- Un terzo dei giovani vive una condizione depressiva (IULM).
- Nel 2023, il 33% degli studenti soffre d'ansia (ISTAT).
- Mindfulness: +30% di partecipazione tra il 2022 e il 2024.
Nelle università si manifesta oggi una sottile crisi legata al benessere mentale degli studenti, caratterizzata da una emozionalità fragile. Numerose ricerche hanno messo in luce che molti giovani affrontano in modo riservato le proprie sfide interne, oscure fragilità emotive e il peso dell’incertezza. È fondamentale dunque esplorare i vari aspetti sia ambientali sia individuali che possono contribuire a tale stato generale insoddisfacente. Questo studio mira a svelare come diverse influenze esterne e dinamiche interne alle accademie possano alterare radicalmente la quotidianità e l’esperienza formativa dei giovani studenti.
Nell’odierno contesto universitario emerge una fragilità inquietante riguardante il benessere psicologico della popolazione studentesca; tale fenomeno richiede un’analisi approfondita per identificare le sue cause e sviluppare misure d’intervento mirate ed efficaci. Le statistiche attuali denunciano purtroppo un aumento preoccupante dei casi di disagio mentale tra gli studenti universitari: le istituzioni educative devono far fronte a quella che può essere definita come una silenziosa emergenza sociale. Questa condizione è conseguente a molteplici fattori interconnessi; la pressione accademica, ad esempio, va oltre il semplice raggiungimento delle valutazioni positive: essa comporta anche una continua aspirazione all’eccellenza accademica insieme a feroci competizioni per borse formative o opportunità lavorative dopo la laurea. Una porzione significativa degli studenti percepisce questo carico come insopportabile nella lotta quotidiana per mantenere votazioni alte mentre porta avanti progetti sfidanti e partecipa ad attività extracurriculari che tolgono spazio al riposo personale e ai momenti liberi da impegni costruttivi. Non ultimo è l’incertezza rispetto alle prospettive future: essa contribuisce notevolmente allo stress vissuto dai giovani adulti nel corso dei loro studi superiori. L’ambito professionale si configura come un contesto sempre più agguerrito e in continuo mutamento, suscitando ansia e preoccupazione rispetto alle opportunità occupazionali disponibili, alla solidità economica futura e al perseguimento del proprio sviluppo individuale. Gli studenti investono anni nella loro formazione accademica insieme a notevoli risorse economiche; tuttavia nutrono il timore che tali impegni non possano garantirne adeguate soddisfazioni sul lungo periodo.
In territorio italiano emerge da una recentissima indagine condotta dall’Università IULM che circa un terzo dei giovani vive una condizione depressiva. La diminuzione del benessere psichico tra i giovani risulta connessa a fattori quali lo stress cronico, l’isolamento sociale e uno stile di vita non salutare. [Fonte]. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), insieme a varie iniziative promosse in ambito europeo, esorta a una maggiore integrazione dei servizi comunitari di supporto. Viene messo in evidenza come sia fondamentale valorizzare il contributo delle attività artistiche e stimolare un coinvolgimento attivo dei giovani per far fronte alle sfide contemporanee e conseguire un miglioramento tangibile della loro qualità di vita. [1].
A ciò si aggiunge la solitudine, un sentimento spesso sottovalutato ma profondamente corrosivo. Molti giovani si trasferiscono lontano dalla famiglia e dagli amici per frequentare l’università, trovandosi catapultati in un ambiente nuovo e, talvolta, impersonale. La difficoltà di costruire nuove reti sociali salde, la frammentazione delle relazioni e l’uso eccessivo dei social media che, pur connettendo, possono anche isolare, contribuiscono a un senso di alienazione. Non va dimenticato il fenomeno dei “drop-out”, ovvero l’abbandono degli studi. Sebbene le motivazioni siano molteplici, una parte significativa di queste è correlata a problemi di salute mentale, come depressione, ansia e attacchi di panico, che rendono impossibile continuare il percorso accademico. Le istituzioni universitarie, per rispondere a questa crisi, hanno implementato diversi servizi di supporto psicologico, tra cui il counseling individuale, i gruppi di supporto e le pratiche di mindfulness. Tuttavia, l’efficacia di questi interventi, seppur con feedback positivi in alcuni casi, necessita di una valutazione più rigorosa e basata su evidence-based practice per garantirne la massima utilità e l’adeguata copertura delle esigenze studentesche. Si rende necessaria, quindi, una riflessione critica sull’adeguatezza delle risorse esistenti e sull’opportunità di adottare approcci più integrati e proattivi.
