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Violenza psicologica: perché la famiglia non dovrebbe essere una prigione?

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  • Nel 2022, il 10,1% delle donne ha subito violenza psicologica.
  • Nel 2023, 13.793 richieste di aiuto per violenza domestica.
  • Il 53% delle vittime LGBTQ+ ha subito abusi in famiglia.

Le recentissime esternazioni pubbliche emanate da personaggi influenti quali Chiara Ferragni durante un evento promosso dal Codacons contro la violenza sulle donne hanno nuovamente focalizzato l’attenzione su una questione estremamente delicata ma spesso relegata nell’oblio: quella della violenza psicologica che si consuma nel contesto familiare. Dichiarando chiaramente di essersi trovate ad affrontare esperienze come vittime di violenza psicologica e verbale, così come attestando che per la famiglia giustifichiamo comportamenti sbagliati, si fa luce su un meccanismo subdolo che intrappola molte donne italiane. L’idea largamente accettata – quasi elevata al rango di dogma – è quella secondo cui mantenere l’integrità dell’unità familiare costituisca una priorità assoluta per la quale qualsiasi sacrificio è permesso; tale concezione diviene così uno strumento formidabile sia nel legittimare le continue vessazioni emotive sia nel sostenerle attraverso malefiche forme manipolative. Questo processo altera drasticamente il concetto stesso di casa: invece di essere rifugio sicuro ed affettuoso dove coltivare relazioni sane, essa si trasforma in uno scenario carico di profonde sofferenze umane frequentemente celate dall’opinione pubblica; ciò avviene principalmente a causa del timore del giudizio sociale esterno o dalla necessità economica o perfino dall’esistenza di un viziato senso di dovere verso i propri figli.


I dati non fanno che confermare questa allarmante realtà. Sebbene spesso la violenza psicologica sia più difficile da quantificare rispetto a quella fisica, le statistiche indicano che un numero considerevole di donne, ovvero oltre due milioni e mezzo (10,1%) solo nel 2022, dichiarano di vivere o aver vissuto situazioni di violenza psicologica, manifestata attraverso atti di controllo, denigrazione e umiliazioni da parte di persone a loro vicine. Questa cifra sale vertiginosamente, raggiungendo circa dodici milioni (50,4%), se si considera l’esperienza di questo tipo di violenza nel corso della vita. Questi numeri evidenziano un fenomeno capillare, un’epidemia silenziosa che erode l’autostima e la salute mentale delle vittime. Secondo il report della Polizia di Stato, nel 2023, le richieste di aiuto e intervento per episodi di violenza domestica o di genere subita dalle donne sono state 13. Il numero 793 evidenzia un forte coinvolgimento dei minorenni, che si trovano ad affrontare situazioni di violenza assistita in concomitanza con le operazioni condotte dalle Forze di Polizia. [Save the Children].

È cruciale comprendere che la violenza psicologica non è “meno grave” della violenza fisica; al contrario, i suoi effetti a lungo termine possono essere devastanti, minando l’identità della persona e rendendo estremamente complesso il percorso di uscita dalla relazione tossica. Salvare la famiglia a tutti i costi, nel momento in cui uno dei suoi membri è autore di violenza psicologica, significa in realtà salvare la violenza stessa, perpetrando un circolo vizioso che danneggia non solo la vittima diretta, ma anche i figli, i quali diventano spesso testimoni di “violenza assistita”, un trauma che lascia cicatrici indelebili.

Dati cruciali sulla violenza domestica:

  • Circa 13.793 richieste di aiuto per violenza domestica nel 2023.
  • Il 61.5% degli abusi avviene per mano di partner attuali o ex.
  • Nei casi di violenza in cui sono coinvolti minori, oltre 2. La varietà e l’intricata natura delle problematiche associate all’affido dei minori è chiaramente illustrata nei casi in cui questi piccoli vengano separati dalle loro madri a causa di denunce di violenza domestica, o addirittura, più gravemente, siano posti sotto la custodia di padri abusivi. Tale situazione evidenzia con forza l’urgenza che le istituzioni e gli esperti del settore si dotino di un sistema educativo ed empatico, capace di discernere con maggiore accuratezza le complicate dinamiche coinvolte nella violenza familiare.

