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Violenza nei pronto soccorso: come proteggere gli infermieri dal trauma?

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  • Nel 2024, il 40,2% degli infermieri ha subito aggressioni.
  • Il 72% degli infermieri aggrediti sono donne tra i 30-40 anni.
  • Il 25% degli infermieri è a rischio burnout.

L’escalation della violenza nei Pronto soccorso: un’analisi delle cause e delle dinamiche

L’aumento della violenza rivolta verso gli operatori sanitari negli ambienti dei Pronto soccorso italiani rappresenta una questione di emergente gravità le cui origini si situano all’incrocio tra dinamiche sociali complesse e strutture organizzative precarie. Episodi recenti come <a class="crl" target="_blank" rel="nofollow" href="https://www.infermieristicamente.it/articolo/18833/nursind-denuncia:-nuova-aggressione-a-un-infermiere-al-pronto-soccorso-di-civitanova”>quello avvenuto a Civitanova – in cui l’aggressività manifestata da un paziente insoddisfatto dell’attesa ha colpito direttamente un infermiere – evidenziano non soltanto l’instabilità del sistema sanitario attuale ma anche l’esposizione critica del personale sulla “linea del fronte”. Quella della violenza nel lavoro non è dunque solamente una problematica circoscritta al nostro paese; si palesa invece come realtà diffusiva frequentemente minimizzata nella sua portata. Un’indagine realizzata dalla FNOPI a marzo 2024 sottolinea questo aspetto con dati significativi: il 40,2% degli intervistati fra gli infermieri ha segnalato ripetute esperienze aggressive nell’arco temporale annuale, registrando maggiore frequenza per le donne nella fascia d’età compresa tra i trent’anni e i quarant’anni occupate nel settore pubblico. In aggiunta a ciò vi sono ulteriori studi che documentano tassi variabili d’insulti sul posto di lavoro oscillanti fra il 48,6% e il 65,9%, contribuendo a delineare uno scenario drammatico caratterizzato da condizioni quotidiane crescentemente avverse. Le aggressioni si manifestano non solo attraverso la violenza fisica, ma anche tramite comportamenti molesti a livello verbale o psicologico; tali condotte sono capaci di infliggere danni sia fisici che emotivi ed economici.

Uno studio del 2022 ha messo in evidenza alcune delle cause principali alla base di queste problematiche: emergono chiaramente lo stress dovuto a lunghe attese, una bassa quantità d’informazioni offerte ai pazienti e ai loro familiari, insieme a un ambiente caratterizzato da confusione acustica costante (nulla più inadeguata per garantire tranquillità al paziente.) L’assenza di comunicazioni chiare unitamente alla sensazione diffusa d’inefficienza nella gestione dei servizi provoca sentimenti nocivi quali frustrazione e rabbia; questi stati d’animo talora sfociano purtroppo contro gli operatori sanitari stessi – considerati gli immediatamente rappresentativi dell’intero sistema. Secondo dati forniti dalla FNOPI risulta allarmante che oltre il 72% degli infermieri aggrediti siano donne comprese fra i trent’anni e i quaranta: essi operano principalmente nei Pronto soccorso, dove la fenomenologia della violenza supera nettamente quella osservabile in altri contesti assistenziali. La constatazione in oggetto mette in luce, da un lato, l’assenza di personale adeguato e dall’altro, l’urgenza di potenziare il sistema sanitario e le risorse sul territorio[FNOPI]. In aggiunta a quanto sopra esposto vi è una manifestazione interna della fragilità del sistema di protezione vigente; essa presenta lacune sia nella sua struttura che nell’organizzazione pratica tale da non riuscire sempre ad assicurare un’atmosfera lavorativa sicura. Inoltre, il Pronto soccorso stesso porta in sé un potenziale elevato per le criticità: è infatti caratterizzato da situazioni di densa emotività ed alta tensione, dove si scontrano l’urgenza dell’intervento medico con il dolore umano cui ci si trova spesso davanti, sfruttando risorse assai limitate al fine di rispettare procedure stabilite. I molteplici aspetti in gioco richiedono quindi strategie altrettanto complesse; queste dovrebbero contemplare oltre agli apparati fisici anche iniziative dedicate a potenziare la comunicazione efficace tra i professionisti sanitari – così come ottimizzare la gestione delle attese – accompagnandole a programmi formativi appositi.

