Maltrattamenti equini: come il trauma animale ferisce la nostra umanità

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  • L'indignazione per i maltrattamenti equini è una lesione collettiva.
  • I neuroni specchio ci fanno «sentire» il dolore altrui.
  • Il DSM-V del 2015 indica la crudeltà come precursore di disturbi.
  • Il 40% dei criminali violenti ha compiuto violenza sugli animali.
  • Il 16,7% dei ragazzi tra i 9 e 18 anni ha compiuto atti violenti.
  • Dal 2009 il Progetto Link-Italia raccoglie dati sui soggetti implicati.

L’eco silenziosa della violenza: il maltrattamento equino e le sue ripercussioni

Recentemente, l’attenzione dei media si è concentrata su un elemento oscuro della nostra società: la violenza indiscriminata nei confronti degli animali. La circolazione virale di clip raffiguranti maltrattamenti subiti da cavalli ha provocato una reazione collettiva fatta di indignazione profonda e incredulità. Questo fenomeno pone domande rilevanti non solo riguardo alla sorveglianza delle creature vulnerabili, ma anche sull’influenza psicologica che queste rappresentazioni esercitano sugli osservatori. L’analisi va oltre il mero torto fatto a un singolo essere; si manifesta come una lesione collettiva che intacca sensibilmente l’animo umano e determina conseguenze intricate ben oltre quanto ci si aspetti. Per anni ormai studiosi ed enti istituzionali hanno studiato il nesso tra gli abusi sugli animali ed eventuali disturbi mentali; indagine avviata già dall’OMS nel 1996 nelle sue raccomandazioni.

Le scene drammatiche con protagonisti i cavalli trainati in modo crudele attirano fortissime emozioni dalla massa dei testimoni oculari. Rabbia, tristezza e impotenza sono solo alcune delle reazioni immediate che emergono negli osservatori. Questi stessi spettatori, immersi nella visione di tale crudeltà, non possono fare a meno di elaborare giudizi morali affilati e un profondo senso di ingiustizia. È un meccanismo complesso, in cui l’empatia gioca un ruolo cruciale, amplificando il disagio. I neuroni specchio, quelle cellule cerebrali che si attivano sia quando compiamo un’azione sia quando la osserviamo in altri, sono i principali protagonisti di questa risonanza emotiva. Essi ci permettono di “sentire” il dolore dell’altro, sia esso umano o animale, e di elaborarlo come se fosse il nostro. Non è, quindi, solo un atto di violenza quello che vediamo, ma un’esperienza vicaria che può riattivare traumi pregressi o innescare risposte di stress acuto, persino il disturbo da stress post-traumatico secondario (PTSD secondario).

La violenza sugli animali non è un fenomeno isolato, ma si inserisce spesso in un contesto di preesistente degrado materiale, morale e culturale, come discusso in seno alla Camera dei Deputati il 14 febbraio 2024. L’interconnessione fra i vari aspetti è messa in evidenza attraverso uno studio approfondito dei casi clinici nonché dalla zooantropologia dedicata alla devianza. Il comportamento bizzarro verso gli animali, specialmente quando osservato durante l’infanzia, risulta essere indice probabile di condizioni esistenziali fortemente disturbanti; ciò viene evidenziato nel DSM V del 2015 dove si afferma che tale attitudine possa fungere da indicativo per i futuri disturbi comportamentali nei giovani. Inoltre, si mette in rilievo una possibile evoluzione verso disturbi antisociali nella vita adulta. I diversi studi realizzati fin dagli anni ’60 fino ad oggi nelle nazioni come Stati Uniti, Canada, Australia, Giappone, Inghilterra ed Olanda forniscono elementi tangibili riguardo a quest’amara realtà; pertanto sono state elaborate iniziative finalizzate sia alla prevenzione che al trattamento. Dal 2009 circa, in Italia, in virtù del Progetto Link-Italia, vengono raccolti dati sui diversi soggetti implicati, a sostegno delle evidenze emerse, cercando allo stesso tempo di delineare una nuova area specialistica all’interno della zooantropologia: cioè quella rivolta al fenomeno deviante. Non solo, i promotori collaborano attivamente con le Forze dell’Ordine per realizzare uno specifico database sui cosiddetti “casi Link”. La brutalità esercitata sugli animali deve essere considerata un segnale d’allerta:

sottolinea la necessità urgented’intervenire affinché possano prevenirsi altri criminie guidare trasformazioni significativesotto il profilo sociale ed organizzativo.

