- La Strage di Torino del 1864 causò 52 morti e 187 feriti.
- La decisione di spostare la capitale a Firenze scatenò proteste.
- L'iniziativa artistica si espanderà a Napoli e Firenze.
Nel labirinto delle metropoli contemporanee, dove la vita pulsa a ritmi frenetici e la memoria storica si stratifica in modo spesso invisibile, emerge la necessità di un dialogo profondo con le cicatrici urbane. Un progetto artistico, ideato da Marco Bassan e Ludovico Pratesi, fondatori di Spazio Taverna, si propone di addentrarsi in questa dimensione complessa, offrendo un’inedita prospettiva sulla resilienza delle città attraverso il linguaggio dell’arte. L’iniziativa, nata da un’intervista all’architetto Daniel Libeskind e dalla sua visione delle architetture come tessitrici di ferite storiche, come Ground Zero a New York e il Museo Ebraico a Berlino, si focalizza sulla capacità dell’arte di andare oltre il mero decorativismo, rendendosi indispensabile a livello sociale. Chiara Lorenzetti, curatrice di Spazio Taverna, segue questo percorso innovativo sin dall’inizio, enfatizzando l’importanza di un approccio che attivi la memoria e stimoli la consapevolezza collettiva. [Finestre sull’Arte]
Il progetto ha già attraversato diverse tappe significative, consolidando la sua risonanza nel panorama culturale italiano. La prima si è svolta a Roma nel febbraio 2023 presso la galleria Mattia De Luca. Successivamente, ha fatto tappa a Milano nel marzo 2025, alla Triennale, con un’esposizione dedicata alle Ferite della città meneghina. Attualmente, l’iniziativa è protagonista a Torino, presso la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, dove sarà visitabile fino al 12 ottobre. In parallelo, l’Accademia di San Luca a Roma celebra la donazione delle opere dedicate alle Ferite della Capitale all’istituzione stessa, presentando una seconda edizione del progetto romano. In questa fase, agli artisti coinvolti si sono aggiunti poeti selezionati da Andrea Cortellessa, che con le parole curano le stesse ferite già elaborate visivamente dagli artisti, creando un abbinamento di grande valore simbolico. È un atto di generosità civica da parte degli artisti, che hanno donato gratuitamente le loro opere, dimostrando una profonda responsabilità collettiva nel confrontarsi con queste sfide cruciali per la memoria cittadina.
Le “ferite” esplorate dagli artisti abbracciano archi temporali differenti e rivelano la peculiarità storica di ogni centro urbano. A Roma, le tracce del passato si estendono per duemila anni, toccando eventi come l’Assassinio di Giulio Cesare nel 44 a. C., quello di Beatrice Cenci nel 1599, il rogo di Giordano Bruno nel 1600, fino agli omicidi di Pasolini nel 1975 e Aldo Moro nel 1978. Questi tragici episodi evidenziano un inestricabile intreccio tra storia e politica nella Capitale. A Milano, le ferite affondano le radici nel Diciannovesimo secolo, mentre a Torino risalgono al Seicento, includendo la presa della città nel 1639, la Strage di Superga nel 1949, l’incidente Thyssen nel 2007 e la tragedia di Piazza San Carlo nel 2017. La scelta delle dieci ferite per ogni città è il risultato di un processo complesso, che coinvolge storici e cittadini appassionati, privilegiando gli episodi che rimangono vivi e significativi nell’immaginario collettivo.
Il curatore Ludovico Pratesi sottolinea l’importanza di queste iniziative in un momento storico in cui la rimozione o la revisione antistorica della memoria collettiva sono rischi concreti. L’arte diventa così uno strumento imprescindibile per allenare la memoria e aumentare la consapevolezza delle persone sulla complessità della propria storia. Questo non è un semplice esercizio accademico, ma un invito a riconoscere e a elaborare i traumi che hanno plasmato le nostre comunità, permettendo una ricucitura di queste ferite attraverso la riflessione e la condivisione. Il progetto, che si propone di espandersi a Napoli e Firenze in Italia, e in futuro a città internazionali come Varsavia, Atene e Londra, mira a tessere una mappa complessiva dei traumi urbani, evidenziando come la storia italiana sia spesso attraversata da rivoli di sangue legati a periodi come il Risorgimento, il fascismo e il terrorismo degli anni Settanta.
