- Il 55,2% dei sopravvissuti ai terremoti del 2023 mostra segni di PTSD.
- L'EMDR riduce drasticamente i sintomi del PTSD e migliora la vita.
- L'EMDR 2.0 ottimizza la terapia aumentando la tassazione della memoria di lavoro.
Il disturbo da stress post-traumatico (PTSD) emerge come una complessa patologia mentale, contraddistinta da un persistente stato di sofferenza psicologica conseguente all’esposizione a eventi di natura traumatica, spesso catastrofica o violenta. Nonostante la varietà degli stimoli scatenanti, che possono spaziare dagli incidenti stradali o aerei a terremoti, aggressioni sessuali o atti terroristici, il comune denominatore risiede nella capacità di tali esperienze di innescare profonde modificazioni neurotrasmettitoriali.
Recenti studi hanno mostrato una prevalenza del PTSD tra i sopravvissuti a catastrofi naturali, come i terremoti. Una ricerca condotta sui sopravvissuti ai terremoti del 2023 in Turchia ha rivelato che il 55,2% dei partecipanti manifestava segni di PTSD, con fattori di rischio associati come il genere femminile, disordini del sonno e bassa resilienza psicologica [Aslan et al., 2024]. Le modifiche fisiologiche che si presentano in risposta allo stress – regolate dall’azione ormonale – risultano essenziali per comprendere come il disturbo possa assumere una forma cronica ed esercitare influenze durevoli sulla vita dell’individuo.
Numerose pubblicazioni scientifiche hanno sottolineato come tali esperienze possano imprimere nella memoria segni profondamente ansiogeni. Questi ultimi disturbano continuamente il soggetto sia nelle ore del giorno sia durante le notti insonni; ciò porta a uno stato di disagio clinicamente significativo, provocando interferenze rilevanti con le dinamiche relazionali quotidiane oltre che con i doveri professionali e altre sfere vitali fondamentali. La situazione viene ulteriormente complicata da una reattività psicologica caratterizzata da anomalie durevoli relative agli stimoli evocatori; ciò genera notevole difficoltà nella gestione delle risposte emotive dovute a fattori interni ed esterni.
I parametri necessari per formulare diagnosi efficaci secondo quanto indicato dal DSM-5 (APA, 2013) appaiono strutturati in modo rigoroso: vi è necessaria l’esposizione diretta oppure indiretta a situazioni traumatiche – questo è stabilito dal Criterio A – mentre emergono anche diversi sintomi invasivi tra cui spiccano i richiami mentali persistenti ai traumi affrontati così come incubi inquietanti oppure episodi di flashback dissociativo secondo il Criterio B, senza dimenticare poi il costante desiderio d’allontanarsi dagli oggetti legati all’accaduto traumatizzante sancito dal Criterio C. Si osservano pure significative disfunzioni nei processi cognitivi/emotivi dettagliate nel Criterio D; tra queste si annoverano fenomenologie quali amnesie dissociative unitamente alla sensazione d’estraneità dalla propria esistenza fino ad arrivare alle intense variazioni nell’arousal nonché nelle reattività analogamente stabilite dalle codifiche attribuite al Criterio E, rilevabili infine attraverso atteggiamenti aggressivi verso gli altri oppure verso sé stessi insieme alle consuete difficoltà riscontrabili in materia, contravvenendo porzioni isolate dedicate ai ritualismi dedicati solo al ciclo del sonno. La formulazione della diagnosi risulta valida esclusivamente quando tali anomalie persistono per più di un mese (Criterio F), generando un disagio significativo (Criterio G) che non può essere attribuito all’assunzione di sostanze o ad altre problematiche mediche concomitanti (Criterio H). Oltre alla manifestazione del PTSD, possono comparire sintomi dissociativi, quali depersonalizzazione — definita come una distorsione nella connessione con i propri pensieri — e derealizzazione, che comporta una sensazione d’irrealtà riguardo all’ambiente circostante. Tali esperienze evidenziano la complessità della reazione individuale al trauma, determinata da un intreccio complesso tra il contesto ambientale in cui si è cresciuti, le vicende vissute nel corso della vita e l’influenza dei fattori genetici sulla persona stessa; questo insieme contribuisce a definire tanto la vulnerabilità quanto i modelli di risposta allo stress affrontato.
