- Ogni anno in Italia si registrano circa 4.000 atti suicidi.
- Aumento del 27% di problematiche e idee suicide post-pandemia.
- Nel 2023, crescita del 60% dei casi di autolesionismo tra i giovani.
- Circa il 19% degli adolescenti manifesta sintomi di autolesionismo.
- Nel 2023, oltre 7.000 persone hanno chiesto aiuto per pensieri suicidari.
L’ondata silente: l’autolesionismo adolescenziale in Italia e le sue radici profonde
All’interno delle dinamiche quotidiane ed immerse in una realtà dominata dagli influssi digitali sommessi alle ansie interiori emerge un tema drammatico nella vita giovanile italiana: la crescita del comportamento autolesivo. La ricorrenza della Giornata Mondiale per la Prevenzione del Suicidio, celebratasi il 10 settembre 2023, ha messo in evidenza l’urgenza della questione con cifre impressionanti riguardanti questo problema sociale. Ogni anno in Italia vengono registrati circa 4.000 atti suicidi, mentre a livello europeo risulta appurato come nei ragazzi fra i quindici e i ventinove anni questa triste azione rappresenti la principale causa mortale; essa occupa poi il secondo posto nel nostro Paese subito dopo gli incidenti stradali. Questo dato impone una riflessione seria sulle conseguenze legate all’aumento vertiginoso dei comportamenti autolesivi così come suggerito dagli specialisti in neuropsichiatria infantile.
Le statistiche sono eloquenti: circa uno giovane su cinque affronta situazioni autodistruttive nell’ambito europeo. Non stiamo parlando quindi solo di un caso sporadico; infatti studi condotti dalla SINPIA (Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza) evidenziano che tali problematiche assieme alle idee suicide costituiscono uno dei motivi più ricorrenti per cui viene richiesto l’accesso immediato ai servizi dedicati alla Neuropsichiatria Infanzia e Adolescenza (NPIA). Un incremento del 27% rispetto al periodo pre-pandemico, un dato che non lascia spazio all’interpretazione. Questo aumento non è un mero cambio di abitudini, ma la manifestazione di una sofferenza profonda, spesso inespressa, che trova nel corpo un’ultima, disperata tela su cui scaricare il tumulto interiore. Le forme sono molteplici e subdole: tagli, ustioni, escoriazioni, morsi, strappi di capelli, graffi fino al sanguinamento, bruciature con sigarette. E a volte, anche la più recente “cicatrice francese”, una pratica diffusa sui social che consiste nello stringere violentemente la pelle delle guance fino a provocare ematomi e macchie rosse marcate. Questi gesti, apparentemente diversi, condividono la stessa radice: un tentativo di lenire un dolore psicologico insopportabile attraverso una sofferenza fisica più tangibile, più controllabile, o per provare un’emozione in un momento di “tabula rasa emotiva”, come descritto da alcuni esperti.
La complessità del fenomeno risiede proprio in questa distinzione. L’autolesionismo non suicidario è diverso dal tentato suicidio, anche se esiste una correlazione preoccupante. Chi si autolesiona ha una probabilità quattro volte maggiore di tentare il suicidio nel corso della vita. È un tentativo di gestire emozioni intense, di ridurre l’ansia, di sentirsi in controllo quando tutto il resto sembra sfuggire di mano. I contesti sociali e familiari giocano un ruolo cruciale. Esperienze infantili avverse, come abusi, trascuratezza, bullismo o isolamento sociale, agiscono da potenti catalizzatori. Ma anche la costante esposizione a modelli irrealistici sui social media e la dipendenza da smartphone contribuiscono a creare un senso di inadeguatezza e isolamento, che può culminare in comportamenti autolesivi.
La pandemia da Covid-19 ha agito come un acceleratore, amplificando un trend già in atto. L’isolamento forzato, la mancanza di interazioni sociali e la chiusura delle scuole hanno acuito il disagio psicologico, evidenziando come i dispositivi digitali, da alleati, possano trasformarsi in insidiosi avversari per la salute mentale dei giovani.

