- Dopo la pandemia, gli episodi di autolesionismo sono aumentati del 60%.
- Nel 2023, l'Associazione Telefono Amico ha visto un aumento del 24% nelle richieste di aiuto.
- Il suicidio è la seconda causa di morte tra i giovani. La depressione giovanile colpisce il 2,5% degli svedesi tra i 5 e i 19 anni.
Il fenomeno dell’autolesionismo tra i giovani rivela oggi una realtà inquietante e pervasiva che supera le semplici manifestazioni del disagio tipico dell’età adolescenziale. Un gruppo sempre più numeroso ed esperto dei fisici neurali esprime una preoccupazione crescente: le emergenze legate alla salute mentale negli adolescenti sono cresciute esponenzialmente, richiedendo interventi rapidi ed estremamente specializzati. Non stiamo trattando solo statistiche fredde; siamo testimoni diretti dell’urgenza palpabile nelle strutture dedicate alla neuropsichiatria pediatrica dove l’assoluta mancanza sufficiente di letti disponibili fronteggia un’ondata costante delle domande d’aiuto disperate provenienti dai ragazzi. Sin dal lontano giugno 2018 era già emersa l’importanza vitale di creare ulteriori spazi nei reparti psichiatrici per i minori; purtroppo le circostanze attuali hanno reso questo bisogno ancora più critico e indifferibile. Durante il terribile periodo della pandemia da Covid-19 abbiamo osservato come i tentativi suicidi siano raddoppiati tra i ragazzi: ciò ha rappresentato uno spaccato drammatico segnato dalla carestia delle vere interazioni sociali, dall’interruzione delle attività scolastiche regolari e dalla pressione psicologica continuativa che ha profondamente traumatizzato gli animi giovanili.
Il fenomeno dell’autolesionismo non suicidario (NSSI) è diventato, in particolare negli ultimi anni, una preoccupazione crescente. Il NSSI, pur essendo distinto dal suicidio, ne condivide alcune delle radici emotive e comporta un rischio quadruplicato di tentativi di suicidio nel corso della vita. Le forme più comuni di autolesionismo sono diverse e spesso ripetitive: tagli con oggetti affilati come coltelli, lamette, aghi o temperini; ustioni con sigarette o l’impiego di oggetti roventi per marchiare la pelle; escoriazioni di vario grado ottenute grattandosi fino al sanguinamento; il mordersi o lo strapparsi i capelli, oltre a colpirsi con e contro oggetti rigidi. Questi comportamenti rappresentano il più delle volte un’espressione visibile di un dolore interiore insopportabile, un tentativo disperato di lenire un disagio psicologico attraverso una sofferenza fisica. È cruciale comprendere che dietro l’atto autolesivo si cela spesso un universo di emozioni travolgenti e personalissime, come un opprimente desiderio di affermare sé stessi attraverso un presunto atto di forza e coraggio, specialmente quando si vive uno stato di confusione e inadeguatezza. Talvolta, la sofferenza fisica diventa una modalità attraverso cui manifestare il proprio dolore, quasi come se l’intensità del male corporeo potesse lenire un dolore psicologico così prepotente da non dare tregua. Altre volte, un senso devastante di vuoto spinge a compiere “atti eroici” per essere colmato, in un disperato tentativo di “sentire” un’emozione in una sorta di tabula rasa emotiva. L’autolesionismo può anche essere una strategia per regolare rabbia e tristezza, quando queste emozioni diventano ingestibili. La Fondazione Umberto Veronesi, ad esempio, ha evidenziato come l’autolesionismo possa essere collegato a maltrattamenti subiti nell’infanzia, una radice profonda che tocca 17 su cento adolescenti e 5 su cento adulti che ne soffrono. Si tratta, in definitiva, di un grido silente che richiede un ascolto attento e una risposta compassionevole, affinché nessuno si senta solo nel suo dolore.
Dati recenti indicano che gli episodi di autolesionismo tra gli adolescenti sono aumentati del 60% dopo la pandemia, e i tentativi di suicidio rappresentano la seconda causa di morte tra i giovani. Nel corso del 2023, l’Associazione Telefono Amico ha registrato un incremento sorprendente del 24% nelle domande d’aiuto riguardanti i pensieri suicidari, in confronto al periodo precedente. Tale dato sottolinea la necessità immediata di implementare misure preventive e offrire supporto psicologico adeguato.