Nel 2023, circa il 33% degli studenti universitari italiani soffre di ansia e il 27% di depressione, secondo un’analisi dell’ISTAT [Fonte].
Strategie d’intervento attuali: tra luci e ombre
Le istituzioni accademiche sia in Italia che all’estero hanno tentato di fronteggiare la crescente necessità di assistenza psicologica proponendo diverse soluzioni come il counseling individuale, i gruppi volti al sostegno reciproco e le attività improntate sulla mindfulness. In particolare, il counseling individuale si configura come il cardine su cui poggiano molte offerte dei servizi universitari. Grazie a incontri diretti uno-a-uno con professionisti della psicologia altamente qualificati, gli studenti sono in grado di affrontare le loro difficoltà emotive, intraprendere percorsi per sviluppare strategie adattative ed ottenere aiuto personalizzato per gestire stati d’ansia, depressioni o stress. I dati statistici rivelano un incremento continuo nelle richieste riguardanti i servizi di counseling negli ultimi cinque anni; si registra persino un picco nell’anno accademico 2023-2024, mostrando così non solo un’accresciuta coscienza collettiva ma anche la diminuzione dello stigma legato alla ricerca d’assistenza specialistica. Tuttavia, dall’altro lato, la scarsità delle risorse disponibili sia umane che economiche spesso non riesce a far fronte all’intensa richiesta degli studenti, generando conseguenti liste d’attesa che rischiano di compromettere l’efficacia dell’intervento psicosociale disponibile sul campus. In molte prestigiose istituzioni accademiche si avverte una problematica cruciale: il numero limitato degli psicologi rispetto alla massa studentesca presente.
I gruppi di supporto fungono da cornice fondamentale per lo scambio esperienziale oltre a favorire l’emergere della comunità tra gli allievi. Concentrandosi su questioni mirate quali il controllo dello stress o le ansie legate agli esami, così come le transizioni all’interno del percorso universitario, tali assemblee consentono agli studenti non solo d’identificarsi in sfide comuni, ma anche d’apprendere dalle vite altrui. Il sistema della Peer Support si distingue in quanto stagionati compagni accademici forniscono assistenza ed orientamento ai nuovi arrivati; ciò ha dimostrato una notevole efficacia nell’instaurare dinamiche basate sulla fiducia reciproca e sull’empatia condivisa. Gli studi suggeriscono che prendere parte a queste sessioni possa potenziare la resilienza individuale oltre ad attenuare i sentimenti d’isolamento sociale. Tuttavia, il successo reale delle iniziative collettive è indissolubilmente legato alla guida esperta e alla capacità operativa volta alla creazione degli spazi protetti e inclusivi. Non ogni discente trova conforto nella rivelazione delle proprie fragilità in seno a una situazione aggregativa; pertanto, per molti, la riservatezza propria dell’incontro personale rimane largamente preferita.
Le pratiche di mindfulness, come la meditazione guidata e gli esercizi di consapevolezza, sono state introdotte in molte università per aiutare gli studenti a gestire lo stress e migliorare la capacità di concentrazione. Numerosi studi hanno dimostrato che la mindfulness può ridurre i livelli di cortisolo (l’ormone dello stress), migliorare la qualità del sonno e aumentare il senso generale di benessere. Corsi e workshop di mindfulness sono sempre più popolari, con una partecipazione che è cresciuta del 30% tra il 2022 e il 2024.
“L’implementazione efficace di programmi di mindfulness richiede un impegno costante da parte degli studenti e una comprensione approfondita dei principi.”
Nonostante i benefici evidenti, l’implementazione efficace di questi programmi richiede un impegno costante da parte degli studenti e una comprensione approfondita dei principi della mindfulness. Inoltre, per alcuni studenti con condizioni di salute mentale più complesse, la mindfulness potrebbe non essere sufficiente come unico intervento e potrebbe necessitare di essere affiancata da altre forme di terapia. Il nodo cruciale consiste nella facoltà degli atenei di amalgamare tali interventi all’interno di un sistema coerente, così da misurare l’impatto attraverso criteri ben definiti e fondati su dati empirici. È essenziale assicurarsi che le risorse siano distribuite in maniera efficace e che i servizi prestati rispondano concretamente alle necessità variegate della comunità studentesca.
