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Violenza psicologica: l’allarme di Ferragni e il tabù nelle relazioni LGBTQ+

- Chiara Ferragni ha rivelato di essere stata vittima di violenza psicologica.
- Nel 2011, uno studio ha evidenziato la violenza nelle donne omosessuali.
- Nel 2024, aumento della violenza verso individui LGBTQ+ in Italia.
- Il numero antiviolenza 1522 è attivo 24 ore su 24.
- Nel 2023, il 27% delle donne in Italia ha subito violenza.
Il clamore mediatico e la rivelazione personale
Recentemente, una figura di spicco del panorama digitale italiano, Chiara Ferragni, ha portato alla ribalta un tema spesso nascosto tra le pieghe del privato: la violenza psicologica. Le sue dichiarazioni, ampiamente riprese dai media a partire dal 22 maggio 2025, hanno innescato una doverosa riflessione su un fenomeno che, sebbene invisibile ai più, è altrettanto dilaniante quanto la violenza fisica. Ferragni ha condiviso pubblicamente di essere stata vittima di questo tipo di abuso in diverse relazioni, sottolineando come all’epoca non si rendesse neanche pienamente conto della natura dannosa di tali comportamenti. Queste affermazioni hanno squarciato un velo sul fatto che la violenza non si manifesta unicamente attraverso aggressioni fisiche evidenti.
La sua natura sottile la rende difficile da riconoscere e da denunciare, alimentando un ciclo di negazione e giustificazione da parte della vittima, spesso convinta di “esagerare” o di essere la causa della situazione. Le parole di Ferragni hanno avuto il merito di dare un nome a esperienze che molte persone, in particolare donne, vivono nel silenzio, contribuendo a rompere il tabù e a incoraggiare la consapevolezza. È fondamentale comprendere che la violenza psicologica non è un semplice “litigio” o una “incomprensione”, ma un modello di comportamento sistematico volto a minare l’autostima e l’integrità emotiva dell’altro, retto da un profondo senso di potere e controllo. Spesso, questo tipo di abuso si annida in dinamiche relazionali apparentemente normali, rendendo ancora più difficile per la vittima identificarlo e uscirne.
Dinamiche di potere e violenza: non solo relazioni eterosessuali
Se le dinamiche di potere sono alla base della violenza di genere nelle relazioni eterosessuali, è cruciale estendere questa riflessione anche alle relazioni all’interno della comunità LGBTQ+. Contrariamente a falsi miti e stereotipi, la violenza domestica e psicologica non è assente nelle coppie dello stesso sesso o nelle relazioni fluide. Anzi, studi, seppur ancora non vastissimi in Italia, come quello condotto da ArciLesbica Roma e D.i. Re. nel 2011 su donne omosessuali, hanno evidenziato come una significativa percentuale di persone LGBTQ+ abbia subito o tema di subire violenza dal proprio partner.
La violenza nelle relazioni LGBTQ+ assume caratteristiche specifiche che si intrecciano con l’omofobia interiorizzata. Questa è la tendenza di una persona LGBTQ+ ad internalizzare pregiudizi e atteggiamenti discriminatori nei propri confronti, portando a sentimenti di inadeguatezza, colpa e vergogna. Questi vissuti, già dolorosi di per sé, vengono amplificati e sfruttati all’interno della relazione violenta. La violenza può manifestarsi attraverso attacchi diretti all’identità di genere o all’orientamento sessuale (“Non sei una vera lesbica se…”), minando il senso di sé della vittima.
Un’altra forma di abuso, specificamente legata al contesto LGBTQ+, è la minaccia di “outing”: la paura che il partner riveli l’orientamento sessuale o l’identità di genere della vittima a familiari, amici o colleghi, sfruttando la paura del rifiuto sociale o dell’abbandono. In altri casi, la violenza si esplica nell’invisibilizzazione della relazione, costringendo il partner a negare pubblicamente l’esistenza della coppia, talvolta persino impedendo “tracce” della propria presenza nella casa condivisa. Come riportato in un documento <a class="crl" target="_blank" rel="nofollow" href="https://www.ilga-europe.org/report/annual-review-2024/”>redatto da ILGA-Europe, nel 2024 si è registrato un incremento preoccupante della violenza diretta verso individui LGBTQ+ in Italia, dove l’orientamento sessuale e l’identità di genere diventano elementi scatenanti. Tale situazione è aggravata da una normativa che crea le condizioni per un contesto particolarmente scomodo, contribuendo alla vulnerabilità di numerosi individui.
Ostacoli alla denuncia e la ricerca di aiuto
Richiedere aiuto in situazioni di violenza psicologica, sia in relazioni eterosessuali che LGBTQ+, incontra notevoli barriere. Per le vittime di violenza psicologica in generale, come suggerito dalle ricerche, il primo e più cruciale passo è trovare il coraggio di parlare con qualcuno di fiducia: un amico, un familiare, un vicino di casa. Esistono poi risorse dedicate, come il numero verde antiviolenza 1522, attivo 24 ore su 24, o i centri antiviolenza distribuiti sul territorio nazionale.
Tuttavia, il percorso verso la denuncia e l’ottenimento di supporto è spesso irto di difficoltà. La natura stessa della violenza psicologica, basata sulla manipolazione e sulla minaccia costante, può indurre la vittima a dubitare della propria validità e della gravità di quanto sta subendo. Nel contesto delle relazioni LGBTQ+, questi ostacoli sono ulteriormente aggravati. La ricerca italiana ha evidenziato come una quota considerevole di donne omosessuali non sapesse a chi rivolgersi in caso di violenza domestica e come un numero allarmante di loro dichiarasse che non avrebbe chiesto aiuto per “riservatezza o disagio”. Questo dato è profondamente legato al contesto sociale di omofobia.
Riflessioni sul benessere mentale e la rottura del ciclo
Il tema della violenza psicologica e delle dinamiche di potere, come emerso dalle recenti riflessioni e confermato dalle ricerche, ci confronta con una realtà complessa che impatta profondamente il benessere psicologico degli individui e delle comunità. La psicologia cognitiva ci insegna come le esperienze traumatiche, tra cui la violenza psicologica, possano alterare i nostri schemi di pensiero e la nostra percezione di noi stessi e del mondo circostante. I “vissuti di omofobia interiorizzata”, ad esempio, rappresentano un chiaro esempio di schemi cognitivi disadattivi che si sviluppano a seguito di un ambiente ostile e discriminatorio. Questi schemi possono rendere le persone LGBTQ+ più vulnerabili non solo alla violenza esterna, ma anche a forme di abuso che si insinuano nelle relazioni intime, in un ciclo perverso dove l’auto-svalutazione alimenta la possibilità di diventare bersaglio di ulteriore violenza.
A un livello più avanzato, la terapia cognitivo-comportamentale (CBT) e altre terapie orientate al trauma si propongo di decostruire questi schemi e ricostruire una sana autostima e un senso di sicurezza. Tuttavia, il cammino verso la guarigione è intrinsecamente legato alla rottura del ciclo di violenza. Questo richiede non solo il coraggio della vittima nel cercare aiuto, ma anche un ambiente sociale e istituzionale capace di offrire supporto autentico e non giudicante.
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La salute mentale è un diritto fondamentale, e la lotta contro la violenza psicologica è parte integrante del suo riconoscimento e della sua tutela. È una responsabilità collettiva, che richiede l’impegno di ciascuno di noi nel promuovere una cultura del rispetto, nel riconoscere i segnali della violenza psicologica – in noi stessi e negli altri – e nel sostenere chi ha bisogno di aiuto.
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