Torino, tra memoria e oblio: la strage del 1864
Nel cuore della storia di Torino, si annida il ricordo di un evento tragico che ancora oggi risuona con forza: la Strage di Torino del 1864. Un eccidio, avvenuto il 21 e 22 settembre 1864, che ha segnato profondamente la città, lasciando 52 cittadini torinesi morti e 187 feriti a seguito della repressione delle proteste contro il trasferimento della capitale del Regno d’Italia da Torino a Firenze. Una decisione politica, frutto della Convenzione di settembre firmata il 15 settembre 1864, che non solo scosse le fondamenta istituzionali ma lacerò il tessuto sociale ed economico della città, provocando una reazione popolare violenta e drammatica.
Le proteste iniziarono il 20 settembre, con cinque o seimila persone che manifestavano per le vie della città, esprimendo il loro disappunto con slogan come “Abbasso il ministero! ”, “Roma o Torino!”, “Abbasso la convenzione!”, “Viva Garibaldi!”. Lo spostamento della capitale era percepito come una minaccia diretta allo sviluppo economico e agli interessi consolidati della città, che aveva investito considerevolmente in lavori e iniziative legate al suo status di capitale. La Gazzetta di Torino, schierata a favore della convenzione, divenne bersaglio delle manifestazioni, culminate in assembramenti e bruciature di copie del giornale. Il clima di tensione divenne insostenibile, con voci frammentarie e illazioni che circolavano, alimentate anche da un protocollo segreto dell’accordo che celava la clausola dello spostamento della capitale.
Il 21 settembre, la situazione precipitò. Nel pomeriggio, mentre il consiglio comunale straordinario si riuniva per discutere il trasferimento della capitale, in Piazza San Carlo si radunò un gruppo di giovani con bandiere italiane. L’intervento delle guardie di pubblica sicurezza fu sproporzionato: sguainarono le daghe, percossero e arrestarono ventinove persone. La questura fu assediata dalla folla che chiedeva il rilascio degli arrestati, ottenuto solo grazie all’intervento di una delegazione della giunta comunale. La sera stessa, in Piazza Castello, altri manifestanti, armati di bastoni, si scontrarono con gli allievi carabinieri a difesa del Ministero dell’Interno. Dopo due colpi di arma da fuoco, si scatenò un fuoco di fila, lasciando a terra morti e feriti, 15 secondo le fonti. Le testimonianze dell’epoca parlano di scene agghiaccianti, con i carabinieri che sparavano indiscriminatamente anche contro i fuggenti.
Il 22 settembre, la tragedia si consumò in Piazza San Carlo. Una folla di “avvinazzati” si radunò, scagliando pietre contro la questura. Gli allievi carabinieri, intervenuti per disperdere l’assembramento, aprirono il fuoco verso il centro della piazza, colpendo un battaglione di fanteria e agenti di pubblica sicurezza, generando un devastante fuoco incrociato. Il risultato fu un bagno di sangue: 47 morti tra militari e civili. Le macabre conseguenze della strage costrinsero il governo Minghetti alle dimissioni e spinsero Vittorio Emanuele II ad incaricare Alfonso La Marmora di formare un nuovo governo. Le numerose inchieste, sia amministrative che giudiziarie, culminarono in un “non luogo a procedere” per i ministri coinvolti e in un’amnistia generale nel febbraio 1865 per tutti gli arrestati, incluse le truppe militari. L’oblio calò su questi tragici eventi, ma non sulle lapidi commemorative e sui segni delle pallottole che ancora oggi sono visibili ai piedi del monumento a Emanuele Filiberto di Savoia in Piazza San Carlo, un monito silente di un trauma profondo.

- È incredibile come l'arte possa far rivivere eventi dimenticati... 🎨...
- La strage è un evento orribile, ma non dovremmo dimenticare che... 😠...
- E se invece di concentrarci solo sulla tragedia guardassimo a...? 🤔...
