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Violenza ostetrica: perché è così difficile denunciare in Italia?

- Il 76,2% delle donne ha subito almeno una forma di violenza.
- L'82% delle vittime mostra ansia e depressione post-parto.
- La mancanza di informazione è una forma di violenza ostetrica.
Il periodo cruciale del parto—un momento che dovrebbe simboleggiare gioia e realizzazione—si presenta invece come un’esperienza caratterizzata da rischi elevati per numerose donne italiane. Recent
ricerche ed elaborazioni iniziali hanno messo in evidenza l’esistenza della temuta violenza ostetrica. Questo termine descrive una serie complessa di pratiche inappropriate attuate dal personale sanitario nel
corso della gravidanza, durante il travaglio e nei periodi immediatamente successivi al parto; tali comportamenti possono compromettere la dignità femminile nonché la sua autonomia oltre ai diritti
fondamentali delle partorienti stesse. Un dato preoccupante emerge chiaramente: circa il 76,2% delle intervistate sostiene di aver affrontato almeno una forma manifesta o sottile di deprivazione
legata alla violenza ostetrica. Questo allarmante riscontro è stato estratto dai dati preliminari frutto dell’inchiesta promossa dall’Università degli Studi Carlo Bo – Urbino. [Osservatorio
sulla Violenza Ostetrica], è coerente con i risultati di analisi precedenti e sottolinea la _vastità del fenomeno_. Il fenomeno della violenza ostetrica si configura non come una novità assoluta, ma come un
problema conosciuto su scala internazionale da enti quali l’OMS e l’ONU. La mancanza del suo riconoscimento ufficiale in Italia, per lungo tempo, ha perpetuato una condizione d’anonimato intorno ad
esso.
Le espressioni che incarnano questa forma deprecabile assumono varie sembianze ed eccedono le sole dimensioni fisiche. A fianco degli interventi medici considerati superflui o intrusivi – tra cui figurano
pratiche quali l’episiotomia oppure la manovra nota come Kristeller – emergono anche insulti sia verbali che psicologici. Frasi umilianti come «Smettila
di lamentarti» oppure «Non sei capace di spingere» riecheggiano nelle stanze dedicate al parto, erodendo progressivamente fiducia e autostima nel panorama materno futuro. Altre manifestazioni frequenti
comprendono: la negazione o il ritardo nell’offerta dell’analgesia epidurale, insufficienza nella comunicazione riguardante i procedimenti terapeutici indicati (MANCANZA DI INFORMAZIONI CHIARE E
COMPLETE SUI TRATTAMENTI PROPOSTI), così come pressioni indebite verso posture particolarmente scomode (PRESSIONE PER ADOTTARE POSIZIONI FORZATE).
Gli effetti immediati derivanti da tali brutte esperienze non sono affatto circoscritti al solo periodo del travaglio; infatti lasciano ferite profonde destinate ad incidere sulla psiche e sulle relazioni personali delle
donne colpite. Indagini recenti hanno rivelato che ben l’82% delle donne vittime di violenza ostetrica manifesta, nei mesi a seguire, un incremento significativo dell’ansia e della depressione, accompagnato da
un’escalation dei conflitti di coppia, oltre a una diminuzione della percezione riguardo al supporto sociale disponibile. [Il Sole 24 Ore]. In alcuni casi, l’intensità del trauma è tale da _convincere le donne a non
voler più avere figli_, un dato che evidenzia la gravità delle conseguenze a lungo termine.
Il contesto italiano, caratterizzato da una medicalizzazione spesso eccessiva della gravidanza e del parto, contribuisce a creare un ambiente in cui la donna, specialmente al primo parto, si trova in una
posizione di vulnerabilità e tende ad affidarsi completamente al personale sanitario, a volte rinunciando a porre domande o a mettere in discussione le decisioni prese. Sebbene le situazioni di emergenza
possano rendere difficile un dialogo esaustivo nel momento cruciale del parto, emerge con forza la necessità di dedicare tempo e attenzione alle donne nel periodo post-partum per _favorire una maggiore
comprensione di quanto accaduto_ e permettere l’espressione di paure e preoccupazioni.
legame tra loro.
