’ESC invita a un mutamento di approccio culturale: rendere la salute mentale parte integrante della prevenzione e cura delle patologie cardiovascolari, incentivando collaborazioni strutturate con gli esperti del settore psicologico e psichiatrico. Il documento, frutto di un rigoroso processo metodologico, mira a un’applicazione globale.

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La Doppia Sfida: Frequenza e Impatto della Comorbilità
La prevalenza di disturbi mentali nei pazienti con CVD è tutt’altro che trascurabile. La depressione, ad esempio, colpisce circa il 18% dei pazienti con CVD, secondo questionari validati, con una maggiore incidenza nelle donne e negli anziani. Anche stati d’ansia e il disturbo post-traumatico da stress (PTSD) mostrano un’ampia diffusione, con percentuali variabili in base alla specifica condizione patologica e agli strumenti di valutazione impiegati.
La coesistenza di problemi di salute mentale e CVD rende più difficile l’autogestione della malattia e il rispetto delle prescrizioni terapeutiche (farmaci, alimentazione, esercizio fisico, smettere di fumare), contribuendo a un aumento degli eventi avversi e della mortalità. Per fare un esempio, dopo un attacco di cuore, la depressione aumenta del 22% la probabilità di decesso per qualsiasi causa e del 13% gli eventi cardiovascolari per ogni incremento di una deviazione standard nel punteggio depressivo. Nei pazienti affetti da scompenso cardiaco, la comorbilità è associata a un maggior numero di ricoveri ospedalieri e a esiti clinici meno favorevoli. In sintesi, vi è una reciproca intensificazione tra condizioni mentali e cardiache, e trascurare la dimensione psicologica equivale a perdere opportunità cruciali per la prognosi.
Dalla Teoria alla Pratica: Interventi e Strategie Concrete
Il Consensus Statement dell’ESC propone una serie di azioni concrete da implementare in reparto e in ambulatorio:
1. Indagini e verifiche continue: Rendere routinario lo screening per sintomi di depressione, ansia e PTSD durante tutte le fasi della gestione cardiovascolare: al momento della diagnosi, dopo eventi o procedure mediche, durante i controlli periodici e ogni volta che sia clinicamente appropriato.
2. Si prediligono metodologie di screening brevi e certificate, strutturate in due fasi (ad esempio, PHQ-2 seguito da PHQ-9 per la depressione; GAD-2 seguito da GAD-7 per l’ansia). Questi strumenti possono essere facilmente integrati nei percorsi clinici e nelle cartelle mediche elettroniche, e si può ricorrere anche a indicatori di qualità della vita per individuare tempestivamente eventuali segnali d’allarme.
3. Approcci gestionali basati su modelli “stepped care”: L’intensità dell’intervento va modulata in base alla gravità dei sintomi, alle preferenze del paziente e alle risorse disponibili: si può spaziare dall’informazione psico-educativa e dal supporto (anche digitale), a terapie psicologiche strutturate (come la CBT e programmi multicomponenti), fino alla farmacoterapia mirata, quando appropriata. Il modello “stepped care” è flessibile e ideato per connettersi efficacemente con la riabilitazione cardiologica e gli interventi volti a migliorare lo stile di vita.
4. Precauzioni farmacologiche con focus cardiovascolare: Gli antidepressivi, nei pazienti con patologie cardiovascolari (CVD), mirano primariamente a mitigare i sintomi e a elevare la qualità della vita. Riguardo all’efficacia sull’incidenza di eventi cardiovascolari avversi maggiori (MACE), le evidenze scientifiche sono miste. Il loro utilizzo è consigliato quando necessario, all’interno di un approccio “stepped care” che comprenda anche psicoterapia, esercizio fisico e riabilitazione. Generalmente, si inizia con un SSRI, considerati i più compatibili a livello cardiaco. Nella pratica clinica, la sertralina (o fluoxetina) si rivela spesso una scelta iniziale ben bilanciata. Con citalopram/escitalopram, è fondamentale mantenere dosaggi ridotti e monitorare l’intervallo QTc. L’uso di antidepressivi triciclici dovrebbe essere evitato in presenza di patologie cardiache. Gli SNRI sono indicati solo se la pressione arteriosa è ben controllata; la mirtazapina può essere utile per insonnia/anoressia, ma occorre prestare attenzione al peso e al profilo metabolico. Il bupropione può supportare la cessazione del fumo, con cautela riguardo alla pressione arteriosa e alla soglia convulsiva.
5. Interventi non farmacologici basati su evidenze: Attività fisica (migliora i sintomi depressivi nello scompenso e la qualità della vita), alimentazione e nutrizione (dieta mediterranea, acidi grassi omega-3), cessazione del fumo (approcci strutturati e combinazione di consulenza con terapie sostitutive o farmaci), gestione dello stress e del sonno (mindfulness, meditazione e rilassamento muscolare progressivo).
6. Strutturazione dell’assistenza: dal singolo professionista al team psico-cardiaco: Creare “Psycho-Cardio Teams” che comprendano psicologi e psichiatri, operando a fianco degli specialisti cardiovascolari, integrati nei protocolli standard e adattati alle specificità locali.
Verso un Approccio Olistico: La Psiche al Centro della Cura Cardiaca
L’iniziativa dell’ESC rappresenta un passo fondamentale verso un approccio più olistico alla cura del paziente cardiovascolare. Integrare la salute mentale nei percorsi cardiologici non è solo una questione di efficacia clinica, ma anche di umanizzazione della medicina. Riconoscere e trattare i disturbi psichici nei pazienti con CVD può migliorare significativamente la loro qualità di vita, promuovere l’aderenza ai trattamenti e, in ultima analisi, ridurre il rischio di eventi cardiovascolari e mortalità.
È essenziale superare la frammentazione tra le discipline mediche e promuovere una collaborazione sinergica tra cardiologi, psichiatri, psicologi e altri professionisti della salute. Solo attraverso un approccio integrato e multidisciplinare sarà possibile affrontare efficacemente la complessa interazione tra cuore e mente e garantire ai pazienti una cura completa e personalizzata.
Amici, riflettiamo un attimo su quanto sia cruciale questo cambio di prospettiva. Spesso, nella frenesia della vita quotidiana e nella complessità delle cure mediche, tendiamo a separare il corpo dalla mente, come se fossero entità distinte. Ma la verità è che sono profondamente interconnessi, e ciò che accade all’uno inevitabilmente influenza l’altro.
Una nozione base di psicologia cognitiva ci ricorda che i nostri pensieri, emozioni e comportamenti sono strettamente legati alle nostre funzioni fisiologiche. Lo stress cronico, l’ansia e la depressione possono avere un impatto devastante sul sistema cardiovascolare, aumentando la pressione sanguigna, il colesterolo e il rischio di infarto e ictus.
Ma c’è di più. Una nozione avanzata di medicina psicosomatica ci insegna che le malattie cardiovascolari non sono solo il risultato di fattori biologici, ma anche di esperienze traumatiche, relazioni interpersonali difficili e modelli di pensiero disfunzionali. Affrontare questi aspetti psicologici può essere fondamentale per prevenire e curare le malattie del cuore.
Quindi, la prossima volta che vi prendete cura del vostro cuore, non dimenticate di prendervi cura anche della vostra mente. Coltivate relazioni positive, gestite lo stress, praticate attività che vi portano gioia e cercate aiuto se ne avete bisogno. Il vostro cuore vi ringrazierà.