Risonanza nella comunità LGBTQ+

La dimensione della violenza psicologica, così come la coercizione e il controllo manipolativo, trascende i confini delle relazioni eterosessuali. I membri della comunità LGBTQ+ sono esposti a forme distinte di violenza psicologica, che pur avendo caratteristiche particolari relative al loro orientamento sessuale e identità di genere, condividono modalità operative con quelle subite dalle donne: manipolazione, isolamento e denigrazione sono fra queste. Nelle interazioni tra persone dello stesso sesso o nel contesto delle relazioni transgender possono verificarsi disparità nei rapporti di forza; in taluni casi uno dei partner utilizza strategie psico-emotive per controllare l’altro sfruttando i punti deboli derivati dall’identità personale non completamente accettata socialmente oppure paventando minacce di outing. Stando a quanto riportato dalla Gay Help Line nel 2024, è stato registrato un incremento degli episodi violentemente perpetrati nei confronti della comunità LGBTQ+, evidenziando che il 53% delle vittime ha subito abusi nelle proprie famiglie; questo fenomeno risulta particolarmente grave per giovani e adolescenti. [Alley Oop]. Le esperienze di omotransfobia, evidenziate da rapporti recenti, mostrano come la violenza, in questo contesto, non sia solo psicologica, ma spesso sfoci in aggressioni verbali e fisiche, spingendo le vittime a una condizione di maggiore vulnerabilità e isolamento. Aggressioni a sfondo omofobico, come quelle avvenute a Roma o Torino, con coltellate, pugni, calci e l’uso di spray al peperoncino, dimostrano una brutalità che affonda le radici nel pregiudizio e nell’odio.

Il peso della discriminazione esterna può esacerbare le dinamiche disfunzionali all’interno delle relazioni LGBTQ+. L’ambiente esterno, spesso ostile o poco accogliente, rende più difficile per le vittime denunciare le violenze subite all’interno della coppia, temendo di non essere credute o di affrontare ulteriori stigmatizzazioni. Il senso di solidarietà interna alla comunità, pur fondamentale, può talvolta spingere alla minimizzazione dei problemi per non “dare adito” a chi già critica le relazioni non eteronormative.

Statistiche sulla violenza nella comunità LGBTQ+:

  • Il 36.6% delle vittime ha subito violenze familiari post coming out.
  • Un 32.3% ha sperimentato risposte violente dai familiari dopo il coming out.
  • Nell’ultimo anno, il 27% degli attacchi contro coppie dello stesso sesso sono avvenuti in luoghi pubblici.

È fondamentale riconoscere che la violenza non dovrebbe avere genere, eppure la narrazione prevalente tende ancora a focalizzarsi principalmente sulla violenza subita dalle donne, lasciando nell’ombra le sofferenze degli uomini vittime di violenza all’interno delle relazioni, o quelle specifiche della comunità LGBTQ+. Comprendere queste dinamiche, spesso complesse e stratificate, richiede un approccio che tenga conto delle intersezioni tra genere, orientamento sessuale, identità di genere e le forme di violenza psicologica e fisica che si manifestano in questi contesti.

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  • Articolo illuminante! Finalmente si parla apertamente di......
  • Ma la famiglia non è sacra? 🤔 Non esageriamo......
  • Violenza psicologica: l'arma silenziosa che distrugge...💔...

Strategie di riconoscimento e gestione

Riconoscere la violenza psicologica e verbale all’interno delle relazioni, siano esse eterosessuali o all’interno della comunità LGBTQ+, rappresenta il primo, cruciale passo per interrompere il ciclo dell’abuso. Spesso, i segnali sono subdoli, mascherati da “preoccupazione” o “amore”, rendendo difficile per la vittima identificare la natura dannosa del comportamento del partner. Segnali della violenza domestica come l’isolamento sociale imposto, la costante critica e denigrazione, il controllo ossessivo sulle finanze o sulle interazioni sociali della vittima, le minacce velate o esplicite, la manipolazione emotiva che instilla sensi di colpa, sono tutti campanelli d’allarme che non vanno ignorati. La violenza psicologica, agita statisticamente in maniera più rilevante dagli uomini verso le donne, si manifesta in una miriade di forme, dall’insulto sottile alla minaccia esplicita, dall’indifferenza punitiva al gaslighting, una forma di manipolazione psicologica che porta la vittima a dubitare della propria sanità mentale e delle proprie percezioni.


La giustificazione dei comportamenti sbagliati per il “bene della famiglia” è un meccanismo di difesa e di interiorizzazione della violenza. La vittima, intrappolata in un ciclo di abuso e rinforzi intermittenti, può arrivare a credere che il comportamento del partner sia in qualche modo giustificato, o che il proprio ruolo sia quello di “resistere” per mantenere l’armonia, anche a costo della propria salute psicologica. Questa giustificazione è spesso rinforzata da norme sociali e culturali che idealizzano la famiglia tradizionale e pongono un peso eccessivo sulla figura femminile come custode dell’equilibrio domestico. Secondo un’indagine dell’Istat, nel 2023, circa il 44.1% delle donne ha dichiarato di non essere autonoma economicamente, il che ostacola ulteriormente la capacità di lasciare relazioni abusive. L’indipendenza economica, come strumento di libertà e contrasto alla violenza, è un fattore fondamentale per la fuoriuscita da relazioni abusive. La dipendenza economica rende le vittime più vulnerabili e limita le loro opzioni, rendendo più difficile l’allontanamento dal partner violento. Promuovere l’autonomia economica delle donne e delle persone LGBTQ+ è quindi una strategia cruciale nella lotta alla violenza.