La riconoscimento della violenza ostetrica come una forma di violenza di genere e una violazione dei diritti umani rappresenta un passo cruciale per affrontare il problema e avviare percorsi di tutela e supporto
per le donne. In questo quadro, l’introduzione di strumenti e protocolli mirati alla rilevazione e al trattamento del trauma assume un’importanza fondamentale.
La rilevazione del trauma: il ruolo potenziale della tecnologia in Brianza
Nel panorama intricato della violenza ostetrica e delle sue conseguenze traumatiche, appare evidente come l’innovazione tecnologica possa ricoprire un ruolo fondamentale nel sostenere sia la diagnosi sia la
valutazione delle ferite fisiche ed emozionali patite. Anche se gli articoli presi in considerazione non affrontano direttamente l’impiego degli ecografi all’avanguardia nella rilevazione delle lesioni specifiche
associate alla violenza ostetrica nell’area brianzola, si presenta comunque uno spazio per contemplare le enormi potenzialità che questi dispositivi possono apportare a tale problematica nel contesto locale.
L’applicazione degli ecografi più moderni avrebbe il vantaggio di offrire una dettagliata documentabilità delle ferite corporee, comprendenti traumi quali lacune nei tessuti cutanei o contusioni che
scaturiscono da interventi invasivi o posizioni antinaturali al momento della nascita. Tali immagini misurabili sarebbero in grado non solo di affermarsi quale un valido strumento probatorio, utile
qualora si renda necessaria una denuncia ufficiale, ma anche rappresenterebbero un utile supporto visuale per le donne colpite nella loro ricerca di un riconoscimento dell’entità traumatica subita.
Oltre alla valutazione dei danni fisici evidenti, l’ecografia di precisione potrebbe in futuro esplorare l’impatto del trauma a livello più sottile, ad esempio sulla muscolatura pelvica o su altre strutture anatomiche
che possono risentire di un parto traumatico. La quantificazione di queste alterazioni potrebbe contribuire a personalizzare i percorsi riabilitativi e a monitorare l’efficacia delle terapie.
Parallelamente all’aspetto fisico, l’esperienza della violenza ostetrica lascia un segno indelebile sulla salute mentale delle donne. L’ansia e la depressione post-partum, i disturbi da stress post-traumatico, le
difficoltà nel legame madre-neonato e i conflitti di coppia sono conseguenze ampiamente documentate. In questo ambito, _ancora una volta, non emerge dagli articoli la descrizione di una tecnologia specifica
come l’ecografo utilizzata per la “rivelazione” del trauma psicologico_ nel contesto della violenza ostetrica. Tuttavia, è plausibile ipotizzare un _utilizzo integrato di strumenti diagnostici diversificati_: mentre
l’ecografia si concentrerebbe sugli aspetti fisici, intervista clinica, questionari standardizzati e scale validate rimangono gli strumenti principali per valutare l’impatto emotivo e psicologico.
È importante sottolineare che la rilevazione del trauma, sia fisico che psicologico, non è fine a se stessa. Essa rappresenta il punto di partenza per l’attivazione di percorsi di supporto e intervento mirati.
L’ecosistema sanitario della Brianza, come emerge da alcune fonti, include già strutture come i consultori familiari che offrono supporto in caso di violenza di genere, operando secondo protocolli definiti.
L’integrazione della rilevazione del trauma legato alla violenza ostetrica all’interno di questi percorsi, con il coinvolgimento di team multidisciplinari (ginecologi, ostetriche, psicologi), sarebbe un passo
fondamentale verso un’assistenza completa e integrata.
gruppo, risulta essenziale per offrire alle donne il _sostegno necessario per elaborare l’esperienza traumatica_ e avviare un percorso di guarigione.