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Verso modelli innovativi: prevenzione e promozione del benessere
Per affrontare in modo più olistico ed efficace l’emergenza legata alla salute mentale tra gli studenti universitari, è improrogabile adottare un approccio che superi la mera reattività, spostando il focus verso la prevenzione e la promozione attiva del benessere psicologico. In questo contesto, i principi della psicologia positiva e della terapia cognitivo-comportamentale (TCC) emergono come pilastri fondamentali per modelli innovativi di supporto. La psicologia positiva, infatti, non si concentra esclusivamente sulla patologia o sul deficit, ma mira a identificare e rafforzare le risorse e le virtù degli individui, promuovendo stati d’animo costruttivi come la gratitudine, la speranza e la resilienza. L’implementazione di programmi basati su questi principi potrebbe includere workshop sulla costruzione di un mindset positivo, l’apprendimento di tecniche per coltivare la gratitudine (ad esempio, tenere un “diario della gratitudine”) o lo sviluppo di abilità di gestione delle emozioni. In alcune università pilota, si sono già registrati risultati promettenti: un programma di sei settimane focalizzato sulla psicologia positiva ha mostrato una riduzione del 25% nei sintomi depressivi e un aumento del 30% dei punteggi di benessere soggettivo tra i partecipanti.
Nel 2024, l’Unione Europea ha avviato diversi progetti dedicati al benessere psicologico degli studenti, come il progetto HEARTS, che coinvolge università di diversi paesi per fornire supporto e strategie di prevenzione per il trauma giovanile [Fonte]. La terapia cognitivo-comportamentale (TCC), ampiamente riconosciuta su scala internazionale per la sua comprovata capacità nel trattare problematiche come l’ansia, la depressione e altri disturbi legati allo stress, mette a disposizione una serie di strumenti concreti volti ad assistere gli studenti nell’individuazione e nella trasformazione degli schemi cognitivi disfunzionali oltre ai comportamenti autodistruttivi. Integrare questa terapia nei contesti universitari potrebbe dare vita a interventi rapidi ed efficienti che si rivelerebbero facilmente accessibili senza sconvolgere il ritmo accademico. Un possibile approccio prevede l’organizzazione di workshop focalizzati sulla ristrutturazione cognitiva come mezzo utile contro l’ansia da prestazione oppure sessioni singole dedicate all’apprendimento delle tecniche necessarie al problem-solving e alla regolazione dello stress emotivo. Studi recenti indicano che, adottando i principi della TCC tramite sistemi digitalizzati o corsi online, è stato possibile coinvolgere un numero sempre crescente di studenti: questo ha permesso non solo d’infrangere le barriere logistiche ma anche quelle legate allo stigma sociale; infatti, i risultati evidenziano tassi d’efficacia simili a quelli ottenuti con le terapie faccia a faccia destinate ai disturbi con intensità lieve o moderata. L’introduzione di moduli di TCC nell’orientamento per le matricole, o come parte integrante di corsi di “soft skills”, potrebbe armare gli studenti con strumenti psicologici preventivi fin dalle prime fasi del loro percorso accademico.
Un approccio innovativo richiederebbe anche l’integrazione di questi modelli in una rete di supporto sistemica, che coinvolga non solo i servizi psicologici universitari, ma anche docenti, tutor, personale amministrativo e associazioni studentesche. La formazione del personale accademico e non sulla capacità di riconoscere i segnali di disagio e di indirizzare gli studenti verso i servizi appropriati è un passo cruciale. Progetti di “peer education” e la creazione di spazi sicuri di confronto gestiti dagli stessi studenti, ma supervisionati da professionisti, possono amplificare la diffusione di una cultura del benessere.
Glossario:
- Psicologia positiva: ramo della psicologia che si concentra sul miglioramento della qualità della vita e sulla promozione delle virtù umane.
