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Traumi di guerra e fuochi d’artificio: come il cinema giapponese affronta il PTSD?

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  • Nel 2018, il suicidio di due ex militari ha sollevato dubbi sui traumi di guerra.
  • Il film narra di militari con PTSD dopo un'imboscata nel Sudan del Sud.
  • La terapia EMDR aiuta a rielaborare i ricordi traumatici.

Il rimbombo dei traumi legati ai conflitti si manifesta con potenza nella trama sociale contemporanea, apparendo talvolta in forme impreviste e radicate a livelli profondi. Un caso particolarmente significativo proviene dal Giappone: nel 2018 si è verificata la tragedia del suicidio di due ex militari appartenenti alle forze armate nazionali, tornati dalle operazioni in Sudan del Sud. Questo episodio drammatico ha messo in luce domande inquietanti riguardo all’effetto che le missioni militari esercitano sulla psiche degli individui coinvolti. Sebbene il governo nipponico abbia ufficialmente respinto qualsiasi nesso diretto fra tale evento fatale e l’esperienza sul campo di battaglia, ciò non fa che intensificare i dubbi relativi alla vera essenza e alle ripercussioni del ruolo rivestito dalle forze di difesa giapponesi.

Il cinema come specchio della realtà

Il lungometraggio “Flames of a Flower”, presentato all’Osaka Asian Film Festival, esplora proprio questi dilemmi morali. La pellicola narra la storia di un gruppo di militari giapponesi in missione nel Sudan del Sud. Un’imboscata costa la vita a un soldato e la cattura del leader del gruppo, Ito. Il governo giapponese insabbia l’accaduto, imponendo il silenzio ai sopravvissuti. Shimada, il protagonista, è tormentato dal disturbo post-traumatico da stress (PTSD) e dal senso di colpa per la perdita del collega e per il suo silenzio complice. *Incapace di mantenere un impiego fisso, Shimada trova un’inaspettata opportunità come apprendista in una fabbrica di fuochi d’artificio, situata nella prefettura di Niigata. Tuttavia, il passato lo raggiunge quando alcuni ex commilitoni, incapaci di superare i traumi, pianificano azioni radicali contro il governo.

L’accostamento tra fuochi d’artificio e armi, sebbene non originale, risulta efficace nel contesto territoriale di Niigata, dove queste pratiche sono parte integrante della vita comunitaria. In maniera singolare, le esplosioni associate ai fuochi d’artificio provocano nel protagonista reminiscenze legate a esperienze di morte e violenza, costituendo un aspetto distintivo dell’intera opera cinematografica. La creazione firmata da Kojima Oudai insieme a Yamamoto Ikken, che interpreta anche il ruolo di Shimada, si configura come un tributo all’arte pirotecnica; un tema che si intreccia profondamente con l’universo delle Forze di Autodifesa.

Cosa ne pensi?
  • Un film che fa riflettere sull'importanza di supportare chi torna dal fronte... 💖...
  • Trovo superficiale l'accostamento PTSD-fuochi d'artificio... 🤔...
  • E se il vero trauma fosse l'incapacità di reinserirsi nella società civile...? 🤯...

Un tema raro nel cinema giapponese

A parte forse “Patlabor 2: The Movie” del 1993, il cinema giapponese raramente affronta le tensioni interne all’esercito e il ruolo del Giappone nello scenario internazionale. Il lungometraggio “Flames of a Flower”, analogamente a “Patlabor 2”, esamina la relazione ambivalente tra il governo e le Forze di Autodifesa, mettendo in discussione la percezione del Giappone come una “nazione votata alla pace” e rivelando la violenza nascosta dietro un esercito che si dichiara esclusivamente difensivo. La performance di Yamamoto nel ruolo di Shimada e quella di Matsukado Yohei nel ruolo del comandante catturato meritano una menzione speciale. Nonostante un tono ruvido e incisivo, il film mostra alcune debolezze nel finale, optando per soluzioni prevedibili che ne attenuano l’impatto complessivo.

