- Nel 2023, 33 membri delle forze dell'ordine si sono suicidati.
- Il burnout causa assenteismo, irritabilità e difficoltà nello svolgimento delle mansioni.
- Implementare controlli psicologici regolari e formazione sulla mindfulness per la gestione dello stress.
In Italia, le forze dell’ordine sono frequentemente immerse in situazioni ad alto tasso di stress e confrontate con eventi potenzialmente traumatici. Sia nei casi legati alla violenza domestica sia nella lotta contro la criminalità organizzata, oltre alla gestione delle emergenze o delle tragedie collettive, questi professionisti sono costretti ad affrontare quotidianamente situazioni cariche di sofferenza umana. Tale esposizione continua al pericolo potrebbe portare allo sviluppo del Disturbo da Stress Post-Traumatico (DSPT), così come della sindrome da burnout; entrambi questi fenomeni hanno il potenziale di intaccare significativamente la salute mentale degli agenti interessati. Ciò si traduce anche in conseguenze dirette sul loro benessere individuale e sull’efficacia complessiva nell’espletamento dei compiti assegnati.
Dalle informazioni raccolte risulta che il DSPT, contrariamente a quanto possa apparire marginale nel contesto delle forze armate e della polizia italiana, è un problema serio ed attuale. Pur essendo limitati dai dati pubblicamente accessibili ed esistendo una tendenza generale a sminuire o celare disordini psichici tra queste categorie lavorative specializzate, molti segnali indicativi sorgono con inquietante frequenza all’interno delle suddette strutture ufficiali. Un fatto tragico che periodicamnte riaccende il dibattito sulla salute mentale nelle Forze Armate è il suicidio tra i militari, come quello avvenuto a Squinzano poche settimane fa, che ha scosso l’opinione pubblica.
Un’indagine del 2023 ha rivelato che 33 appartenenti alle forze dell’ordine si sono suicidati, 24 dei quali utilizzando l’arma di ordinanza. Questo rappresenta un grave problema di salute mentale che non riceve l’attenzione necessaria, rendendo critico l’intervento e la prevenzione.
“Gli operatori delle forze dell’ordine possono sviluppare un disturbo da stress post-traumatico, caratterizzato da flashback, ansia e incubi.” [State di Mind]
Questi eventi estremi rappresentano la punta di un iceberg di un malessere più diffuso, spesso vissuto nel silenzio a causa dello stigma associato alle problematiche di salute mentale in contesti lavorativi che richiedono forza e resilienza.
Il DSPT, nel contesto delle forze dell’ordine, può manifestarsi in svariati modi, tra cui ansia, depressione, ricordi intrusivi ed emotivamente carichi, immagini disturbanti legate all’evento traumatico. Questi sintomi possono cronicizzarsi e portare a una significativa compromissione della qualità della vita, sia sul piano professionale che su quello personale. La natura stessa del lavoro, che impone ritmi serrati e l’esposizione a situazioni limite, può rendere difficile per gli operatori riconoscere i segnali di disagio e, ancora di più, cercare aiuto. A questo si aggiunge la cultura implicita di “durezza” e “invulnerabilità” che spesso permea questi ambienti, scoraggiando la manifestazione di vulnerabilità emotive.
Uno studio del 2023 ha mostrato che il burnout nei poliziotti si manifesta con sintomi significativi, tra cui assenteismo, irritabilità e difficoltà nello svolgimento delle mansioni. Questi segnali, se non riconosciuti e affrontati tempestivamente, possono portare a un deterioramento progressivo delle condizioni psicofisiche.
Indicatore di Burnout | Descrizione |
---|---|
Assenteismo | Richieste frequenti di permessi per malattia. |
Irritabilità | Maggiore sensibilità a fattori di stress, polemiche con colleghi. |
Difficoltà di concentrazione | Incapacità di mantenere l’attenzione durante le operazioni. |
La correlazione tra stress post-traumatico, burnout e performance lavorativa è evidente: un operatore che soffre di questi disturbi può vedere compromesse le proprie capacità decisionali, la prontezza di riflessi e la gestione dello stress, mettendo a rischio non solo sé stesso, ma anche i colleghi e i cittadini. È un circolo vizioso che richiede un intervento mirato e strutturato.