L’amplificatore digitale: social media e l’eco dell’autolesionismo
Negli ultimi anni, i social media sono divenuti un potente amplificatore di questi fenomeni, trasformando un disagio individuale in un’eco collettiva che si espande con una velocità impressionante. L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Antitrust) ha avviato un’istruttoria nei confronti di una nota piattaforma social, a seguito della diffusione di numerosi video che propongono e illustrano comportamenti autolesionisti, tra cui la cosiddetta “cicatrice francese”. Questa “sfida”, che consiste nel stringere con forza la pelle delle guance per provocare ematomi e macchie rosse sugli zigomi, ha ottenuto oltre 3 milioni di visualizzazioni solo in Italia ed è solo la punta di un iceberg di atti autolesionisti che coinvolgono adolescenti tra i 13 e i 18 anni, ma anche bambini di 10-11 anni. L’esposizione non filtrata a tali contenuti, specialmente per gli adolescenti più fragili e vulnerabili, può avere effetti allarmanti.
L’adolescenza è di per sé una fase della vita in cui vi è una maggiore propensione al rischio, a causa della particolare struttura del cervello in evoluzione: il sistema limbico, responsabile delle emozioni, si sviluppa prima dei lobi prefrontali, deputati all’analisi razionale delle scelte. Questo squilibrio rende i giovani più vulnerabili e l’utilizzo smodato dei social media accentua tale rischio. I ragazzi osservano i comportamenti dei coetanei, li fotografano, li postano e, purtroppo, li imitano. L’emulazione e la condivisione online trasformano questi fenomeni in una vera e propria piaga sociale. Recenti studi hanno dimostrato come Instagram, ad esempio, fatichi a contenere la diffusione di contenuti legati all’autolesionismo, anche tra i minori. Questa dinamica complessa tra social network e salute mentale rende difficile stabilire se l’uso di queste piattaforme sia la causa diretta dell’aumento del disagio, ma è innegabile il loro ruolo nell’amplificazione e nella normalizzazione di comportamenti a rischio. La pandemia da Sars-Cov2 ha ulteriormente aggravato la situazione: se prima l’autolesionismo in Italia coinvolgeva il 20% dei ragazzi tra i 13 e i 18 anni, nel post-Covid questa percentuale ha superato il 50%, secondo uno studio.
In uno studio recente, gli accessi al pronto soccorso per ideazione suicidaria sono aumentati del 147%, dimostrando il legame allarmante tra l’uso dei social media e il disagio mentale.
L’importanza di far sì che i genitori, insieme alle istituzioni, sviluppino una reale consapevolezza riguardo a questo fenomeno non può essere sottovalutata; è essenziale, pertanto, che vengano messe in atto delle appropriate misure preventive.
- È confortante vedere che l'articolo affronta la salute mentale......
- L'articolo ignora completamente il ruolo delle famiglie disfunzionali......
- E se l'autolesionismo fosse un sintomo di un sistema sociale malato? 🤔......