Progetto Link-Italia: Un’iniziativa per raccogliere casi di maltrattamento animale e sottolineare il legame con la violenza interpersonale. Negli ultimi anni, sono stati evidenziati comportamenti come lo zoosadismo e la zooerastia, che contribuiscono alla devianza sociale.
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Il Link: un ponte tra crudeltà animale e violenza interpersonale

Il fenomeno noto come “Link” non è un mero concetto teorico, ma un legame con solide basi scientifiche tra il maltrattamento o l’uccisione di animali e la violenza interpersonale, la devianza e, in particolare, il crimine violento. Questo termine, che in inglese significa “legame”, è stato ampiamente studiato a partire dagli anni ’60, con numerose ricerche internazionali inizialmente condotte negli Stati Uniti e successivamente approfondite in Canada, Australia, Giappone, Inghilterra e Olanda. Tali studi hanno fornito prove concrete di questa correlazione, stimolando lo sviluppo di progetti di prevenzione e cura volti a contrastare il fenomeno.

L’intenzionalità nel provocare dolore, sofferenza, angoscia o morte non necessarie a un animale è il punto cruciale della definizione di maltrattamento animale, così come formulata da Frank Ascione, uno dei maggiori esperti nel campo. Questo implica la capacità di comprendere le conseguenze delle proprie azioni e di esercitare un certo livello di autocontrollo, elementi che spesso mancano nei soggetti che perpetrano tali violenze.

Tipologia di Comportamento Comportamento Antisociale Associato
Maltrattamento Animale Aggressività verso le persone
Zoosadismo Comportamenti violenti
Zooerastia Violazioni sessuali

Il Progetto Link-Italia, attivo dal 2009, si è incaricato di raccogliere casi clinici per documentare e supportare questa realtà, promuovendo convegni e iniziative di informazione per gli operatori del settore, come quello tenutosi nel 2017 presso l’Ordine degli Psicologi della Toscana.

Il comportamento violento nei confronti degli animali può manifestarsi fin dalla minore età. Già nella Classificazione Internazionale dei Disordini Mentali e Comportamentali (ICD-10, 1996) e nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-III-R 1987), la crudeltà fisica sugli animali è stata inserita tra i sintomi del Disturbo della Condotta nei minori, rilevabile già a sei anni e mezzo.

Il legame tra maltrattamento animale e violenza è dimostrato dalle statistiche: il 40% dei criminali violenti ha commesso atti di violenza sugli animali nella propria infanzia.

Il DSM-V del 2015 ha ulteriormente enfatizzato il concetto di “predittività”, indicando come la crudeltà sugli animali nel contesto del Disturbo della Condotta possa essere un precursore del Disturbo Antisociale di Personalità nell’età adulta, caratterizzato da una persistente violazione dei diritti altrui. Questa allarmante associazione suggerisce che la violenza sugli animali non è solo un atto crudele in sé, ma anche un indicatore di gravi problematiche psicologiche e sociali sottostanti.

Le ricerche hanno evidenziato che la crudeltà sugli animali, specialmente se perpetrata da minori, può essere interpretata sia come sintomo di una condizione esistenziale patogena – in cui il minore stesso è vittima di maltrattamenti quali incuria, abusi psicologici, fisici o sessuali – sia come un fenomeno predittivo di comportamenti devianti o criminali futuri. Questi possono includere aggressioni a persone, distruzione di proprietà, furti con aggravante di vittima, borseggi, estorsioni, rapine a mano armata, rapimenti, violenze sessuali e assalti associati a fenomeni come gli “spree killer” e i “serial killer”.

Ricerche del CNR hanno indicato che il 16,7% dei ragazzi tra i 9 e i 18 anni ha compiuto atti di violenza su animali, suggerendo la necessità di monitorare questi comportamenti per un intervento precoce.