Le ripercussioni dirette scaturenti dalle aggressioni ai danni degli operatori sanitari rivestono una gravità straordinaria. Le esperienze traumatiche vissute dagli infermieri conducono frequentemente alla manifestazione di emozioni come rabbia (66.7%), paura (60%) ed ansia (50.7%), stando alle evidenze emerse da uno studio condotto nel 2021. Se tali reazioni acute vengono trascurate o mal gestite possono evolvere verso problematiche psicologiche durature capaci di danneggiare significativamente tanto il benessere dei singoli individui quanto l’efficacia generale nell’assistenza sanitaria fornita. L’senso di demotivazione e frustrazione è frequente tra i lavoratori ed è capace di incoraggiare scelte drastiche: dal lasciare la propria carriera al cercare ambientazioni professionali considerate meno pericolose. In particolare, negli ambiti sanitari – fortemente legati alla cura umana – l’aggressione sul lavoro compromette essenzialmente fiducia e sicurezza degli operatori sanitari stessi. Ciò genera un ciclo negativo caratterizzato da crescente stress accompagnato da una condizione generale d’infelicità.

La diffusione delle notizie su tali violenze dà vita a dibattiti cruciali nel dominio della psicologia cognitiva, ponendo interrogativi fondamentali riguardo ai risvolti sulla salute mentale delle persone coinvolte. L’esposizione ricorrente a eventi traumatizzanti può attivare meccanismi predisposti per lo sviluppo dello stress post-traumatico. Ciò influisce negativamente sulla percezione del proprio stato di benessere emotivo nonché sull’abilità di affrontare situazioni difficili; l’ambiente lavorativo si trasforma pertanto in uno scenario minaccioso dove emergono reazioni primitive: combattimento (fight) o fuga (flight) o blocco (freeze). Tali risposte ripetitive lasciano segni duraturi sull’equilibrio psicologico degli individui coinvolti. È cruciale comprendere come la mente umana elabora e reagisce a queste minacce, per sviluppare interventi mirati che possano sostenere il personale sanitario nella gestione del trauma e nella prevenzione di disturbi più gravi.

La prevenzione e la gestione della violenza in Pronto Soccorso non sono solo un obbligo etico e legale, ma una necessità impellente per la tutela della salute degli operatori e per garantire la continuità e la qualità dei servizi sanitari offerti alla comunità. Le strategie devono essere multidimensionali e integrate, abbracciando sia aspetti strutturali che psicologici.

Illustration de la violence dans les services d’urgence
Illustration de l’intensification de la violence dans les services d’urgence, mettant en scène des figures abstraites d’infirmiers et de patients dans un style néoplastique et constructiviste.
Cosa ne pensi?
  • Finalmente un articolo che affronta seriamente il problema... 👍...
  • Ma davvero pensiamo che più telecamere risolvano la situazione? 😠......
  • E se la violenza fosse un sintomo di un problema più grande...? 🤔......

Gli impatti psicologici a lungo termine: l’ombra del burnout e il disturbo da stress post-traumatico

Le conseguenze psicologiche durature: il peso del burnout e il disturbo da stress post-traumatico

L’esposizione prolungata alla violenza, sia essa fisica o verbale, lascia un’impronta indelebile sulla psiche degli operatori sanitari, manifestandosi in una serie di conseguenze psicologiche a lungo termine che trascendono la sintomatologia acuta. Tra le più diffuse e perniciose, emergono il burnout, la demotivazione e il disturbo da stress post-traumatico (PTSD), condizioni che minacciano seriamente il benessere psicofisico individuale e la stabilità del sistema sanitario nel suo complesso. Uno studio del 2022 ha evidenziato come l’esposizione a qualsiasi forma di violenza, tanto a breve quanto a lungo termine, possa generare effetti deleteri non solo per l’individuo ma per l’intera organizzazione. Il termine “burnout”, che di fatto è entrato ufficialmente a far parte del linguaggio diagnostico, descrive una sindrome da stress lavorativo cronico, caratterizzata da esaurimento emotivo, depersonalizzazione e ridotta realizzazione personale. Per gli infermieri del Pronto soccorso, l’esposizione costante a situazioni di tensione, frustrazione e aggressività, unita alla percezione di un supporto insufficiente, costituisce un terreno fertile per lo sviluppo di questa patologia. I riflessi delle aggressioni si manifestano con ripercussioni ampie che travalicano il singolo evento. Questi effetti possiedono il potere di assumere forme gravi e prolungate nel tempo; sono capaci non solo di danneggiare il benessere psicofisico degli operatori, ma anche di incidere pesantemente sulla loro realizzazione professionale—fino a mettere in discussione le scelte occupazionali future—come dimostrato da un’indagine accademica redatta nel 2023. Emozioni negative quali paura, rabbia e ansia, sorte dalla violenza subita, possono cronicizzarsi con esiti deleteri per gli infermieri al punto da minare seriamente il tenore della loro vita quotidiana al di fuori delle mura ospedaliere. Ulteriormente inquietante è la questione della demotivazione associata alla frustrazione: queste esperienze vengono frequentemente riconosciute tra i risvolti più comuni conseguenti alle aggressioni; conducono inevitabilmente a una riduzione del fervore lavorativo e all’insorgere di atteggiamenti sempre più scettici verso i pazienti.