Le radici neurobiologiche e i modulatori sociali
L’inclinazione dei giovani verso attitudini rischiose e autolesionistiche trascende il semplice capriccio comportamentale; essa trova origine in intricate interazioni tra aspetti neurobiologici complessi ed elementi psicologici specifici che sono ulteriormente influenzati da contesti sociali e ambientali distintivi. Durante l’adolescenza, caratterizzata da una spiccata fragilità, si manifestano elevati tassi di impulsività unitamente a una reattività emotiva accentuata: un fenomeno collegato allo sviluppo non sincronico del cervello umano. La maturazione prematura del sistema limbico—dedicato alla gestione delle emozioni nonché all’aspirazione verso gratificazioni immediate—contrastando con lo sviluppo tardivo delle aree corticali prefrontali dedicate ai processi decisionali consapevoli e alla modulazione degli impulsi crea uno stato di disequilibrio neurologico. Tale disfunzione porta gli adolescenti a essere estremamente suscettibili all’influenza dei fattori esterni quali situazioni ambientali o pressioni sociali; ciò incrementa pertanto i loro atteggiamenti audaci o temerari. È evidente che i mutamenti neurologici riscontrabili durante questo periodo critico della vita incidono profondamente sul modo in cui gli individui gestiscono gli impulsi stessi oltre alla loro capacità di regolare le emozioni; così si determina una maggiore predisposizione ai comportamenti autodistruttivi. Esiste una notevole variabilità nella predisposizione degli adolescenti a intraprendere attitudini autolesionistiche e condotte a rischio. Recentissime indagini hanno chiaramente dimostrato l’importanza centrale dei fattori sociali in questo contesto. Il gruppo dei coetanei può agire sia come supporto positivo sia come fonte di fragilità psicologica. Secondo quanto emerso da uno studio specifico, gli adolescenti tendono a manifestare una maggiore inclinazione verso comportamenti pericolosi nel momento in cui avvertono di essere sotto lo sguardo attento degli amici; ciò si accompagna a un’intensificata attività nello striato ventrale del cervello – area responsabile delle emozioni legate alle ricompense. In contrapposizione, se sottoposti all’osservazione paterna o materna, le loro tendenze verso il rischio risultano attenuate, correlando invece con l’attività nei circuiti prefrontali dedicati all’autocontrollo mentale. Inoltre, esperienze quali l’esclusione sociale operata dal gruppo d’appartenenza, episodi di vittimizzazione e ostacoli relazionali insieme ad alcuni profili neurobiologici specificamente predisponenti contribuirebbero a incrementare il rischio per atteggiamenti autolesivi.
La dimensione emotiva gioca altresì un ruolo determinante nel condizionare negativamente le capacità autocontrollive negli individui giovani durante lo svolgimento di compiti specificamente richiesti. Se in situazioni emotivamente neutre gli adolescenti mostrano prestazioni cognitive simili agli adulti, in contesti emotivamente negativi o avversivi, le capacità di autocontrollo peggiorano. I “campanelli d’allarme” includono cambiamenti repentini e prolungati nel comportamento: un ragazzo solare che diventa cupo, triste e taciturno, che si isola, non vuole più uscire, non dorme o non mangia più. Questi cambiamenti, se perdurano per mesi, dovrebbero allertare genitori e insegnanti. La depressione giovanile, che colpisce il 2,5% degli svedesi tra i 5 e i 19 anni, può manifestarsi anche con sintomi somatici (ben 69, tra cui problemi gastrointestinali, respiratori, genito-urinari, malattie autoimmuni, disturbi endocrini e metabolici), e il primo fattore di rischio di morte prematura è proprio l’autolesionismo. Le ragazze depresse, in particolare, hanno un rischio 14 volte superiore di auto-infliggersi ferite rispetto alle coetanee non depresse, e tra i maschi il rischio di obesità e disturbi della tiroide spicca. Questo sottolinea come la depressione sia una malattia sistemica che coinvolge tutto il corpo, ben oltre il solo cervello.
Recenti dati mostrano che il suicidio rappresenta la seconda causa di morte tra i giovani. Ma è importante sapere che la prevenzione e l’educazione possono ridurre significativamente questo rischio.
Verso la tessitura di un noi: comprendere e sostenere gli adolescenti
Nell’ampio panorama dell’adolescenza emerge nitidamente una trama intricata dove le esperienze formative sono segnate da dubbi ed esplorazioni. È nel profondo senso della vulnerabilità, spesso occultato sotto strati protettivi d’apparente resilienza, a emergere chiaramente nei periodi più critici. Analizzare fenomeni quali l’autolesionismo o i disturbi mentali durante questa fase comporta una navigazione attraverso emozioni confuse ed interpretazioni variegate che dialogano incessantemente con gli aspetti sociali del vivere quotidiano. Le teorie della psicologia cognitiva suggeriscono quanto possa essere decisivo questo processo percettivo: ogni evento significativo è filtrato dalle nostre reazioni interne—ciò accade quando uno stato d’animo opprimente rende difficile avvertire anche i momenti più luminosi della vita stessa—modificando così lo scenario soggettivo del giovane individuo. Per questi adolescenti, soprattutto, possono risultare vulnerabili le strutture identitarie: quella transizione delicata fra infanzia ed età adulta diventa simile a uno stretto cammino sospeso tra due mondi distintivi perennemente colpiti da influenze esterne incessanti. Bisogna considerare quindi l’autolesionismo non solo come riflesso di una fragile personalità ma anche quale strategia—a volte disperata—in grado d’impatto per trovare equilibrio nell’intreccio emotivo messo alla prova dalla vita.