Le sfide dei meccanismi di coping disfunzionali
Di fronte a livelli elevati di stress e all’impatto di eventi traumatici, gli individui spesso ricorrono a meccanismi di coping, ovvero strategie per affrontare e gestire le difficoltà. Tuttavia, in assenza di un supporto adeguato e di una consapevolezza dei propri stati emotivi, questi meccanismi possono diventare disfunzionali, esacerbando il problema anziché risolverlo. Tra i meccanismi di coping disfunzionali che possono essere adottati dai membri delle forze dell’ordine esposti a traumi ripetuti si annoverano l’abuso di sostanze, l’isolamento sociale, la negazione del problema, la somatizzazione e l’aggressività.
L’abuso di alcolici o altre sostanze può rappresentare un tentativo improprio di “anestetizzare” il dolore emotivo e l’ansia derivanti dall’esposizione a eventi traumatici. Questo tipo di comportamento non solo non risolve la causa sottostante del disagio, ma può portare a dipendenza, peggioramento delle condizioni di salute e ulteriori problematiche sociali e lavorative. Un approccio frequentemente osservato nelle problematiche comportamentali è quello dell’isolamento sociale, dove gli individui tendono ad allontanarsi dai legami affettivi con familiari e amici. Questa condotta li priva delle risorse fondamentali per fronteggiare situazioni stressanti; ciò sfocia in emozioni quali solitudine, mancanza d’affetto e aggravamento dello stato psicologico generale.
Un altro aspetto cruciale è rappresentato dalla negazione del problema: questo meccanismo difensivo induce le persone a sminuire o trascurare le conseguenze emotive delle esperienze traumatiche vissute. Tale impostazione rischia di rinviare l’intervento terapeutico necessario e favorisce il radicarsi della difficoltà psichica nel tempo. Si parla anche di somatizzazione, fenomeno per cui i disagi mentali si manifestano attraverso sintomi corporei come mal di testa ricorrenti oppure disturbi digestivi; questi segnali possono essere insidiosi poiché non immediatamente associabili alle cause psicologiche sottostanti. Infine, l’aggressività, quando esplode come espressione incontrollata della tensione accumulata – tra rabbia e frustrazione – influisce negativamente sia sulle dinamiche relazionali che nell’ambiente professionale in cui ci si muove.
Questi meccanismi di coping disfunzionali sono spesso il risultato di una mancanza di strumenti emotivi efficaci e di un supporto psicologico insufficiente o inaccessibile. La pressione a mantenere una facciata di forza e controllo può rendere difficile per gli operatori ammettere di avere bisogno di aiuto, portando a un ritardo nella diagnosi e nel trattamento. È fondamentale riconoscere questi segnali e promuovere un ambiente in cui la richiesta di supporto sia vista come un segno di responsabilità e cura per sé stessi e per gli altri, piuttosto che come una debolezza da nascondere.

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Le attuali forme di supporto e le loro lacune
In Italia, la consapevolezza dell’importanza della salute mentale per le forze dell’ordine sta gradualmente crescendo, e sono state implementate diverse iniziative per offrire supporto psicologico. Un esempio recente è la pubblicazione delle Linee Guida per la Psicologia dell’Emergenza nella Polizia di Stato, che stabilisce protocolli di intervento per la salute mentale degli operatori.
Tuttavia, permangono lacune significative nell’efficacia complessiva del sistema. Un aspetto critico è la mancanza di controlli psicologici periodici obbligatori per le forze dell’ordine in Italia. A differenza di altri contesti lavorativi ad alto rischio, non esiste una normativa che imponga valutazioni regolari dello stato psicologico degli operatori. Questo significa che il disagio può non essere identificato precocemente e che l’intervento arriva spesso in una fase già conclamata del disturbo, rendendo più lungo e complesso il percorso di recupero.
Nel 2023, addirittura 33 sono stati i membri delle forze dell’ordine che si sono tolti la vita, un tema che richiede un’urgente attenzione e intervento.