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Protocolli di intervento e risorse di supporto psicologico in Brianza
Affrontare in modo efficace la questione della violenza ostetrica così come le sue conseguenze traumatiche implica necessariamente il ricorso a protocolli ben definiti e organizzati, inseriti nei contesti
sanitari. Pur non offrendo una panoramica completa sui protocolli esattamente implementati negli ospedali brianzoli contro questa forma specifica d’abuso, gli articoli rivelano comunque che esistono
servizi appositi volti alla gestione del fenomeno più ampio relativo alla violenza contro le donne. A tal proposito, l’Agenzia Tutela Salute (ATS) Brianzola mette in evidenza il ruolo svolto dai consultori
familiari nel rispondere a casi concreti riferibili a situazioni drammatiche collegate alla gender violence attraverso protocolli stabiliti. Ciò lascia intendere un sistema robusto costituito da linee guida dettagliate
e procedure operative standardizzate, mirate a facilitare identificazione, valutazione ed eventuale invio verso servizi idonei per le donne vittime.
Nell’ambito degli istituti sanitari stessi operanti nel territorio lombardo, come ASST Brianza, è attualmente avviato un progetto volto all’implementazione dettagliata dei sistemi assistenziali rivolti
alle donne colpite da episodi legati alla sexual violence. Sebbene focalizzato su un tipo specifico di violenza, questo indica una crescente sensibilità e volontà di strutturare risposte dirette all’interno dei contesti
di cura. Un altro riferimento rilevante è la menzione di un protocollo comportamentale assistenziale per le donne che arrivano al Pronto Soccorso per violenza sessuale presso una U. O. C. di Ostetricia e
Ginecologia. Questo suggerisce, sebbene in un ambito diverso, la presenza di procedure interne stabilite per la gestione di situazioni delicate e traumatiche.
Estendere e adattare questi protocolli per includere esplicitamente la violenza ostetrica e i traumi ad essa correlati rappresenterebbe un passo fondamentale. Questi protocolli dovrebbero prevedere:
- Un percorso di accoglienza e ascolto empatico e non giudicante.
- La sensibilizzazione e formazione del personale sanitario (medici, ostetriche, infermieri) sulla definizione e le manifestazioni della violenza ostetrica.
- Adozione degli strumenti specifici volti a effettuare lo screening: fondamentale è individuare quelle donne considerate a rischio o che hanno già riportato esperienze traumatiche legate al parto.
- Sottoporre a valutazione multidisciplinare: questa comprende un’analisi clinica e psicologica approfondita del trauma sperimentato da queste pazienti.
- Pianificazione dell’offerta attiva del supporto psicosociale: dovrebbe comprendere incontri privati o sessioni in coppia oppure gruppi dedicati.
- Piano d’invio verso strutture sul territorio: si prevede la collaborazione con i consultori familiari e i centri specializzati nell’assistenza alle vittime della violenza per un’assistenza duratura.
In Brianza, così come altrove, i punti cardinali per le risorse dedicate al sostegno psicosociale sono essenzialmente costituiti dai consultori familiari, impegnati nell’offrire aiuto tramite consulenze appropriate
e percorsi formativi anche collettivi. Le donne vulnerabili poiché colpite da violenze ostetriche potranno beneficiare appieno delle opportunità messe a disposizione. Tali spazi non solo fungono da
rifugio sicuro ma favoriscono anche una ripresa emotiva attraverso elicitazioni dirette all’elaborazione dei
traumi superando stati ansiosi, depressione ed ogni complessità relazionale emergente. Il contributo fornito da uno psicologo specializzato in comportamenti rappresenta un’opportunità fondamentale per
le donne nel loro processo di guarigione. Questo professionista può facilitarne l’individuazione e la modifica degli schemi mentali e comportamentali disfunzionali, frutto dell’elaborazione del trauma subito.
