- Incidente: Don Robella ha subito fratture a braccio, costole e bacino.
- DSPT: il 7-12% sviluppa DSPT dopo eventi traumatici.
- Fede: la religiosità aumenta la resilienza dopo eventi traumatici.
La storia relativa a Don Riccardo Robella, cappellano ufficiale del Torino FC, assume contorni drammatici dopo il gravissimo incidente automobilistico avvenuto l’11 ottobre 2025 lungo la Strada Provinciale 16 nei pressi della rotatoria Salassa a Busano. Questa vicenda porta alla ribalta non solo le tragiche circostanze in sé, ma soprattutto il riflesso dell’impatto devastante, provocato dal trauma subito su una vita individuale; questo vale in modo particolare quando la figura centrale incarna nella sua comunità simbolismi forti quali quelli della fede e della speranza. Le modalità stesse dell’incidente sono state talmente devastanti da aver influito sull’equilibrio psico-fisico: nel corso dello scontro, infatti, il veicolo si è rovesciato, necessitando dell’intervento dei Vigili del Fuoco per liberarlo dai detriti metalmeccanici dovuti all’impatto violento. Gli effetti fisici hanno comportato indicazioni serie, concludendo in significative fratture a braccio, costole e bacino; tuttavia è altresì rilevante notare gli effetti psicologici prodotti dall’esperienza ravvicinata con la morte stessa: tali situazioni causano spesso sensazioni acute d’angoscia insieme alla difficoltà nel gestire emozioni profonde riguardanti la sicurezza personale, creando così potenziali presupposti che possono sviluppare sia reazioni acute allo stress sia forme più croniche come quel disturbo chiamato DSPT (disturbo da stress post-traumatico).
Il DSPT è una condizione complessa che si manifesta in seguito all’esposizione a un evento traumatico, caratterizzata da sintomi intrusivi, come ricordi ricorrenti e vividi del trauma, sogni angoscianti e flashback; l’evitamento persistente di stimoli associati al trauma; alterazioni negative delle cognizioni e dell’umore, come stati d’animo negativi persistenti e una marcata riduzione dell’interesse per attività precedentemente gratificanti; e alterazioni dell’arousal e della reattività, che includono irritabilità, difficoltà di concentrazione e disturbi del sonno. Nel caso di Don Robella, la convalescenza, pur caratterizzata da momenti di ottimismo e gratitudine per lo scampato pericolo, non può prescindere da una valutazione attenta di questi aspetti. La sua figura pubblica e il suo ruolo di riferimento spirituale potrebbero, paradossalmente, generare una pressione interna a “superare rapidamente” l’evento, senza concedersi il tempo e lo spazio necessari per elaborare il trauma. Questo è un errore comune, poiché la resilienza non è l’assenza di dolore, ma la capacità di attraversarlo e uscirne rafforzati.
La psicologia del trauma ci insegna che non esiste un’unica risposta al trauma; la reazione è influenzata da molteplici fattori, tra cui le esperienze passate, i meccanismi di coping individuali e il supporto sociale disponibile. La sua storia, in questo senso, diventa esemplare per comprendere come anche figure con una solida struttura interna e un’ampia rete di sostegno possano essere colpite profondamente da eventi inaspettati. La riabilitazione fisica, intrapresa con sedute di fisioterapia e lunghe passeggiate per rinvigorire il corpo, è solo una parte del percorso di guarigione. Parallelamente ad essa, è fondamentale un’attenzione costante al benessere mentale, che include la consapevolezza delle proprie emozioni e la capacità di chiedere aiuto professionale, se necessario.
In questo contesto, il messaggio di gratitudine e rinascita espresso da Don Robella, pur essendo un segno di grande forza, non deve oscurare la necessità di un’attenta osservazione dei segnali di disagio psicologico che potrebbero emergere nel tempo.

Il ruolo cruciale della fede e del supporto spirituale nella resilienza
Nel percorso di recupero da un trauma, la dimensione spirituale, in particolare la fede, emerge come un pilastro fondamentale, e l’esperienza di Don Robella ne è una testimonianza eloquente. Per molti individui, la fede non è semplicemente un insieme di credenze, ma un sistema di significato che fornisce un senso di coerenza e scopo, specialmente di fronte all’insensatezza e all’arbitrarietà degli eventi traumatici. La sua capacità di ringraziare, nonostante le ferite e il pericolo scampato, per una “seconda occasione” e per il “dono della vita”, evidenzia una prospettiva di trascendenza che può essere incredibilmente protettiva. Questo tipo di atteggiamento riflette una forma di coping religioso positivo, in cui l’individuo trova conforto e forza nella propria relazione con il divino, reinterpretando l’esperienza traumatica all’interno di una cornice spirituale più ampia. Non si tratta di negare il dolore o la sofferenza, ma di integrarli in una narrativa che contempla la speranza e la possibilità di crescita, anche attraverso le avversità.