Un ambiente familiare e sociale caratterizzato da modelli violenti e patogeni favorisce lo sviluppo di tali comportamenti, richiedendo un approccio di intervento sistemico e capillare. Psicologi, educatori sociali, forze dell’ordine, psichiatri e criminologi dovrebbero collaborare nei luoghi di crescita dei bambini, come asili, comunità religiose e scuole, per intercettare precocemente questi segnali e intervenire prima che la violenza si radichi e si estenda, coinvolgendo anche la cosiddetta “zoocriminalità minorile”, in cui la criminalità organizzata utilizza i minori in “tirocini” di crudeltà animale per desensibilizzarli all’empatia. L’entrata in vigore della legge 20 luglio 2004, n. 189, che sancisce il divieto di infliggere sofferenze agli animali, rappresenta un elemento cruciale nel panorama legislativo; nonostante ciò, la realizzazione completa delle sue disposizioni si configura come un’impresa ardua, soprattutto per via del modo in cui i maltrattamenti verso gli animali sono spesso considerati come crimini di poco rilievo.

Il Trauma Equino: ferite invisibili e il loro impatto sulla psiche umana

Il trauma, sia esso fisico o psicologico, lascia cicatrici profonde non solo sull’essere vivente che lo subisce direttamente, ma anche su coloro che ne sono testimoni. Nel contesto equino, il maltrattamento, l’abbandono e l’utilizzo di metodi coercitivi lasciano ferite emotive che alterano indelebilmente la natura e l’equilibrio del cavallo. Un cavallo traumatizzato è spesso descritto come “difficile”, poco collaborativo, o al contrario, totalmente desensibilizzato e automa, disconnesso da sé e dall’ambiente circostante. Questi animali, come esseri di cristallo fragilissimi, portano addosso un tradimento profondo della fiducia, e la loro ferita è sempre una ferita di abuso o di cure mancate.

L’intervento per i cavalli traumatizzati, come quello descritto da professionisti del settore, si concentra sulla riattivazione delle risorse naturali dell’animale e sulla risensibilizzazione. È un processo delicato, che richiede tempo e pazienza, in cui il cavallo deve superare il proprio terrore per tornare a fidarsi degli esseri umani. Il passaggio “dal buio alla luce” è un momento particolarmente intenso, spesso accompagnato da lacrime, sia dell’animale che dei proprietari, che si confrontano con la profondità del dolore. Ciò che emerge è uno “spazio relazionale e di possibilità” in cui il cavallo accetta di riavvicinarsi, pur mantenendo una maggiore vulnerabilità e la necessità di costanti dimostrazioni di rispetto e amore.

La responsabilità umana in questo contesto è enorme. Ogni volta che si prende un cavallo, si assume la sua vita nelle proprie mani. È fondamentale informarsi e fare scelte consapevoli per il benessere equino, basandosi sulle migliaia di studi scientifici e clinici disponibili su gestione, alimentazione, pratiche equestri, addestramento e relazione. L’atteggiamento di “si è sempre fatto così” è obsoleto e dannoso, e la nostra generazione ha il privilegio di poter scegliere metodi più sani e rispettosi. Il vero obiettivo non è tanto curare i traumi, quanto evitarli, cambiando il nostro modo di vedere e vivere i cavalli. Il benessere dei nostri compagni equini è interamente condizionato dalle decisioni ed esperienze umane, come dimostrato dall’aumento della consapevolezza nel settore ippico insieme all’emergere di istituzioni educative e pratiche rinnovate tese a favorire un approccio etico basato sul rispetto.