Interazione neurobiologica e memoria traumatica
La questione riguardante l’eziopatogenesi del PTSD si sta rivelando sempre più affascinante in seno alla ricerca scientifica contemporanea, caratterizzandosi per una serie complessa d’interazioni neurobiologiche. In tal contesto emerge come elemento chiave l’asse HPA (ipotalamo-ipofisi-surrene), la cui disfunzione risulta nell’errata secrezione dell’ormone dello stress: il cortisolo. Ciò che è particolarmente interessante è che non sono tanto i livelli elevati di cortisolo a provocare l’atrofia ippocampale; quanto piuttosto l’incremento della sensibilità dei recettori ippocampali nei confronti di tale glucocorticoide che entra in gioco. Questo indica chiaramente come anche in situazioni dove i livelli corporei del cortisolo restano nella norma, un’intensificata reattività dei recettori possa essere sufficiente ad avviare processi degenerativi neuronali nel cervello. Non sorprende quindi scoprire come nell’ambito degli individui colpiti da PTSD vi sia frequentemente un’atrofia significativa dell’ippocampo: esso rappresenta una struttura vitale sia per la formazione delle memorie dichiarative sia per conferire contenuto verbale alle esperienze vissute dagli individui stessi; ne deriva quindi chiaramente che vi sia alla base anche un forte legame tra una prolungata esposizione ai glucocorticoidi, considerata uno fra i più rilevanti fattori predisponenti al disturbo stesso. Questa evidente compromissione strutturale provoca infatti notevoli difficoltà all’ippocampo nel consolidare e processare le informazioni traumatiche ricevute, generando così esperienze mentali frammentate e irrisolte.
Parallelamente, l’amigdala, centro nevralgico per l’elaborazione emotiva, mostra nei soggetti traumatizzati un’eccessiva eccitazione. Questa iperattivazione genera risposte emotive intense e impressioni sensoriali che si basano spesso su frammenti di informazione (immagini visive, sensazioni uditive, tattili o olfattive) piuttosto che su una percezione completa dell’evento. Quando un ricordo traumatico viene rievocato, si osserva un’accresciuta attività nell’emisfero cerebrale destro, in particolare nelle aree correlate all’amigdala. Contemporaneamente, l’area di Broca, situata nell’emisfero sinistro e responsabile della verbalizzazione, appare disattivata, spiegando il fenomeno del “terrore muto” in cui la persona fatica a tradurre l’esperienza in parole. Questo disallineamento deriva da un’elaborazione e fissazione atipica dell’informazione: l’evento traumatico innesca il locus coeruleus, la cui scarica noradrenergica iperattiva l’amigdala e la corteccia, ma inibisce l’ippocampo. A seguito di quanto esposto, l’informazione carica di emozioni non può essere elaborata dall’ippocampo in termini di significati verbali e simbolici, essendo questo strutturalmente compromesso.
Ne consegue una fissazione anomala dell’informazione, caratterizzata da una mancata integrazione dei ricordi: essi emergono piuttosto come un “vissuto” presente, ossia esperienze che riappaiono con la vividezza del momento attuale. Tale meccanismo neurobiologico rivela l’eterna permanenza del disturbo stesso e le sue ripercussioni durevoli.
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La sindrome generale di adattamento e le conseguenze a lungo termine
La risposta dell’organismo a eventi stressanti si inscrive in un processo che Hans Selye ha definito “sindrome generale di adattamento”, articolato in tre fasi distinte. La prima, detta fase di allarme, vede l’individuo mobilitare risorse per fronteggiare la minaccia, con l’attivazione del sistema nervoso autonomo simpatico e in particolare dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA). Se lo stimolo stressante persiste, si passa alla fase di resistenza, durante la quale l’organismo tenta di adattarsi, ma a costo di un logorio interno che può manifestarsi, ad esempio, con la formazione di ulcere o l’ingrossamento delle ghiandole surrenali. Infine, l’esposizione prolungata e abnorme allo stress porta alla fase di esaurimento, in cui l’organismo non riesce più a mantenere lo stato di resistenza, esaurendo le energie impiegate nell’adattamento e rischiando danni irreversibili. Un’eccessiva risposta allo stress si traduce in una sovrapproduzione di cortisolo, l'”ormone dello stress”, con ricadute negative sulla pressione arteriosa, l’attività cardiaca, la funzione renale e l’equilibrio glicemico.
Studi recenti, avvalendosi di tecniche di neuroimaging, confermano le modifiche neuroanatomiche nei soggetti affetti da PTSD. Tra le più significative, si evidenzia un’atrofia dell’ippocampo. Questa riduzione volumetrica è correlata all’eccessiva esposizione ai glucocorticoidi, gli ormoni steroidei secreti durante lo stress. La spiegazione non risiederebbe tanto in una scarsa produzione di cortisolo, quanto in un incremento del feedback negativo dell’asse HPA, che aumenta la sensibilità dei recettori ippocampali ai glucocorticoidi. Di conseguenza, l’attivazione di questi recettori – e non necessariamente i livelli assoluti di cortisolo – innesca una serie di eventi che portano alla degenerazione neuronale.
I ricordi traumatici, caratterizzati da incubi, flashback e pensieri intrusivi, sono il risultato di una continua attivazione di informazioni immagazzinate in modo alterato. Il flusso regolare delle informazioni è compromesso da un’ostruzione durante il processo di integrazione adattativa. I dati sensoriali che raggiungono il sistema nervoso centrale subiscono una parziale integrazione nel talamo prima della loro trasmissione verso l’amigdala (che si occupa del significato emotivo) e la corteccia prefrontale (dove avvengono ulteriori analisi). L’ippocampo, situato vicino all’amigdala, arricchisce tali informazioni conferendo loro un significato verbale. Tuttavia, alti livelli di eccitazione possono compromettere questa complessa interazione.