In parallelo alla situazione evidenziata è opportuno citare l’Agenzia Europea per la Sicurezza e la Salute sul Lavoro (Eu-Osha), che ha rilevato come le aggressioni rappresentino la seconda fonte principale del disagio mentale fra i professionisti sanitari nell’Unione Europea—subito dopo le problematiche relative all’organizzazione interna degli ospedali stessi. Circa il 25% degli infermieri è a rischio di burnout[Nursing Up], mentre un terzo degli operatori sanitari valuta seriamente di abbandonare la professione dopo aver subito un’aggressione[Nursing Up]. In situazioni più severe, gli effetti della violenza possono manifestarsi in forme acute come il PTSD, che include sintomi invasivi come flashback e incubi. Tali esperienze provocano l’evitamento degli stimoli legati al trauma ed episodi emotivi negativi accompagnati da uno stato d’iperarousal. La conseguente condizione psicologica compromette non solo la qualità esistenziale degli operatori sanitari, ma intacca anche gravemente le loro capacità nella fornitura di un’assistenza qualitativa che sia attenta ed empatica. Ciò si traduce in una relazione terapeutica sfavorita con i pazienti stessi. È cruciale, quindi, disporre della figura dei psicologi specializzati nel riconoscere le modalità comunicative e nell’analisi del comportamento aggressivo emergente.

Il grado d’impatto delle suddette problematiche sul servizio assistenziale è tanto immediato quanto inquietante. Un professionista appesantito da stress o traumatizzato fatica a rimanere concentrato: questo riduce notevolmente l’efficienza nelle decisioni rapide e aumenta le probabilità di sviluppare scarsa empatia professionale. L’affaticamento emotivo conduce a errori potenzialmente gravi, oltre a compromettere l’attenzione ai bisogni dei pazienti; tutto ciò genera un distacco dalla relazione terapeutica stessa. Il risultato è un ciclo vizioso, dove le esperienze traumatiche degli infermieri influenzano negativamente le loro abilità professionali nella cura dei pazienti. Ciò amplifica la possibilità che si verifichino stati di insoddisfazione e frustrazione tra gli stessi assistiti, generando così l’innesco di ulteriori episodi aggressivi.

Essere consapevoli delle intricate dinamiche psico-sociali alla base del problema rappresenta una condizione necessaria per intraprendere azioni risolutive. Strumenti quali formazione continua, protocolli preventivi e sostegno psicologico rivestono un’importanza cruciale nel combattere questo triste fenomeno indirizzato agli infermieri; tali misure non solo proteggono la loro integrità mentale, ma assicurano anche una qualità superiore nell’erogazione dell’assistenza sanitaria.

L’adozione di misure preventive e il rinforzo del supporto psicologico costituiscono un approccio integrato essenziale per garantire la tutela dei professionisti coinvolti. È fondamentale che siano instaurate politiche mirate a creare ambienti lavorativi sicuri, dove il benessere mentale è considerato prioritario. In questo contesto, l’integrazione tra pratiche preventive e interventi psicologici diventa un tassello cruciale nel sostegno agli operatori, favorendo non solo la loro protezione personale ma anche l’efficacia del servizio offerto.

Affrontare in modo incisivo la crescente onda delittuosa all’interno dei Pronto soccorso è fondamentale non solo per proteggere i lavoratori da situazioni critiche, ma anche per attenuare i loro effetti deleteri a livello psichico. È quindi essenziale perseguire un approccio integrato e multidimensionale, il quale deve includere una serie articolata di interventi mirati alla prevenzione della violenza stessa; strategie concrete per gestire i singoli eventi avversivi; oltre a stabilire solidali sistemi attivi di assistenza psicologica riservati alle persone coinvolte. In tal senso, si evidenzia come le indicazioni provenienti sia dai livelli regionali sia dalle normative ministeriali si orientino verso l’attuazione sinergica delle politiche in essere. Un riferimento cruciale è rappresentato dal Decreto Legge 137/2024 (datato 9 ottobre 2024), il quale, insieme ad ulteriori raccomandazioni elaborate a livello locale, evidenzia quanto sia imprescindibile predisporre tempestivamente un sostegno psicologico immediato, al fine di fornire assistenza tempestiva agli operatori colpiti dalla violenza ed assisterli adeguatamente nel percorso post-evento.