Non è trascurabile il fatto che le conseguenze di una ferita su un cavallo ricadano notevolmente sull’osservatore stesso. Assistendo alla lotta dolorosa di un animale per riemergere da uno stato traumatico, ci si può sentire travolti emotivamente; l’esperienza si rivela estremamente toccante, oltre ad essere potenzialmente destabilizzante. Gli individui testimoni delle fasi del recupero o anche semplicemente dell’arco narrativo connesso al trauma potrebbero provare una forte ondata emozionale: questo evento potrebbe provocar loro sentimenti d’impotenza ma sollecitare altresì una spinta motivazionale intensa verso l’intervento. Ricerche riguardanti la terapia mediata dal cavallo (TMC) hanno dimostrato l’efficacia dell’interazione con tali animali nell’assistere le persone nel superamento delle sfide sensoriali ed emotive, contribuendo così alla diminuzione dei sintomi legati al disturbo post-traumatico da stress. In modo affascinante, sembra quasi che i cavalli possiedano la capacità innata di percepire chi ha subito traumi mentali o si trova in uno stato traumatico profondo; questo aspetto sottolinea la complessa sensibilità reciproca, rivelando così il profondo nesso esistente fra umano ed equino. L’ippoterapia ha rivelato la propria efficacia nell’affrontare la questione dell’impazienza, del nervosismo, nonché dell’ansia. Questo approccio terapeutico fornisce una vera opportunità di guarigione e invita a una riflessione profonda sulla dinamica esistente tra l’individuo e le sue difficoltà.

La via della consapevolezza: dalla crudeltà alla cura

Nella psicologia cognitiva, il modo in cui percepiamo e interpretiamo gli eventi ha un impatto diretto sulle nostre risposte emotive e comportamentali. La visione di un atto di maltrattamento, come quello inflitto a un cavallo, non è solo un “input” visivo, ma viene elaborato attraverso schemi mentali preesistenti, filtri emotivi e sistemi di credenze. Questo processo cognitivo determina l’intensità della nostra reazione, che può spaziare dallo sdegno alla compassione, all’attivazione di risposte di lotta o fuga, come avviene di fronte a un pericolo. È attraverso la lente delle nostre esperienze passate e dei nostri valori etici che interpretiamo il dolore altrui, e questa interpretazione modella la nostra successiva elaborazione emotiva.

Una nozione più avanzata, proveniente dalla psicologia comportamentale, ci invita a riflettere sulla “desensibilizzazione all’empatia” che può essere indotta in contesti di violenza assistita. Quando un individuo, in particolare un minore, è esposto ripetutamente a crudeltà contro gli animali, può sviluppare una forma di abitudine al dolore e alla sofferenza, che attenua la naturale risposta empatica. Questo meccanismo può portare a una diminuzione della capacità di riconoscere e rispondere al disagio altrui, favorendo lo sviluppo di comportamenti antisociali e privando l’individuo di quella bussola morale che l’empatia rappresenta. La zoocriminalità minorile, che coinvolge i giovani in “tirocini di crudeltà animale”, è un esempio lampante di come l’empatia possa essere sistematicamente disattivata, con conseguenze devastanti sulla formazione della personalità e sulla capacità di stabilire relazioni umane significative. È un processo di “deumanizzazione”, o in questo contesto, di “de-animalizzazione”, che rende l’individuo più propenso a ferire senza rimorso.

Focus Normativo: La Legge 20 Luglio 2004, n. 189, regola il maltrattamento degli animali in Italia, ma la sua applicazione rimane una sfida. La Proposta di Legge Dori, approvata nel 2024, mira a rafforzare le misure di protezione per i minori esposti alla violenza sugli animali.

La visione di tali atrocità, dunque, non ci lascia indifferenti. Ci spinge a riflettere su cosa significhi essere umani in un mondo in cui la crudeltà può manifestarsi in forme così palesi. Ci chiede di interrogarci sul nostro ruolo, sul nostro grado di consapevolezza e sulla nostra responsabilità, non solo nel denunciare ma anche nel prevenire. Ogni gesto di violenza, piccolo o grande che sia, lascia un segno non solo sulla vittima, ma anche sull’anima di chi osserva e, in ultima analisi, sull’intera società. È un monito a riscoprire e coltivare la nostra capacità di empatia, a riconoscere il valore intrinseco di ogni forma di vita e a lottare per un mondo in cui la compassione prevalga sulla brutalità. Possiamo, dobbiamo, essere il farmaco, non il veleno.

Glossario:

  • Zoosadismo: piacere derivato dalla sofferenza animale.
  • Zooerastia: pratiche sessuali che coinvolgono animali, associabili a problematiche psicologiche.
  • Link: esiste una relazione fra l’abuso sugli animali e la manifestazione di atti violenti verso altri esseri umani.

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