- Terapia cognitivo-comportamentale (TCC): disciplina terapeutica centrata sulla nozione che i pensieri disfunzionali influiscano profondamente su come ci comportiamo e sulle nostre emozioni.
- Peer Support: assistenza derivante da individui con esperienze parallele.
L’aspirazione finale consiste nel dare vita a uno spazio universitario concepito non soltanto come fucina d’eccellenza dal punto di vista accademico, ma altresì come un ambiente proattivo nei confronti della salute mentale. È essenziale sviluppare una comunità in grado di alimentare la resilienza e promuovere il benessere psicologico, adottando misure preventive tanto primarie quanto secondarie; in questo modo sarà possibile attenuare la frequenza dei problemi legati alla salute mentale mentre verrà garantita assistenza pronta ed efficiente quando essa risulti necessaria. La visione richiede pertanto investimenti mirati: non solo nella fornitura immediata delle cure ma anche nella realizzazione di iniziative strutturali durature orientate alla diffusione della cultura del prendersi cura e dell’assistenza mutua tra gli studenti.
Costruire un domani più sereno: l’università come laboratorio di resilienza
Comprendere e affrontare la complessità della salute mentale nel contesto universitario non è solo un dovere etico, ma una vera e propria strategia di investimento per il futuro. Il benessere psicologico degli studenti non è un accessorio, ma la condizione fondamentale affinché possano esprimere appieno il loro potenziale accademico, personale e sociale.
Nel vasto campo della psicologia cognitiva, una nozione chiave è quella del bias di conferma, che ci porta a cercare informazioni che confermino le nostre credenze preesistenti, influenzando negativamente la percezione del nostro benessere [Fonte]. Nel corso del 2024, è stato rilevato che più di 16 milioni di cittadini italiani riportano l’esperienza di disturbi psicologici, variando da forme moderate a gravi. Questo rappresenta un aumento significativo del 6%, se paragonato ai dati registrati nel 2022. Tra le patologie prevalenti emergono l’ansia e la depressione, che risultano particolarmente incisive sulla salute mentale delle donne e dei giovani. [Fonte]. Nel contesto universitario, uno studente ansioso potrebbe inconsciamente cercare prove della propria inadeguatezza, interpretare un voto non eccellente come la conferma definitiva del suo fallimento anziché come un’opportunità di miglioramento, e ignorare tutti i successi passati. Questo processo, se non interrotto, può alimentare un circolo vizioso di pensieri negativi e sfociare in stati di sconforto profondi.
Guardando a una nozione più avanzata, possiamo considerare la teoria polivagale di Stephen Porges. Questa teoria, rilevante per la comprensione dei traumi e della regolazione emotiva, suggerisce che il nostro sistema nervoso autonomo risponde in modi diversi alle percezioni di sicurezza o pericolo. In un ambiente universitario competitivo e stressante, il sistema nervoso di uno studente può percepire costantemente minacce (scadenze, esami, pressioni sociali), attivando risposte di “lotta, fuga o congelamento” che possono manifestarsi come ansia cronica, ritiro sociale o persino stati di dissociazione. Comprendere questa interazione tra percezione del pericolo e risposta fisiologica è cruciale per sviluppare interventi che promuovano un senso di sicurezza e facilitino la regolazione emotiva.
Cari lettori, vi invito a una sincera riflessione su quanto siamo attenti alle “micro-espressioni” di disagio, non solo negli altri, ma anche in noi stessi.
L’università, come microcosmo della società, è il luogo ideale per coltivare non solo il sapere, ma anche la saggezza emotiva. È un laboratorio dove possiamo imparare a prenderci cura di noi stessi e degli altri, ad affrontare le sfide con strumenti psicologici solidi e a costruire una comunità basata sull’empatia e sul supporto reciproco. Non è un compito facile, ma è un percorso imprescindibile per formare individui che siano non solo professionisti competenti, ma anche persone equilibrate, capaci di affrontare le complessità del mondo con forza interiore e compassione. Immaginiamo un mondo in cui ciascuna università si trasformi in un autentico faro di benessere, elevando la crescita personale e il supporto psicologico al pari dell’eccellenza accademica. Un cambiamento simile potrebbe avere implicazioni straordinarie per gli studenti, promuovendo una cultura del benessere integrato nell’istruzione.