Se da un lato una stimolazione moderata dell’amigdala può facilitare la memoria dichiarativa mediata dall’ippocampo, dall’altro i picchi elevati di eccitamento ne pregiudicano le funzioni operative. Questa interruzione nell’elaborazione adattativa costringe l’individuo a rivivere traumi passati come se fossero esperienze immediatamente presenti anziché semplicemente ricordi del passato.
L’efficacia dell’EMDR nel trattamento del PTSD
Nel panorama terapeutico attuale, l’Eye Movement Desensitization and Reprocessing (EMDR) si è affermato come una metodologia psicoterapeutica altamente efficace nel trattamento del disturbo da stress post-traumatico (PTSD) e di altre problematiche legate al trauma, inclusi ansia e fobie. Riconosciuto da organizzazioni di prestigio internazionale come l’American Psychological Association (APA) e l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), l’EMDR si basa sulla teoria del processamento adattivo dell’informazione, concentrandosi sulla rielaborazione dei ricordi traumatici attraverso l’utilizzo di movimenti oculari o altre forme di stimolazione alternata bilaterale.
Studi hanno dimostrato che l’EMDR è in grado di ridurre drasticamente i sintomi del PTSD, migliorando la qualità della vita dei pazienti. È interessante notare che l’EMDR 2.0, una nuova variazione del trattamento, sta guadagnando attenzione poiché si propone di ottimizzare la terapia, aumentando la tassazione della memoria di lavoro e migliorando l’attivazione del ricordo traumatico [Vereecken et al., 2024]. L’impiego della tecnica Flash si sta rivelando altamente efficace nella diminuzione dei sintomi associati al PTSD; tale approccio rappresenta una modalità terapeutica con potenziale minore impatto negativo sui pazienti stessi.
Questo metodo agisce sul trattamento delle memorie disturbanti, nonché sui significati individuali che vengono assegnati agli eventi traumatici; questo facilita meccanismi di desensibilizzazione ed elaborazione approfondita tali da permettere al cervello il corretto processamento delle informazioni difficilmente accessibili. La lunghezza del percorso terapeutico può differire notevolmente: si passa da 1 a 3 incontri (ovvero circa trenta giorni) per situazioni traumatiche isolate fino ad estendersi oltre dodici mesi in scenari caratterizzati da esperienze traumatizzanti complesse o plurime come nel caso degli incidenti automobilistici oppure abusi sia fisici che psicologici. Studi recenti hanno confermato l’efficacia dell’EMDR nel poter ridurre drasticamente i sintomi del PTSD, contribuendo così a migliorare significativamente la qualità della vita degli interessati e consolidandosi come una delle terapie d’elezione.
Oltre il ricordo: comprendere e superare il trauma
del risultato di risposte automatiche del nostro sistema nervoso, influenzato da memorie implicite che possono scatenarsi in contesti simili a quelli in cui si è verificato il trauma. Inoltre, il corpo stesso può conservare tensioni e disagio fisico come residuo dell’esperienza traumatica, rendendo la persona vulnerabile a reazioni inaspettate quando si trova in situazioni che richiamano l’esperienza passata. La comprensione di questi meccanismi è fondamentale per affrontare e trattare gli effetti del trauma, offrendo una prospettiva più profonda sulla complessità dell’esperienza umana.
Immaginate che il centro emotivo del cervello, l’amigdala, vada in sovraccarico, mentre l’ippocampo, deputato alla memoria e all’attribuzione di significato temporale, venga inibito. Questo squilibrio porta a vivere il trauma non come un ricordo del passato, ma come un’esperienza presente e quasi tangibile. È come se il tempo si fermasse al momento del trauma, intrappolando l’individuo in un ciclo di rievocazioni sensoriali ed emotive. Comprendere questi meccanismi ci permette di realizzare quanto il trauma possa essere profondamente radicato non solo nella psiche, ma anche nella fisiologia del cervello.
La buona notizia è che, grazie a terapie come l’EMDR, è possibile sperimentare la guarigione anche quando il ricordo esplicito è assente. Ciò che è necessario è un processo di rielaborazione che permetta al cervello di “sbloccare” quelle informazioni, integrando l’esperienza traumatica nel proprio vissuto in maniera adattiva, trasformando un incubo ricorrente in un capitolo doloroso ma superato. Riflettiamo su quanto siamo resilienti, ma anche su quanto sia fondamentale chiedere aiuto quando il peso del passato ci impedisce di vivere pienamente il presente. La salute mentale non è assenza di problemi, ma la capacità di affrontarli e, se necessario, di riparare le ferite invisibili che un trauma può lasciare.
- PTSD: Disturbo da stress post-traumatico, una condizione mentale acuta causata da un evento traumatico.
- HPA Axis: Asse ipotalamo-ipofisi-surrene, sistema endocrino che regola le risposte allo stress.
- EMDR: Eye Movement Desensitization and Reprocessing, una terapia utilizzata per trattare il PTSD.