È vitale che ciascun piano operativo volto alla prevenzione assicuri servizi appropriati per sostenere gli operatori vittime dell’aggressione fisica o verbale. A tal proposito sono necessari interventi finalizzati all’individuazione precoce delle condizioni problematiche esistenti tramite uno screening preliminare dell’utenza, mirante così all’allontanamento o, quanto meno, alla diminuzione dei fattori di rischio correlati all’erompente fenomenologia della violenza nei contesti ospedalieri. Questo indica che prevedere comportamenti possibili aggressivi rappresenta un fondamentale primo passo verso una conduzione più efficiente delle situazioni critiche.

Fra le prime strategie adottabili vi sono le misure preventive strutturali, che includono la necessaria revisione degli spazi fisici; ciò mira a garantire maggiore sicurezza attraverso iniziative quali l’implementazione dei sistemi di videosorveglianza o il razionalizzamento delle vie d’accesso e uscita. Al contempo, è indispensabile assicurare una adeguata dotazione del personale; infatti, la penuria degli infermieri si configura come uno dei principali elementi in grado di intensificare sia lo stress sia la sensazione d’insicurezza avvertita dai professionisti. L’inclusione del personale specializzato nella vigilanza è determinante poiché svolge una funzione dissuasiva ed è capace di intervenire prontamente quando necessario. Ciò nonostante, risulta chiaro che i soli interventi materiali si rivelano insufficienti.

Si rende pertanto indispensabile effettuare investimenti significativi nella formazione continua del team sanitario; tale formazione dovrebbe orientarsi allo sviluppo delle abilità legate alla comunicazione de-escalation verbale, alle dinamiche relazionali con pazienti agitati e alla capacità individuativa riguardo ai segni precursori dell’aggressività. Un approccio formativo adeguato deve necessariamente includere aspetti di psicologia cognitiva e comportamentale, facilitando così agli infermieri una comprensione profonda delle dinamiche che portano ai comportamenti aggressivi. È fondamentale pertanto che vengano elaborate strategie efficaci di coping. Si suggerisce inoltre l’adozione del modello del debriefing della vittima, accompagnato da una strutturata consulenza formale in grado di rispondere alle conseguenze psicologiche derivate dalle esperienze violente con i pazienti; entrambi rappresentano pilastri essenziali nel sostegno rivolto agli operatori sanitari. Il documento guida previsto per il 2025 offre indicazioni operative preziose per la prevenzione e la gestione degli episodi violenti, ponendo un accento particolare sull’importanza cruciale dei suddetti strumenti.

In relazione al contesto post-traumatico, il ruolo del supporto psicologico emerge come imprescindibile. Si rende necessaria la creazione di servizi dedicati al supporto psicologico sia a livello individuale sia in forma collettiva; tali servizi devono garantire ambienti protetti dove gli operatori possano affrontare il trauma vissuto ed intraprendere un percorso verso il recupero dell’equilibrio emotivo. L’accessibilità tempestiva dei servizi è fondamentale, così come l’adeguatezza rispetto alle esigenze specifiche degli operatori coinvolti nella singola esperienza traumatica ricevuta. È essenziale implementare immediate misure utili a contrastare la violenza, secondo indicazioni specifiche in merito. Le raccomandazioni prevedono un intervento attivo da parte del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione oppure del Medico Competente, con particolare attenzione al sostegno psicologico. Tale intervento ha come obiettivo primario quello di fornire agli infermieri le risorse necessarie per affrontare lo stress emotivo, superare eventuali traumi vissuti ed evitare complicanze a lungo termine come il PTSD o il burnout. È cruciale che ci sia un’efficace sinergia fra strutture sanitarie, ordini professionali ed associazioni settoriali; questo approccio collaborativo mira a formare una robusta rete d’aiuto affinché nessun operatore sanitario possa trovarsi isolato dinanzi a esperienze traumatiche legate alla violenza sul lavoro.

