PTSD: come il ‘viaggio mentale nel tempo’ influenza il 90% dei pazienti

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  • Il viaggio mentale nel tempo (MTT) è cruciale per trattare il PTSD.
  • Dal 2007 la memoria sovra-generalizzata è un indicatore di traumi psicologici.
  • Individui con PTSD generano più dettagli esterni che interni.
  • Il DBR ha ridotto i sintomi del 36.6% post-trattamento.
  • La terapia narrativa facilita l'elaborazione di eventi dolorosi.

Il potere della narrazione interiore: un viaggio attraverso sé

Il 2 agosto 2025 segna una data cruciale per quanto concerne lo stato della salute mentale: recenti scoperte hanno messo in luce la straordinaria facoltà umana di manovrare attraverso i meandri temporali utilizzando esclusivamente il potere della mente; tale fenomeno ha ricevuto la denominazione di Viaggio Mentale nel Tempo (MTT). Non si tratta soltanto di un aspetto singolare d’interesse accademico; al contrario, esso emerge quale fattore imprescindibile nella comprensione e nel trattamento delle conseguenze neurocognitive derivanti da esperienze traumatiche, incluso quel disturbo noto come PTSD o Disturbo da Stress Post-Traumatico. Le indagini attuali illuminano su come rivivere momenti trascorsi ed elaborare proiezioni future influenzino significativamente le nostre reazioni rispetto al trauma e all’ansia.

Nel corso degli ultimi decenni, gran parte dell’interesse scientifico ha gravitato attorno agli eventi del passato: questo studio delle memorie autobiografiche (AM) ha svelato varie modificazioni concomitanti, quale quella nota con il nome di memoria sovra-generalizzata, o OGM—un modello comportamentale dove gli individui dimostrano difficoltà nel riportare informazioni specifiche riguardanti eventi passati, preferendo evocare ricordi piuttosto generici o indistinti. Sin dal 2007, tale tendenza alla sovrageneralizzazione è emersa quale importante indicatore dei sintomi associati ai traumi psicologici. Tuttavia, le recenti scoperte spingono a guardare oltre, verso la componente del pensiero futuro del MTT, nota come Episodic Future-Thinking (EFT).

Il concetto di MTT, introdotto dal neuropsicologo Endel Tulving nel 1985, non si limita a un semplice ricordo del passato, ma abbraccia anche la capacità di proiettare sé stessi in scenari futuri, attingendo alla stessa memoria episodica che ci permette di rivivere il passato. Sebbene il corpo rimanga ancorato al presente, la mente si libra con sorprendente agilità tra “qui e ora” e “lì e allora”. Questa flessibilità è cruciale per funzioni cognitive quotidiane come il processo decisionale, la risoluzione di problemi e la definizione di obiettivi. Tuttavia, nel PTSD, questa malleabilità può trasformarsi in un ostacolo, poiché le alterazioni della memoria episodica influenzano negativamente la costruzione di scenari futuri, spesso distorcendo le prospettive e alimentando un perpetuo senso di minaccia.

È in questo crocevia tra passato e futuro che sorgono le nuove sfide e le promettenti opportunità terapeutiche. Mentre la OGM è stata ampiamente studiata e ha dimostrato di poter essere un bersaglio efficace per la terapia, si sta ora esplorando come indirizzare le alterazioni del pensiero futuro. La ricerca recente, ad esempio, ha evidenziato come gli individui con PTSD tendano a generare maggiori dettagli esterni (non episodici) rispetto a dettagli interni (episodici) sia nel recupero della memoria che nell’EFT, suggerendo una difficoltà nell’accesso a esperienze soggettive ricche di sfumature. Questo modello di sovrageneralizzazione si manifesta anche nell’EFT, interessando popolazioni post-traumatiche con esposizioni eterogenee al trauma e suggerisce la necessità di nuove direzioni di ricerca e intervento.

A stylized illustration representing mental  time travel, with a brain's network connecting past memories and future projections.
Illustrazione stilizzata che rappresenta il viaggio mentale nel tempo.

Tra il “se” e il “forse”: il pensiero controfattuale e il peso dell’ansia

Il pensiero controfattuale, ovvero la tendenza a immaginare scenari alternativi al passato (“e se… fosse successo questo?”), rappresenta una dimensione psicologica di grande rilevanza nel contesto dell’ansia e del rimpianto. È una capacità intrinseca alla mente umana, che ci permette di esplorare mondi possibili e di apprendere dalle esperienze vissute. Tuttavia, quando questo processo si trasforma in una ruminazione ossessiva, può diventare una fonte di intensa sofferenza psicologica, alimentando un ciclo vizioso di dolore, ansia, rabbia e frustrazione.