Un’altra sfida è insita nella cultura delle forze armate, che può rendere difficile per gli operatori cercare aiuto. Molti temono che il ricorso a supporti psicologici possa avere ripercussioni negative sulla carriera, come paventato da diverse testimonianze. È quindi essenziale creare un ambiente dove la richiesta di supporto non venga vista come un segno di debolezza, ma piuttosto come un elemento di responsabilità.
Inoltre, la disponibilità e l’accessibilità dei servizi di supporto possono variare notevolmente a seconda della forza armata o di polizia di appartenenza e della localizzazione geografica. Non tutte le sedi dispongono di psicologi in numero sufficiente e in alcune aree più remote l’accesso a specialisti qualificati può essere limitato. L’abilità del personale psicologico nell’affrontare le peculiarità dei traumi connessi all’attività operativa riveste un’importanza fondamentale. È attraverso l’adozione di metodologie terapeutiche ancorate a rigorose evidenze scientifiche, come la terapia cognitivo-comportamentale centrata sul trauma o pratiche di mindfulness, che si può garantire una significativa efficacia degli interventi.
Verso una cultura del benessere psicologico
Per affrontare adeguatamente le sfide connesse allo stress post-traumatico, al fenomeno del burnout, nonché alle modalità disfunzionali di coping all’interno delle forze dell’ordine italiane, si rende indispensabile avviare un profondo processo trasformativo della cultura organizzativa ed adottare misure fondate su evidenze scientifiche solide. È insufficiente limitarsi a fornire assistenza; occorre instaurare una realtà nella quale il concetto di salute mentale venga riconosciuto come parte integrante del benessere totale degli operatori, così come elemento cruciale per garantire l’efficienza operativa.
Un approccio chiave consiste nell’implementazione obbligatoria di controlli psicologici regolari destinati alla prevenzione e al monitoraggio costante dello stato psicologico degli agenti. Tali valutazioni andrebbero interpretate non già come attacchi critici o minacce alla professione, bensì piuttosto come occasioni preziose per poter esaminare il proprio benessere psico-emotivo ed eventualmente ottenere sostegno specifico qualora se ne ritenesse necessaria la presenza.
Allo stesso modo, si deve procedere a investimenti significativi in programmi formativi che abbiano l’obiettivo primario di equipaggiare gli operatori con strumenti utili volti alla gestione efficace dello stress lavorativo e al rafforzamento delle capacità resilienziali. I programmi formativi dovrebbero prevedere l’introduzione delle tecniche dedicate alla mindfulness, favorendo al contempo pratiche che incoraggino (più enfasi) stili di vita salutari e il potenziamento delle capacità relative al (ovvero utile!) -coping in modo costruttivo. È essenziale che questa formazione abbia inizio sin dalle primissime fasi professionali, non solo per proseguire senza interruzioni nel corso degli anni, ma anche per adattarsi con flessibilità alle particolari necessità emerse nei vari ruoli lavorativi.
Per ciò che concerne gli interventi clinici indirizzati ai disturbi derivanti da traumi, essi devono necessariamente essere fondati su solide basi scientifiche. Tra le modalità più efficaci si annovera la terapia cognitivo-comportamentale specializzata nel trauma (TCC-T), strumento prezioso poiché consente agli individui di elaborare le memorie traumatiche fornendo loro nuovi strumenti mentali volti ad alterare quelle riflessioni nocive nella loro vita quotidiana. In aggiunta, strategie come la terapia EMDR (“Eye Movement Desensitization and Reprocessing”) testimoniando ugualmente discreto successo nell’affrontare condizioni correlate al traumatico.
In conclusione, risulta fondamentale instillare una robusta cultura relativa alla salute mentale tra tutti i membri dell’organizzazione. Tali iniziative coinvolgono sia staff sia management nel riconoscere l’importanza della dimensione psichica; prevenendo così qualsiasi forma stigmatizzante attinente la richiesta d’aiuto, oltre a configurare uno scenario lavorativo caratterizzato da sostegno reciproco ed inclusività! La pratica del peer support può rivelarsi estremamente efficace se correttamente pianificata e accompagnata da esperti del settore. Essa rappresenta un’opportunità significativa per migliorare le dinamiche comunicative ed instaurare meccanismi solidali tra i colleghi.