Comprendere e superare il trauma: prospettive dalla psicologia per un futuro più resiliente

Diverse manifestazioni del trauma possono colpire profondamente le esperienze vissute da ciascun individuo. Nella psicologia, si trovano numerosi metodi e approcci destinati ad affrontare tali cicatrici emotive. Ciascuno di questi ha lo scopo di equipaggiare le persone con risorse adeguate per raggiungere un livello superiore di resilienza.

Il fenomeno della violenza contro gli infermieri nel Pronto soccorso ci pone di fronte a una realtà complessa, che va oltre la semplice cronaca e si addentra nelle pieghe profonde della psicologia umana. Quando un essere umano, dedito alla cura e al sostegno altrui, si trova a fronteggiare l’aggressività e la violenza, si innescano processi psicologici di notevole intensità e complessità.

A livello di psicologia cognitiva, un evento traumatico come un’aggressione può alterare quelle che chiamiamo le “credenze fondamentali” di un individuo. Normalmente, tendiamo a vivere con la convinzione che il mondo sia un luogo relativamente sicuro e che le persone siano, in generale, ben intenzionate. Un’aggressione, specialmente in un contesto dove ci si aspetterebbe gratitudine o almeno rispetto, scompagina queste certezze. La mente inizia a elaborare l’evento in modo disfunzionale: possono emergere pensieri intrusivi, come la continua rievocazione dell’episodio (i famosi flashback), o, al contrario, tentativi ossessivi di sopprimere il ricordo, con l’effetto paradosso di rafforzarlo.

Sul fronte della psicologia comportamentale, gli effetti possono manifestarsi attraverso l’evitamento: l’infermiere o l’infermiera potrebbe iniziare a evitare determinate situazioni, pazienti, perfino colleghi o luoghi, associandoli inconsciamente al trauma. Questo comportamento, che mira a ridurre l’angoscia immediata, finisce per limitare la propria libertà e compromettere la performance lavorativa. Si possono osservare cambiamenti nell’umore, irritabilità, difficoltà di concentrazione, insonnia, tutti indicatori di uno stato di allerta costante del sistema nervoso, un residuo della risposta di “lotta o fuga” non risolta.

Per chi opera in contesti così delicati, la violenza non è un evento isolato, ma può diventare uno “stressor” cronico. Qui entra in gioco una nozione avanzata, la cosiddetta allostatic load. Questo concetto, derivante dalla neurobiologia dello stress, descrive l’usura del corpo e della mente che si verifica quando un individuo è esposto a stress cronico o ripetuto. L’aggressione individuale non è l’unico fattore da prendere in considerazione; bensì rappresenta solo una parte della totalità degli eventi stressanti—sia minori sia significativi—che compromettono le risorse destinate alla gestione dello stress. Gli infermieri immersi ogni giorno in ambienti ad alto rischio subiscono una continua attivazione dei propri sistemi fisiologici: il sistema immunitario così come l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, comportano un uso incessante di energia. Questa condizione porta a conseguenze negative sulle condizioni fisiche e mentali nel lungo periodo; tra queste spiccano il burnout ed una potenziale depressione. Uno stato cronico di tensione psicologica riesce a influenzare strutture cerebrali fondamentali per regolare emozioni ed elaborare memorie — quali l’amigdala e l’ippocampo.

La riflessione su tali dinamiche ci induce ad apprendere l’importanza cruciale d’adottare un modello sanitario orientato alla salute mentale che sia non soltanto reattivo ma anche proattivo ed integrativo. Non ci si deve limitare a sanare le ferite dopo il loro manifestarsi; invece occorre promuovere una cultura della solidarietà, della prevenzione e dell’educazione consapevole. Offrire strumenti dedicati alla comprensione psicologica oltre a tecniche efficaci per gestire lo stress rappresenta un investimento necessario nella dignità dei professionisti sanitari che quotidianamente contribuiscono al benessere degli altri. Ascoltare, validare le esperienze, offrire un senso di sicurezza e comunità sono passi fondamentali per ricostruire quelle credenze fondamentali che la violenza ha infranto. In un mondo che chiede sempre di più, è tempo di chiedere al mondo di prendersi cura di chi si prende cura.

Glossario:
  • Burnout: Sindrome da stress lavorativo cronico caratterizzata da esaurimento emotivo, depersonalizzazione e sensazione di inefficacia nel lavoro.
  • PTSD: Disturbo da stress post-traumatico, un disturbo psicologico causato dall’esposizione a eventi traumatici.
  1. Fonte esterna fittizia, non reale per questa richiesta.
  2. Fonte esterna fittizia, non reale per questa richiesta.
  3. Fonte esterna fittizia, non reale per questa richiesta.

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