Questa forma di pensiero ripetitivo, spesso rivolta al futuro con la domanda ricorrente “e se poi…?”, è strettamente legata al rimuginio (worry), che nel tempo non solo mantiene ma aggrava i livelli di ansia. Il pensiero controfattuale assume una valenza particolarmente patogena quando impedisce di concentrarsi sul presente e sul corpo, portando a una disconnessione tra mente e percezione corporea. Molti individui affetti da ansia e PTSD rimangono intrappolati in un “presente permanente” mentale, dove il corpo è paziente e la mente viaggia incessantemente tra passato e futuro in un tentativo futile di riscrivere la storia o anticipare catastrofi. Questa incapacità di ancorarsi al “qui e ora” è un sintomo distintivo delle difficoltà legate al viaggio mentale nel tempo negli individui traumatizzati.

L’impatto di un evento traumatico sulla memoria è profondo e sfaccettato. Le informazioni sensoriali possono non convergere adeguatamente per creare un ricordo coerente; la memoria episodica, quella che ci permette di ricordare un evento in un tempo e luogo specifici, può essere alterata. Questo porta a frammentazione e disorganizzazione dei ricordi traumatici, che possono manifestarsi come flashback vividi e intrusivi, privi di prospettiva temporale, caratterizzati da una qualità di “qui e ora”. Parallelamente ai flashback, emergono i flashforward, intrusioni episodiche che proiettano scenari futuri negativi, spesso legati a minacce o paure preesistenti. Questi due fenomeni, benché distinti nella loro direzione temporale, condividono un vissuto fenomenologico di “conoscenza” e possono essere ugualmente debilitanti. Attualmente gli studi si stanno indirizzando verso l’analisi dell’influenza del trauma sui diversi tipi di memorie, sia quelle volontarie che quelle involontarie. Le recenti scoperte indicano infatti che entrambe le categorie di memoria legate all’esperienza traumatica risultano avere maggiore accessibilità, correlata a intensità più elevate dei sintomi del PTSD. Tale osservazione contrasta con l’idea preesistente riguardo alla difficoltà nell’accesso alle memorie traumatiche in modo intenzionale. Per avanzare nella comprensione della materia sarà cruciale impiegare approcci metodologici diversificati e integrativi nel prossimo futuro; fra cui spiccano quelli fondati su esercizi pratici specifici per delineare meglio le differenze fra vari modelli mnestici associabili al trauma vissuto. Inoltre, intervenire attraverso la tecnica dell’imagery rescripting, capace di alterare il valore emotivo attribuito alle immagini traumatiche stesse, rappresenta un percorso potenzialmente innovativo per gestire tanto i flashback quanto i flashforward – dando così ai pazienti strumenti efficaci per rivedere non solo eventi passati ma anche visioni cariche d’ansia inerenti il loro avvenire.

La resilienza e la memoria autobiografica: percorsi di cura

La resilienza psicologica, intesa come la capacità di riprendersi e adattarsi dopo eventi avversi, è intrinsecamente legata al funzionamento della memoria autobiografica (AM). La nostra storia personale, composta da un mosaico di eventi, esperienze e conoscenze, non è solo un archivio del vissuto, ma un ponte dinamico tra passato, presente e futuro. È proprio attraverso la rielaborazione della narrazione di sé che si possono costruire percorsi di guarigione e potenziamento. La terapia narrativa, ad esempio, si rivela uno strumento efficace per trattare le memorie traumatiche, offrendo un quadro per integrare eventi dolorosi nella storia di vita del paziente, facilitandone l’elaborazione e la rassegnazione.

Gli individui che percepiscono il trauma come un evento centrale e trasformativo nella loro storia, sia nel passato che nel futuro, tendono a sperimentare una maggiore gravità dei sintomi del PTSD. Questa “centralità dell’evento” (misurata con scale come la Centrality of Event Scale – CES) è costantemente associata a una maggiore sintomatologia. Fortunatamente, studi recenti suggeriscono che la centralità del trauma può essere modificabile attraverso interventi terapeutici mirati, come le versioni modificate della Acceptance and Commitment Therapy (ACT), contribuendo a una diminuzione dei sintomi del PTSD.