Le basi neurobiologiche e i driver dell’impulsività
L’adolescenza è un crocevia esistenziale, un periodo di profonde riscritture neurobiologiche che influenzano direttamente la regolazione emotiva e il controllo degli impulsi. Questa fase della vita è, infatti, caratterizzata da uno sviluppo asincrono del cervello. Il sistema limbico, sede delle emozioni e della ricerca di ricompense immediate, matura precocemente rispetto alle regioni corticali prefrontali, responsabili del controllo cognitivo e della modulazione degli impulsi. Questo squilibrio intrinseco rende l’adolescente particolarmente vulnerabile a comportamenti autodistruttivi, poiché la capacità di valutare le conseguenze a lungo termine delle proprie azioni è ancora in fase di consolidamento.
I social media, in particolare, rappresentano una “finestra sul mondo” che, se da un lato offre opportunità di connessione, dall’altro può esporre i ragazzi a contenuti dannosi, sfide pericolose e confronti con modelli irrealistici. La “cicatrice francese” ne è un esempio lampante: una tendenza virale che, nata in Francia, si è diffusa rapidamente anche in Italia, accumulando oltre 3 milioni di visualizzazioni. Questo fenomeno dimostra come la condivisione e l’emulazione possano trasformare pratiche autolesive in vere e proprie piaghe sociali, in grado di espandersi con una velocità impressionante. L’uso smodato dei social media, senza un’adeguata mediazione e filtrazione, determina un rischio aumentato di andare incontro a situazioni pericolose, soprattutto per gli adolescenti più fragili e vulnerabili.
Terapie innovative e il ruolo della comunità nell’affrontare la sofferenza giovanile
Dinnanzi alla complessità dell’autolesionismo adolescenziale, l’approccio terapeutico deve essere articolato, complesso e multidisciplinare, cucito su misura per le necessità del giovane e della sua famiglia. Tra le terapie più accreditate, la Terapia Dialettico-Comportamentale (DBT) si distingue per la sua efficacia, in particolare nel gestire le emozioni intense, le relazioni interpersonali e gli impulsi autodistruttivi.
- DBT (Terapia Dialettico-Comportamentale): focalizzata sulla regolazione emotiva e l’uso della mindfulness.
- MBT (Terapia basata sulla mentalizzazione): aiuta a comprendere le proprie e altrui emozioni.
- CBT (Terapia Cognitivo-Comportamentale): mira a migliorare le abilità di problem-solving e affrontare le difficoltà in modo adattivo.
A livello avanzato, le neuroscienze stanno aprendo nuove frontiere nel trattamento delle disfunzioni alla base dell’impulsività e della disregolazione emotiva. Malgrado la mancanza nel materiale fornito di approfondimenti sulle terapie all’avanguardia radicate nelle neuroscienze, quali il neurofeedback o la stimolazione transcranica, appare chiaro che l’analisi delle fondamenta neurobiologiche riguardanti lo sviluppo disomogeneo del cervello in adolescenza riveste una fondamentale importanza per perfezionare le misure terapeutiche.
Nonostante ciò, una terapia non può raggiungere appieno il suo potenziale senza un robusto sistema preventivo e un adeguato supporto a livello collettivo. Risulta quindi imprescindibile adottare un approccio sistematico che coinvolga attivamente istituti scolastici, medici generali e organi governativi. Essenziale è altresì la formazione mirata destinata ai pediatri e ai professionisti della salute, affinché possano identificare tempestivamente i primi indicatori del disagio psichico; parallelamente si rende necessaria una campagna informativa finalizzata ad aumentare la consapevolezza pubblica sui servizi disponibili nella comunità educativa. Esempi significativi possono essere rintracciati in iniziative come quelle promosse dalla neuropsichiatria infantile presso l’Università di Torino, che si propongono di addestrare docenti alla capacità d’individuazione precoce dei sintomi allarmanti.
Gli ospedali pediatrici, come il Bambino Gesù di Roma, hanno predisposto percorsi clinici di alta assistenza per l’autolesionismo e la prevenzione del suicidio in età evolutiva, integrati da linee telefoniche di consulenza psicologica urgente, come la linea “Lucy” (06.6859.2265) attiva 24 ore su 24. L’Associazione culturale pediatri (Acp) ha sollecitato con fermezza l’incorporazione di screening dettagliati per il rischio suicidario e indicatori di autolesionismo nelle valutazioni mediche di routine eseguite dai professionisti.