La fede può agire come un potente fattore di resilienza attraverso diversi meccanismi. Innanzitutto, offre una struttura cognitiva che aiuta a dare un senso a eventi altrimenti caotici e inspiegabili. La convinzione che ci sia un disegno superiore o che la vita abbia un significato ultimo, anche nel dolore, può ridurre il senso di impotenza e disperazione. In secondo luogo, le pratiche spirituali, come la preghiera, la meditazione o la partecipazione a riti religiosi, possono fornire strumenti concreti per la gestione dello stress e dell’ansia. Questi momenti di introspezione e connessione possono favorire un senso di calma e controllo, ristabilendo un equilibrio interiore che il trauma ha sconvolto. Don Robella stesso ha sottolineato come la fiducia nella provvidenza abbia giocato un ruolo cruciale nel suo processo di guarigione, permettendogli di affrontare con maggiore serenità la convalescenza e le sfide che essa comporta. Affermazioni come “io che vivo della provvidenza” non sono frasi di circostanza, ma riflettono una profonda convinzione che informa l’approccio alla vita e, in questo caso, alla malattia e al recupero.

Inoltre, la dimensione religiosa e spirituale spesso si innesta in un contesto comunitario. Le comunità di fede offrono un supporto sociale insostituibile, sia emotivo che pratico. Nel caso di Don Robella, il sostegno ricevuto dai fedeli, dagli amici e in particolare dalla tifoseria del Torino FC, ha rappresentato un elemento fondamentale per il suo morale. Messaggi di incoraggiamento, visite e la semplice consapevolezza di essere “circondato da tanto affetto” possono fare una differenza abissale nel processo di guarigione. Questo supporto non solo mitiga il senso di isolamento che spesso accompagna l’esperienza traumatica, ma rafforza anche l’identità sociale dell’individuo, ricordandogli il suo valore e il suo posto nel mondo. Nel settore della psicologia della religione, le evidenze scientifiche hanno chiaramente rivelato una relazione favorevole tra il grado di religiosità e i livelli di resilienza. I dati indicano che coloro che possiedono una fede solida manifestano frequentemente sforzi superiori nell’ambito dell’adattamento psicologico dopo eventi traumatici, registrando tassi inferiori di depressione e ansia.
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La rete di supporto: comunità, amici e tifoseria
L’importanza del supporto sociale nel processo di guarigione da un trauma non può essere sottovalutata, e la vicenda di Don Riccardo Robella lo dimostra con chiarezza cristallina. Fin dai primi momenti successivi all’incidente, è emersa una rete di solidarietà estesa che ha avvolto il cappellano del Torino FC, fungendo da cuscino protettivo e da catalizzatore per il suo recupero. La prima e più ovvia fonte di sostegno è stata la sua famiglia e la sua cerchia di amici più stretti, che hanno fornito un supporto emotivo diretto e un aiuto pratico insostituibile durante la fase acuta della convalescenza. Essere accuditi, ascoltati e sostenuti nelle piccole e grandi difficoltà quotidiane è fondamentale per chi attraversa un periodo di grande vulnerabilità fisica e psicologica.
Tuttavia, il caso di Don Robella si distingue per la specificità e l’ampiezza del supporto proveniente dalla comunità sportiva, e in particolare dalla tifoseria del Torino. Il suo ruolo di cappellano della squadra lo ha reso una figura di riferimento non solo religiosa, ma anche un simbolo di appartenenza e identità per migliaia di persone. I numerosi messaggi di incoraggiamento ricevuti, le visite in ospedale e la preghiera collettiva, anche se a distanza, hanno rappresentato un potente stimolo motivazionale. La tifoseria, con la sua passione e il suo attaccamento, ha dimostrato come una comunità di interessi condivisi possa trasformarsi in una fonte di resilienza collettiva. Questo tipo di supporto va oltre la semplice assistenza; è un riconoscimento del valore dell’individuo, che rafforza il senso di appartenenza e riduce la sensazione di isolamento, un sintomo comune del trauma. Ricevere un tale affetto genera un profondo senso di gratitudine, come espresso da Don Robella stesso: “Mi sento circondato da tanto affetto e sono grato al Signore per il dono della vita, per questa seconda occasione e per tutte le persone che in questi giorni mi sono state vicine con la preghiera e l’amicizia”.