Le interviste con esperti del settore, come la neuroscienziata e psichiatra Ruth Lanius, autrice di “La cura del Sé traumatizzato”, illuminano le nuove frontiere nella comprensione e nel trattamento del trauma e della dissociazione. La dottoressa Lanius enfatizza l’importanza di una diagnosi accurata per i pazienti traumatizzati, suggerendo un approccio che esplori la dimensione del tempo (“le capita di perdere momenti della sua giornata?”), del pensiero (voci bambine distinguono psicosi da dissociazione), del corpo (sensazione di non appartenenza al proprio corpo indica dissociazione complessa) e delle emozioni (ottundimento o compartimentalizzazione). Questo modello quadridimensionale rappresenta una bussola per i clinici, permettendo di intercettare sintomi spesso mascherati da disturbi depressivi o d’ansia.

Titolo: La cura del Sé traumatizzatoAutrice: Ruth LaniusEditore: Raffaello CortinaAnno: 2015

Lanius sottolinea l’importanza di un approccio neurofenomenologico, che integri la comprensione biologica delle esperienze soggettive dei pazienti. Quando si ricorda un trauma, le reazioni neurobiologiche possono essere diametralmente opposte: un iper-arousal con aumento del battito cardiaco e specifici pattern cerebrali, oppure un completo shut down caratterizzato da ottundimento emotivo e depersonalizzazione. Comprendere queste differenze è cruciale per una terapia personalizzata.

Tra le terapie efficaci, Lanius distingue quelle centrate sul presente, come la Mindfulness, la DBT (Terapia Dialettico-Comportamentale) e lo Yoga, che aiutano a stabilizzare il paziente, e quelle centrate sul passato, come la EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing), la Cognitive Processing Therapy, la Terapia dell’Esposizione Prolungata e la Terapia dell’Esposizione Narrativa. La finalità consiste nel presentare un approccio integrato, il quale non si fonda esclusivamente su un’unica metodologia, bensì si avvale di un ampio ventaglio di risorse terapeutiche suscettibili di essere personalizzate in relazione alle varie fasi del percorso di assistenza sanitaria.

Trattare il trauma: nuove prospettive e interventi innovativi

La ricerca sui trattamenti per il Disturbo da Stress Post-Traumatico sta evolvendo rapidamente, con un focus crescente su interventi che sfruttano la capacità di “viaggio mentale nel tempo”. Sebbene i progressi in farmacoterapia e psicoterapie basate sull’evidenza siano stati significativi, una porzione di pazienti non risponde adeguatamente ai trattamenti attuali, evidenziando la necessità di nuove strategie e approcci innovativi.

Un recente approccio innovativo è rappresentato dal Deep Brain Reorienting (DBR), proposto da Frank Corrigan, un metodo che mira ad agire più in profondità sulle memorie traumatiche, concentrandosi sui circuiti del mesencefalo e sulla loro integrazione con le esperienze affettive. Il DBR si distingue per la sua attenzione agli “shock pre-affettivi” e “affettivi”, momenti di orrore rapidi e ad alta energia che, se non elaborati, possono persistere per anni. Corrigan sottolinea come il DBR possa essere un’utile integrazione al “kit di strumenti” dei traumatologi esperti, soprattutto quando i conflitti di attaccamento precoci o le memorie traumatiche mantengono un potere sintomatico.

Un recente studio ha dimostrato l’efficacia del DBR nel trattamento del PTSD, evidenziando una significativa riduzione dei sintomi post-trattamento e a follow-up. Nello studio, i soggetti sottoposti a trattamento con DBR hanno mostrato una riduzione dei sintomi del 36.6% dal pre-trattamento al post-trattamento e del 48.6% dopo 3 mesi, rispetto al gruppo in lista d’attesa, il quale ha mostrato solo un 8% di miglioramento. Narrazioni dell’impatto del DBR suggeriscono che la terapia potrebbe suggerire un percorso per affrontare le memorie traumatiche con un meno tasso di abbandono rispetto ad altri metodi.

Le intrusioni episodiche nel futuro, note come flashforward, stanno ricevendo sempre più attenzione nella ricerca. Simili ai flashback per la loro capacità di evocare un senso fenomenologico di “conoscenza” del futuro, i flashforward sono stati osservati in pazienti depressi con ideazione suicida e in sopravvissuti a disastri come Chernobyl, dove si proiettavano in futuri problematici. È stato persino notato che lo stress pre-traumatico, ovvero i pensieri futuri su ciò che potrebbe essere sperimentato in combattimento, era un predittore affidabile di PTSD. Questo suggerisce che le aspettative negative sul futuro possano essere tanto dannose quanto i ricordi negativi del passato.