Resilienza urbana: l’arte e la partecipazione civica come catalizzatori di guarigione
Il concetto di “trauma urbano” si manifesta come una ferita emotiva e psicologica profonda, non solo per il singolo individuo, ma per l’intera collettività che abita un ambiente cittadino. Eventi sconvolgenti come catastrofi naturali, atti di violenza, degrado ambientale, o anche le tensioni stressanti della vita quotidiana in città, possono lasciare un’impronta duratura sulla psiche degli abitanti. I sintomi di questo malessere urbano possono tradursi in disturbi fisici – quali mal di testa, dolori muscolari, insonnia – e psicologici come ansia, depressione e Disturbo da Stress Post-Traumatico (PTSD). Il trauma, infatti, è un’esperienza soverchiante, inaspettata e invasiva, che mina le certezze individuali e collettive, rendendo difficile darvi senso e significato. Di fronte a queste sfide, la resilienza urbana emerge come la capacità delle città di adattarsi, resistere e rigenerarsi dopo shock o stress, promuovendo il benessere dei suoi cittadini.
Nell’ambito di questa resilienza, l’arte e la partecipazione civica giocano un ruolo fondamentale, trasformandosi in autentici catalizzatori di guarigione e coesione sociale. L’arte pubblica partecipata, ad esempio, non è solo una forma di espressione estetica, ma un potente strumento di rigenerazione urbana e di ricostruzione delle comunità. I benefici sono molteplici: dall’attivazione del coinvolgimento e del senso critico dei cittadini alla promozione di nuove visioni per il fare e l’abitare. La street art, in particolare, con le sue opere realizzate sui muri delle città, può raccontare storie di coraggio e resilienza, come nel progetto “Almas: Voci di Coraggio”, che attraverso simboli e immagini evoca valori di partecipazione civica. Tali iniziative contribuiscono a creare luoghi di vita civica e culturale, favorendo l’inclusione sociale e incrementando la qualità del tessuto urbano.

Le strategie resilienti per la partecipazione si fondano sulla valorizzazione dell’intelligenza connettiva dei cittadini. Attraverso programmi culturali che integrano arte e verde urbano, si promuove una migliore qualità dell’abitare e un senso più profondo di appartenenza. A Roma, ad esempio, la strategia di resilienza del progetto “100 Resilient Cities”, a cui la Capitale ha aderito nel dicembre 2013, enfatizza la creazione di edifici intelligenti e un’urbanistica resiliente, in cui ogni nuova struttura contribuisce positivamente all’ambiente e alla società. Progetti come “Connessioni Urbane” a Roma uniscono arte e architettura con l’obiettivo di rigenerare le aree metropolitane, dimostrando come la rigenerazione urbana sia un fenomeno polisemico, che abbraccia processi volti a migliorare il benessere complessivo delle comunità.
La cura dei traumi urbani attraverso l’arte è una forma di psicologia applicata al soccorso, nel senso più ampio del termine. Essa riconosce il ruolo della memoria collettiva, dell’identità locale e del senso di comunità come pilastri fondamentali per la guarigione. L’arte offre un linguaggio per esprimere ciò che le parole non riescono a catturare, creando uno spazio di condivisione e riconoscimento del dolore, ma anche di speranza e ricostruzione. Iniziative come quelle di Spazio Taverna a Roma e Torino, che invitano gli artisti a confrontarsi con le “ferite” delle città, diventano spazi terapeutici in cui la collettività può elaborare il proprio passato, tessere narrazioni alternative e rafforzare la propria resilienza di fronte alle sfide future. L’arte, in questo contesto, è un atto di cura, memoria e trasformazione, che attiva il potenziale latente nelle comunità per affrontare e superare le conseguenze del trauma urbano, promuovendo un benessere psicologico diffuso e un senso di identità
- Curriculum Vitae di Spazio Taverna, fondato da Marco Bassan e Ludovico Pratesi.
- Sito ufficiale della Triennale di Milano, sede della mostra 'Le ferite di Milano'.
- Pagina ufficiale della mostra "Le ferite di Milano" alla Triennale.
- Sito ufficiale dell'Accademia di San Luca, istituzione coinvolta nel progetto artistico.