PTSD: come la guerra perseguita i soldati (e la società)

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  • Il PTSD colpisce i veterani, con un tasso di suicidi 1,5 volte superiore.
  • Nel 2024, 50 suicidi nelle Forze Armate e dell'Ordine in Italia.
  • Tra gli agenti di polizia, il tasso di suicidi si avvicina all'1 per mille.

L’ombra del PTSD: quando la guerra perseguita i soldati e la società

Il Disturbo da Stress Post-Traumatico (PTSD) si rivela un’ombra persistente, non solo sui campi di battaglia, ma anche nelle vite dei soldati e, per estensione, nella società intera. Le recenti vicende internazionali, caratterizzate da conflitti e tensioni crescenti, hanno riportato l’attenzione sulle conseguenze psicologiche devastanti che la guerra lascia dietro di sé. Il PTSD e i suicidi tra i veterani sono campanelli d’allarme che non possono essere ignorati.

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Un esercito ferito: il PTSD come epidemia silenziosa

Le statistiche sono impietose: un numero allarmante di soldati, di ritorno da zone di conflitto, lotta quotidianamente con i sintomi del PTSD. Ricordi intrusivi, incubi, ipervigilanza e difficoltà di concentrazione sono solo alcune delle manifestazioni di questo disturbo. Questi sintomi non solo compromettono la qualità della vita dei singoli individui, ma hanno anche un impatto significativo sulle loro famiglie e sulla comunità in cui vivono. Le difficoltà di reinserimento sociale, i problemi lavorativi e le relazioni interpersonali tese sono conseguenze comuni del PTSD.
Il caso di Israele, con un tasso di suicidi tra i veterani superiore alla media nazionale, è emblematico. Si presume che il tasso di autoeliminazione tra i veterani sia 1,5 volte più elevato rispetto a quello della popolazione generale, e tale incidenza cresce a 2,5 volte per le donne ex-combattenti. Questi dati evidenziano la necessità di un intervento tempestivo e di un supporto psicologico adeguato per i soldati che hanno subito traumi in guerra.

Oltre la guerra: il PTSD nella società civile

Il PTSD non è un problema esclusivo dei veterani di guerra. Anche i civili che hanno subito traumi, come incidenti, violenze o disastri naturali, possono sviluppare questo disturbo. La tragedia di Monteriggioni, con la morte di tre giovani in un incidente stradale, è un esempio di come eventi traumatici possano sconvolgere intere comunità.

Inoltre, è importante sottolineare che anche coloro che sono addestrati ad uccidere per scopi civili, come le forze dell’ordine, sono a rischio di sviluppare PTSD. In Italia, nel 2024, si sono registrati 50 suicidi tra le Forze Armate e dell’Ordine, un dato allarmante che evidenzia la necessità di una maggiore attenzione alla salute mentale di questi professionisti. Secondo i dati ISTAT, sebbene il tasso di suicidi nella popolazione italiana si aggiri intorno allo 0,60 per mille, tra gli agenti di polizia questo valore si avvicina all’1 per mille e lo supera per specifiche categorie, come gli agenti di polizia penitenziaria.

Verso una cultura della cura: la salute mentale come priorità

Di fronte a questa realtà, è fondamentale promuovere una cultura della cura e della prevenzione. È necessario investire in programmi di supporto psicologico per i veterani e per i civili che hanno subito traumi. Inoltre, è importante sensibilizzare l’opinione pubblica sul PTSD e sui suoi effetti, al fine di ridurre lo stigma associato a questo disturbo e incoraggiare le persone a cercare aiuto.

È necessario un cambiamento di paradigma, che metta al centro la salute mentale e il benessere psicologico. Solo così potremo costruire una società più resiliente e capace di affrontare le sfide del futuro.

Un invito alla riflessione: la responsabilità individuale e collettiva

Amici lettori, di fronte a queste storie di dolore e sofferenza, è impossibile rimanere indifferenti. Il PTSD è una ferita invisibile che colpisce nel profondo, lasciando cicatrici indelebili. Ma non siamo impotenti. Possiamo fare la differenza, iniziando con un piccolo gesto: ascoltare, comprendere, offrire il nostro sostegno a chi ne ha bisogno.

*La psicologia cognitiva ci insegna che i nostri pensieri e le nostre emozioni sono strettamente interconnessi. Un evento traumatico può alterare i nostri schemi cognitivi, portandoci a interpretare la realtà in modo distorto e negativo. La terapia cognitivo-comportamentale (CBT) può aiutarci a identificare e modificare questi schemi, permettendoci di superare il trauma e ritrovare un equilibrio interiore.

Inoltre, la ricerca avanzata nel campo della neuroplasticità dimostra che il nostro cervello è in grado di rigenerarsi e adattarsi anche dopo un trauma. Attraverso tecniche di mindfulness, neurofeedback e realtà virtuale, possiamo stimolare la neuroplasticità e favorire il recupero psicologico.*
Ricordiamoci che la salute mentale è un bene prezioso, da proteggere e coltivare. Non vergogniamoci di chiedere aiuto, se ne abbiamo bisogno. E impegniamoci a costruire una società più consapevole e compassionevole, in cui la cura e il sostegno psicologico siano accessibili a tutti. Solo così potremo spezzare la catena del trauma e costruire un futuro migliore per noi stessi e per le generazioni future.


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