La prevenzione, tuttavia, inizia ben prima, “nell’infanzia”, come sottolineato dalla SINPIA, e richiede una cultura del dialogo e del supporto che coinvolga l’intero ecosistema sociale: famiglie, scuole, media e istituzioni. È un invito a rompere il silenzio, a non ignorare frasi come “non ce la faccio più” o “vorrei morire”, a prestare attenzione a cambiamenti improvvisi nel sonno, nell’appetito o nell’isolamento sociale. Offrire un ascolto empatico e privo di giudizi è il primo passo, accompagnando la persona verso un professionista della salute mentale. Lo sviluppo di capacità di tolleranza emotiva, solide esperienze di auto-efficacia personale e competenze relazionali significative fin dalla tenera età può modificare molte traiettorie psicopatologiche.
La trama invisibile del disagio: una riflessione necessaria
Per comprendere appieno la complessità dell’autolesionismo giovanile, è utile gettare uno sguardo al funzionamento della nostra mente, quel labirinto di pensieri ed emozioni che, spesso in modi inattesi, influenza le nostre azioni. La psicologia cognitiva ci insegna che il modo in cui percepiamo e interpretiamo gli eventi ha un impatto diretto sulle nostre emozioni e sui nostri comportamenti. Nel caso dell’autolesionismo, spesso, i ragazzi si trovano intrappolati in schemi di pensiero disfunzionali, catene di convinzioni negative su sé stessi (“sono inutile”, “non valgo abbastanza”) che, come una lente deformante, amplificano il dolore emotivo e rendono difficile scorgere alternative.
Questa “distorsione cognitiva” può essere così profonda da far apparire il dolore fisico come l’unica via per interrompere un tormento interiore, per far tacere quel frastuono mentale che altrimenti non darebbe tregua. Andando più a fondo, la psicologia comportamentale ci aiuta a identificare l’autolesionismo come una “strategia di coping” maladattiva, ovvero un meccanismo appreso per affrontare situazioni di stress o emozioni intense. Sebbene distruttivo, questo comportamento può fornire un sollievo immediato, seppur effimero. Quel momento di “strana calma” e “inaspettata sensazione di benessere” che si sperimenta durante l’atto autolesivo è in realtà un meccanismo di rinforzo: la mente associa la cessazione del dolore emotivo (o la sensazione di controllo) all’azione stessa, spingendo a reiterarla. È un circolo vizioso che, senza un intervento adeguato, può trasformarsi in una vera e propria dipendenza emotiva, dove il corpo diventa il solo, precario porto per un’anima in tempesta.
- Autolesionismo Non Suicidario (NSSI): Comportamenti autolesionistici che non hanno un intento suicidario ma possono indicare un profondo disagio psicologico.
- DBT (Terapia Dialettico-Comportamentale): Un approccio terapeutico che mira a migliorare la regolazione emotiva e le relazioni interpersonali.
- Self-Cutting: Si tratta di una pratica autolesionista mediante la quale l’individuo si infligge tagli sulla pelle; questa condotta è spesso correlata al tentativo di affrontare le proprie emozioni.
Esaminare tali meccanismi fondamentali costituisce una tappa imprescindibile per distaccarsi dal pregiudizio e avvicinarsi con compassione a una realtà che non è altro se non uno sguardo disperato verso l’esterno. In effetti, ciascuno di noi funge da artefice della propria psiche; pertanto la presa di coscienza rappresenta il primo passo utile alla creazione di una quotidianità più armoniosa ed equiparata alle esigenze delle future generazioni.
- Comunicato SINPIA sull'aumento degli atti di autolesionismo tra gli adolescenti.
- Approfondimento scientifico sull'autolesionismo e le sue radici psicologiche, utile per il contesto.
- Telefono Amico Italia offre supporto emotivo a chiunque si trovi in crisi.
- Comunicato SINPIA su autolesionismo e ideazioni suicidarie, dati e prevenzione.