Il supporto sociale agisce su più livelli. A livello emotivo, offre conforto, empatia e la validazione delle proprie esperienze e sentimenti, che sono cruciali per l’elaborazione del trauma. A livello strumentale, può fornire assistenza pratica, come l’aiuto nelle faccende domestiche o nel recupero ospedaliero, alleviando il carico di stress e permettendo all’individuo di concentrarsi sulla propria guarigione. A livello informativo, la condivisione di esperienze e consigli può aiutare a navigare il percorso di recupero con maggiore consapevolezza. Nel contesto del trauma, la possibilità di esprimere il proprio dolore e la propria paura senza giudizio è fondamentale. Don Robella, pur essendo un uomo di fede con una forza interiore notevole, non è immune alla sofferenza. La presenza di una rete di supporto così fitta e variegata gli ha permesso di sentirsi meno solo e di attingere a risorse esterne che hanno completato la sua già solida resilienza interna. L’episodio in questione evidenzia la fondamentale necessità di nutrire e apprezzare le relazioni interpersonali, in quanto queste costituiscono un importante patrimonio umano e mentale, soprattutto nei periodi di crisi più intensa.
Una riflessione sulla fragilità e la forza interiore
La storia di Don Riccardo Robella, seppur specifica per le sue circostanze, offre uno spunto di riflessione universale sulla natura del trauma e sulla capacità umana di risorgere. Dal punto di vista della psicologia cognitiva, l’evento traumatico ha rappresentato una rottura violenta con le aspettative del mondo, un’interruzione della percezione di sicurezza e prevedibilità. Il cervello, in tali circostanze, può reagire con schemi di pensiero disfunzionali, come la ruminazione sul “cosa sarebbe potuto succedere” o la colpevolizzazione. Tuttavia, l’esempio di Don Robella ci mostra come la rielaborazione cognitiva, guidata dalla fede e dal supporto, possa condurre a una re-significazione dell’esperienza, trasformandola da pura minaccia a opportunità di crescita personale. La sua gratitudine per una “seconda occasione” è un classico esempio di rivalutazione positiva, un meccanismo cognitivo che permette di trovare un senso o un beneficio in un evento avverso, nonostante il dolore intrinseco.
Dal punto di vista della psicologia comportamentale, il recupero implica la graduale ripristrinazione delle attività quotidiane e l’esposizione controllata a situazioni che potrebbero evocare ricordi traumatici. Don Robella, con la sua attenzione alla riabilitazione fisica e il desiderio di tornare alle sue funzioni, dimostra un approccio adattivo, che mira a ricostruire un senso di normalità e controllo. Questo processo di “esposizione graduale” non è solo fisico ma anche psicologico, aiutando a ridurre l’evitamento e a ripristinare la fiducia nel proprio corpo e nel mondo circostante.
In un’ottica più avanzata, possiamo considerare il concetto di crescita post-traumatica (Post-Traumatic Growth – PTG). Il PTG non è l’assenza di sofferenza, ma la capacità di sperimentare cambiamenti positivi a seguito di un trauma significativo. Questo può manifestarsi in diverse aree, come una maggiore apprezzamento per la vita, relazioni più profonde, un senso di scopo più chiaro, una percezione di maggiore forza personale e cambiamenti nelle priorità spirituali o esistenziali. L’enfasi espressa da Don Robella riguardo alla gratitudine e alla provvidenza fa emergere l’ipotesi di un percorso potenzialmente volto verso una crescita personale significativa. Attraverso la sua esperienza, siamo invitati a meditare circa la nostra innata resilienza intrinseca: quale sia il nostro approccio nell’affrontare le difficoltà? Riusciamo ad accedere alle nostre risorse sia interne sia esterne al fine di conferire significato anche nei momenti più caotici della vita, rielaborando il dolore fino a convertirlo in energia capace di guidarci verso uno stato d’animo più profondo e soddisfacente? La narrazione delle sue vicissitudini sottolinea come la fragilità costituisca una realtà imprescindibile per l’essere umano; tuttavia è precisamente attraverso le modalità con cui reagiamo a tale vulnerabilità che viene manifestata la nostra massima resilienza.