Inoltre, tale supporto è essenziale per incentivare l’adozione di strategie di coping più adattive, nonché promuovere il recupero del benessere psicologico. È imprescindibile una sinergia tra i servizi ospedalieri
e quelli presenti sul territorio al fine di assicurare un percorso assistenziale fluido ed efficace.
Considerazioni relative al trauma, alla condizione psicologica e al cammino verso il recupero: una connessione fra ciò che si vive direttamente e le spiegazioni fornite dalla scienza
Il nesso fra l’evento traumatico — nello specifico quello riconducibile alla violenza ostetrica — e le ripercussioni sulla salute mentale è indiscutibile. Sotto una prospettiva attinente alla psicologia cognitiva
emerge chiaramente che esperienze devastanti hanno la capacità di sconvolgere i nostri schemi cognitivi fondamentali; tali schemi fungono da strumenti attraverso i quali interpretiamo gli eventi
quotidiani. Subire violenza in ambienti concepiti per offrire assistenza può risultare in una profonda sgranatura della fiducia nei confronti delle figure autoritative, erodere la percezione
dell’agency individuale rispetto al proprio corpo ed esistenza personale ed instillare uno sconcertante senso d’indifesa continua. Si ha quasi l’impressione che lo strumento cartografico impiegato
nella navigazione dell’esistenza venga improvvisamente ridotto in frantumi; ciò determina grande difficoltà nell’orientamento spaziale così come nella ricerca del benessere interiore.
Dal canto suo, la psicologia comportamentale evidenzia come gli esiti traumatici possano incanalarsi nel formarsi spontaneo di atti condizionati: stimoli specifici (un profumo particolare oppure rumori o
ambientazioni evocative del momento del parto) possono dar vita a reazioni affettive marcate (terrore, apprensione, collera) o manifestazioni comportamentali come la necessità di evitare situazioni
sociali o cercare isolamento. Consideriamo il caso di una donna la cui esperienza traumatica legata al parto si traduce in attacchi d’ansia ogni qual volta si trovi ad attraversare le porte dell’ospedale o ad
udire il pianto straziante di neonati. Questo fenomeno rappresenta fondamentalmente una risposta condizionata; sono segnali indelebili impiantatisi nel suo sistema nervoso da quell’esperienza dolorosa.
Il processo verso la guarigione dal trauma non segue mai direzioni rette; solitamente si necessita di un approccio complesso atto a decifrare tali dinamiche psicologiche. Occorre intraprendere con pazienza a
ricostruire i tasselli della propria psiche; ciò implica liberarsi progressivamente dalle reazioni angosciose all’idea stessa dei luoghi ospedalieri ed imparare nuovamente ad avere fiducia – inizialmente verso se
stessa – seguita poi da quella riguardante gli altri. L’opportunità non solo di esplorare questa narrazione ma anche quella vitalissima di sperimentarla in ambienti sicuri assistiti ed infine ricevere
riconoscimento per il dolore affrontato risulta cruciale lungo questo viaggio tortuoso. Il supporto fornito da esperti nel campo della psicologia diviene quindi fondamentale affinché possano assistere
nell’elaborazione degli eventi vissuti, ristrutturando al contempo eventualità negative riferite alla persona stessa o alle sue esperienze passate, oltre allo sviluppo di pratiche utili delle modalità progettuali
confacenti al coping. Questa figura professionale agirà come chiaro riferimento nelle oscure acque del post-trauma. È un percorso che richiede coraggio e resilienza, un atto di amore verso sé stesse per poter,
infine, abbracciare pienamente la propria esperienza di maternità.
- Abstract del progetto di ricerca dell'Università di Urbino sulla violenza ostetrica.
- Documento dell'OMS sulla prevenzione dell'abuso e della mancanza di rispetto durante il parto.
- Approfondimento sul rapporto speciale dell'ONU sulla violenza contro le donne.
- Pagina dell'Università di Urbino sull'Osservatorio sulla Violenza Ostetrica.
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