La gestione di tali situazioni richiede un approccio multidisciplinare. Il supporto psicologico è essenziale per le vittime per elaborare il trauma, ricostruire l’autostima e sviluppare strategie di coping efficaci. Psicologi e psicoterapeuti, possibilmente con un orientamento comportamentale o psicodinamico, specializzati in violenza di genere e traumi, possono offrire un percorso di guarigione. I centri antiviolenza giocano un ruolo vitale, offrendo accoglienza, consulenza psicologica e legale, gruppi di supporto e, in alcuni casi, rifugi.

Risorse utili:

  • Il numero verde antiviolenza 1522, attivo 24 ore su 24, rappresenta un primo punto di contatto fondamentale per chiedere aiuto e ricevere informazioni.
  • Le richieste d’intervento presso i centri antiviolenza hanno subito un incremento significativo, mettendo in luce l’urgenza di una formazione adeguata per gli operatori e le istituzioni coinvolte.

È positivo osservare che sta crescendo in Italia la consapevolezza riguardo alla serietà del fenomeno della violenza contro le donne; attualmente, circa 7 italiani su 10 percepiscono tale questione come una problematica seria e imperativa. Nonostante ciò, il cammino da percorrere rimane complesso, specialmente se si considera il riconoscimento insufficiente delle forme di violenza psicologica e le particolarità legate alla condizione delle persone appartenenti alla comunità LGBTQ+.

Riflessioni sul tessuto esistenziale e la sua complessità

Spesso ci troviamo a navigare le acque intricate delle relazioni interpersonali senza una bussola, affidandoci a mappe interne che, talvolta, ci conducono in territori inattesi e dolorosi. La violenza psicologica, quell’ombra che serpeggia nell’intimità delle nostre vite, è un fenomeno che ci interpella non solo a livello sociale e politico, ma anche nelle profondità della nostra esperienza esistenziale. La psicologia cognitiva ci insegna che i nostri schemi mentali, le nostre credenze profonde sul mondo e su noi stessi, influenzano potentemente le nostre percezioni e i nostri comportamenti. Nel contesto della violenza psicologica, le vittime possono sviluppare credenze disfunzionali, come quella di “meritare” la sofferenza o di essere responsabili del comportamento del partner. Questi schemi, solidificati nel tempo dall’azione manipolatoria dell’aggressore, rendono difficile riconoscere l’abuso per quello che è e intraprendere un percorso di cambiamento.

In uno studio longitudinale, sono emerse gravi conseguenze associate agli abusi psicologici e al trascurare i bambini, come gravidanze in adolescenza, insuccesso scolastico, delinquenza e problemi di salute mentale, vedendo come questi danni possano segnare una vita intera [Pubblicato in Pediatrics]. Dal punto di vista della psicologia comportamentale, le dinamiche di rinforzo intermittente, tipiche delle relazioni abusive (periodi di tensione seguiti da brevi “lune di miele” o scuse), creano una dipendenza emotiva e comportamentale che lega la vittima al suo aguzzino, rendendo la fuoriuscita un compito arduo che richiede sforzi sovrumani e un supporto esterno adeguato. In un’ottica più avanzata, la teoria dell’attaccamento, sebbene originariamente focalizzata sul legame tra caregiver e bambino, offre spunti preziosi per comprendere le dinamiche relazionali disfunzionali in età adulta. Un attaccamento insicuro, sviluppato magari in contesti familiari problematici, può rendere le persone più vulnerabili a stabilire relazioni abusive, sia come vittime che, in contesti diversi, come perpetratori. La violenza psicologica, nel disintegrare il senso di sé e la fiducia nelle proprie capacità, può ricreare in età adulta schemi di attaccamento ansioso-ambivalente o evitante, rendendo complesso il ristabilimento di relazioni sane e sicure.

Riflettere su queste dinamiche ci porta a considerare la complessità dell’essere umano, la stratificazione delle esperienze passate sul presente e la necessità di un approccio terapeutico che vada al di là del semplice “riconosci e scappa”, abbracciando un percorso di ricostruzione profonda del sé e delle proprie capacità relazionali. La violenza, in tutte le sue forme, è una ferita che si imprime nel corpo e nell’anima, e il processo di guarigione è un viaggio lungo e coraggioso che richiede pazienza, supporto e, soprattutto, la consapevolezza che un’esistenza libera dalla paura e dalla coercizione non è un privilegio, ma un diritto inalienabile.


Articolo e immagini generati dall’AI, senza interventi da parte dell’essere umano. Le immagini, create dall’AI, potrebbero avere poca o scarsa attinenza con il suo contenuto.(scopri di più)

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