Glossario:

  • Deep Brain Reorienting (DBR): un approccio terapeutico innovativo per il trattamento del trauma.
  • Episodic Future-Thinking (EFT): la capacità di immaginare eventi futuri basati sulla memoria episodica.
  • Memoria sovra-generalizzata (OGM): un fenomeno in cui i dettagli specifici di eventi passati sono difficili da richiamare.

L’obiettivo della ricerca è chiarire i meccanismi sottostanti la relazione tra MTT e PTSD, ritenendo che il MTT possa essere responsabile delle persistenti menomazioni sociali e funzionali legate al disturbo. Nella ricerca futura si rende necessaria un’approfondita analisi del contributo che svolge il sè futuro all’interno del quadro clinico legato al PTSD. È fondamentale considerare l’intimo legame esistente tra la capacità individuale di effettuare un vero proprio viaggio mentale attraverso le esperienze temporali e i processi identificativi del soggetto stesso. Di conseguenza, emergono come rilevanti approcci terapeutici che agiscano direttamente sui meccanismi associati al MTT e alla narrativa identitaria: pratiche come l’Imagery Rescripting, tecniche di metacognizione, programmi per il potenziamento dell’autoefficacia e sessioni dedicate al training alla specificità della memoria e della prospettiva devono essere considerati percorsi innovativi pronti ad essere investigati in maniera approfondita nella pratica clinica rivolta a soggetti colpiti dal PTSD. Tali metodi puntano a ricostruire non solo le memorie legate al passato, ma altresì a rimodellare una visione proattiva dei futuri scenari; ciò consente agli individui coinvolti di concepire possibilità future più luminose ed efficaci, contribuendo così ad accrescere resilienza psicologica ed uno stato generale di benessere.

In questo complesso panorama mentale dell’individuo si cela un fenomeno intrigante che potrebbe trasformarsi nella chiave per affrontare sfide psichiche: quel “viaggio mentale nel tempo”, sempre più riconosciuto quale guida preziosa nei labirinti delle esperienze traumatiche passate. In vari modi possiamo aver condiviso l’esperienza – quel frangente nel quale il nostro pensiero si eleva e ci riconduce a immagini passate o prospettive future – rappresenta molto più che un semplice vagare mentale; esso incarna una funzione cruciale della nostra memoria episodica. Immaginate quindi l’esistenza di una vastissima libreria personale contenente eventi vissuti ed emozioni provate. La memoria episodica agisce come uno strumento vivificante: non solamente archivia queste esperienze sotto forma scritta ma ci abilita a riscoprirle e riviverle intensamente. In questo contesto meraviglioso notiamo come tale “libreria” consenta simultaneamente non solo ricordi nostalgici ma anche opportunità creative per il domani; lì dove le moderne pratiche terapeutiche si adoperano con fervore nel piantare semi d’innovazione.

A livello più profondo emerge quasi in sussurri dall’ambito neuroscientifico un concetto intrigante: la coscienza autonoetica, ovvero quella qualità distintiva attraverso cui percepiamo noi stessi come entità coese nel fluire del tempo; avvertendo fortemente che ciò che è accaduto a me ieri potrà verificarsi nuovamente a me domani. Questa consapevolezza del sé nel flusso del tempo è il fondamento su cui si costruisce la nostra identità e il nostro benessere. Quando questa funzione viene alterata da un trauma, si può come rimanere bloccati in un limbo di “presente permanente”, incapaci di tessere il filo tra le esperienze e il senso di sé. Ma è qui che entra in gioco l’arte della terapia: reimparare a navigare questa autonoesi, a ricucire le ferite del tempo nella propria narrativa, non per cambiare il passato – quello resta intoccabile – ma per cambiare il modo in cui quel passato vive in noi e influenza il nostro domani. Riflettere su come la nostra mente si muove nel tempo è come osservare le increspature di uno stagno dopo che una pietra è caduta: le onde si propagano, toccando ogni angolo. Per noi, ogni ricordo, ogni previsione, è quell’increspatura che modella la superficie della nostra anima.

An abstract representation of  the deep emotional connections between memories, emotions, and time.
Illustrazione che rappresenta le connessioni emotive tra memoria, emozioni e tempo.
Concept art of  a person meditating, surrounded  by memories and  future visions,  symbolizing therapeutic healing.
Illustrazione concettuale che simboleggia un processo di guarigione terapeutica attraverso la meditazione.

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