Riassumendo brevemente: salvaguardare il benessere mentale delle forze dell’ordine trascende il mero interesse individuale; costituisce invece un investimento imprescindibile volto a garantire sia la sicurezza sia l’efficacia operativa del servizio pubblico stesso. Occorre dunque abbandonare qualsiasi forma di taciturnità ed intraprendere azioni decisive affinché si tuteli chi quotidianamente rischia tutto per assicurare la nostra integrità.
Nell’arco esistenziale di ciascuna persona emergono momenti critici capaci di mettere alla prova le energie emozionali e intellettuali. L’ambito della psicologia cognitiva evidenzia come la percezione degli eventi, ossia come analizziamo ciò che accade intorno a noi, sia essenziale nell’influenzare tanto le reazioni emotive quanto i comportamenti risultanti. Situazioni particolarmente gravose — quelle sperimentate dagli agenti delle forze dell’ordine — non generano automaticamente patologie mentali; bensì è attraverso l’interpretazione degli avvenimenti stessi che si determina in misura decisiva il risultato finale nella sfera psico-emotiva. Un esempio lampante è dato dalla TCC-T che si concentra sull’aspetto cruciale della ristrutturazione dei pensieri negativi distorti, tipicamente associati ai traumi vissuti.
In ambito psicologico-comportamentale si comprende chiaramente che certi meccanismi di coping disfunzionali si assimilano col tempo attraverso esperienze pratiche ed esperienziali specifiche. Per esempio, l’abuso di sostanze può manifestarsi inizialmente come una forma temporanea di allevio dell’ansia; ciò però genera un ciclo vizioso dove tali condotte vengono reiterate malgrado gli effetti deleteri nel lungo periodo. Gli approcci terapeutici basati sul comportamento puntano all’identificazione delle dinamiche disfunzionali per poterle convertire in metodi alternativi efficaci—tra cui spiccano le tecniche di stress relief oppure l’esercizio fisico regolare.
Spostandosi verso territori concettualmente avanzati all’interno dello studio psico-traumatologico emerge anche il tema affascinante della neurobiologia del DSPT. Gli studi scientifici evidenziano il modo in cui eventi traumatici possano modificare tanto la morfologia quanto le funzioni neuroanatomiche pertinenti a specifiche regioni cerebrali: si prendono in considerazione strutture quali l’amigdala — implicata nelle risposte emozionali legate alla paura — l’ippocampo — cruciale per i processi mnestici — insieme alla corteccia prefrontale che gestisce sia il raziocinio sia gli aspetti relativi alla regolazione emotiva. Comprendere queste alterazioni può aiutare a spiegare la persistenza dei sintomi e a guidare lo sviluppo di trattamenti farmacologici o non farmacologici sempre più mirati. Riflettendo su questo, possiamo apprezzare quanto sia complessa la natura del trauma e quanto sia importante un approccio olistico e personalizzato per chi ne soffre. Non si tratta semplicemente di “essere forti”, ma di comprendere e riparare le complesse interconnessioni tra mente e cervello. Questa conoscenza ci invita a guardare con empatia e comprensione a chi è impegnato in professioni ad alto rischio, riconoscendo il loro coraggio non nell’assenza di paura, ma nella capacità di affrontarla e, se necessario, di chiedere aiuto.
- Disturbo da Stress Post-Traumatico (DSPT): Disturbo psicologico che può svilupparsi dopo aver vissuto un evento traumatico.
- Burnout: Sindrome da stress lavorativo con sintomi di esaurimento emotivo, depersonalizzazione e riduzione dell’efficacia professionale.
- Terapia cognitivo-comportamentale (TCC): Si configura come un approccio terapeutico mirato al trattamento di diverse patologie mentali, operando attraverso un processo di ristrutturazione dei pensieri che risultano disfunzionali.
- EMDR: Questa pratica, nota come desensibilizzazione e rielaborazione tramite movimenti oculari, rappresenta una forma terapeutica progettata per facilitare il recupero da esperienze traumatiche.