La psicologia comportamentale ci offre finestre ulteriori su questa dinamica, mostrando come i comportamenti, anche quelli più sfidanti, siano spesso frutto di un apprendimento, di rinforzi e, in questo caso specifico, di un’associazione tra il dolore fisico e una temporanea riduzione del dolore emotivo. È un meccanismo di sopravvivenza distorto, un linguaggio corporeo per esprimere ciò che le parole non riescono a narrare. Non si tratta di una scelta razionale ma di una strategia, seppur dannosa, per fronteggiare un’esigenza interna impellente. I traumi relazionali, le esperienze di esclusione o l’esposizione a dinamiche sociali tossiche, amplificate dalla risonanza dei media digitali, possono lasciare cicatrici profonde non solo nell’anima, ma anche a livello neurobiologico, alterando la capacità di una sana regolazione emotiva.
Per spingerci oltre, in una prospettiva più avanzata, le neuroscienze affettive ci illuminano sulla natura interconnessa di mente e corpo, dimostrando come le esperienze che viviamo modellino le vie neurali e la chimica del nostro cervello. Il fenomeno della plasticità cerebrale nell’età adolescenziale offre una molteplicità straordinaria riguardo alle opportunità formative; tuttavia espone contemporaneamente i giovani a una maggiore vulnerabilità. L’esposizione duratura a fonti esterne quali lo stress o esperienze traumatiche ha dimostrato potenzialmente effetti deleteri sulla funzionalità sia dell’amigdala che della corteccia prefrontale. Ciò porta ad avere difficoltà significative nel gestire le emozioni personali e incoraggia risposte comportamentali disadattive come l’autolesionismo. Una delle risorse più preziose è rappresentata dalla mentalizzazione, ovvero la capacità innata non solo di intendere i propri stati mentali ma anche quelli altrui; essa riveste un’importanza fondamentale come elemento protettivo durante l’adolescenza ed è potenziabile mediante interventi mirati quali quelli offerti dalla terapia basata sulla mentalizzazione (MBT). Questa visione stimola ad andare oltre le manifestazioni esteriori del comportamento giovanile per immergersi nella complessità emotiva interna degli adolescenti stessi: ogni azione è intrinsecamente connessa con una narrazione profonda, quella storia personale fatta da emozioni taciute ed esigenze impellenti da parte del giovane per sentirsi visto e accolto nel suo interiore universo affettivo. L’obiettivo non deve consistere in attitudini critiche, bensì nell’offrire uno spazio sicuro d’ascolto; questo consentirà l’opportunità non solo di intraprendere dei percorsi riflessivi solidificanti, ma pure strade alternative dove elaborare sofferenze consolidate affinché nuove possibilità d’incanto possano emergere in modo autentico.
La creazione di una rete di supporto empatica è fondamentale. Gli adolescenti devono sentirsi parte di un “noi”, dove l’ascolto e la comprensione diventano gli strumenti più potenti per una futura e serena prosperità.
Glossario:
- NSSI: Munito di un acronimo che sta per “Non-Suicidal Self-Injury”, si riferisce ad atti di autolesionismo non destinati al suicidio.
- Plasticità cerebrale: Capacità del cervello di modificarsi e adattarsi nel tempo, influenzando l’apprendimento e le esperienze.
- Mentalizzazione: Abilità nel riconoscere e comprendere le proprie emozioni e quelle degli altri, fondamentale per le interazioni sociali.
- Comunicato SINPIA su autolesionismo e ideazioni suicidarie, dati e prevenzione.
- Definizione, cause, sintomi e trattamenti dell'autolesionismo non suicidario (NSSI).
- Corso su disturbi affettivi e ritiro sociale tra i giovani dopo la pandemia.
- Vademecum sull'autolesionismo non suicidario per docenti e scuole, utile per approfondire.