L’eco della guerra nella psiche umana

La guerra, in tutte le sue forme, lascia cicatrici profonde nella psiche umana. La storia ci insegna che i conflitti generano orrore e producono problematiche su vasta scala, sia a livello fisico che mentale. La Prima Guerra Mondiale, ad esempio, ha segnato la nascita delle malattie mentali associate alla guerra. In quel periodo, i danni psicologici erano trattati con notevole superficialità. L’espressione “Shell Shock” (shock da bombardamento), coniata nel 1915, descriveva una serie di sintomi come tremori, ipersensibilità ai rumori, tachicardia, inespressività, muscoli irrigiditi, paralisi, insonnia e mutismo. Oggi, tali manifestazioni sono identificate come disturbo post-traumatico da stress (PTSD), una condizione che affligge individui esposti a eventi estremamente traumatici o catastrofi naturali che hanno messo in pericolo la loro vita. Le manifestazioni del PTSD includono ricordi intrusivi, comportamenti di evitamento, alterazioni negative sia nella cognizione che nell’umore, e modificazioni nei livelli di eccitazione e reattività. Chi ne soffre ha frequenti ricordi indesiderati, incubi e, in alcuni casi, stati dissociativi transitori in cui gli eventi vengono rivissuti come se stessero accadendo. Rumori forti, come i fuochi d’artificio, possono scatenare una rievocazione di un combattimento, spingendo i soggetti a cercare riparo o a gettarsi a terra per proteggersi.

Anche conflitti di portata limitata possono generare danni psicologici, non solo su chi combatte in prima linea, ma anche su chi ne subisce gli effetti. La pandemia da Coronavirus e i lockdown del 2020 hanno lasciato segni visibili sulla salute mentale, resa ancora più precaria dall’incertezza del futuro. In questo contesto di stress e agitazione, il conflitto in Ucraina ha peggiorato la situazione, causando ansia, paura, agitazione, depressione e psicosi. Anche il distacco dagli affetti familiari può avere effetti psicologici negativi. Come affermava Albert Einstein, “La guerra non si può umanizzare, si può solo abolire”.

Oltre lo schermo: un invito alla riflessione

Il film “Flames of a Flower” ci offre uno spunto di riflessione profondo sulla natura dei traumi bellici e sulle loro conseguenze a lungo termine. Ma cosa possiamo imparare da tutto questo, in termini di psicologia cognitiva e comportamentale?

Una nozione base: il PTSD è un disturbo che altera la percezione della realtà. I ricordi traumatici non vengono elaborati come gli altri, ma rimangono “congelati” nel tempo, pronti a riattivarsi innescati da stimoli sensoriali (come i fuochi d’artificio nel film). Questo spiega perché le persone con PTSD possono reagire in modo apparentemente sproporzionato a situazioni che, per altri, sarebbero innocue.

Una nozione avanzata: la terapia EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) è un approccio terapeutico efficace per il trattamento del PTSD. Attraverso la stimolazione bilaterale (movimenti oculari, tapping, suoni), il paziente viene guidato a rielaborare i ricordi traumatici, riducendone l’intensità emotiva e integrando l’esperienza nel proprio schema cognitivo. Facciamo una riflessione: in quante occasioni ci siamo trovati a emettere giudizi affrettati sui comportamenti altrui, ignorando completamente il bagaglio emotivo e le esperienze dolorose vissute da ciascuno? Talvolta basterebbe esercitare un po’ più di empatia e comprensione, per poter realmente influire sul nostro modo di interagire con gli altri. La guerra rappresenta non soltanto un capitolo della storia umana; essa costituisce una profonda esperienza esistenziale per molti individui, lasciando dietro di sé cicatrici invisibili che necessitano attenzione e guarigione. Teniamo a mente questo pensiero ogniqualvolta ci giungono alle orecchie i suoni assordanti di esplosioni o ammiriamo l’appariscente luce dei fuochi d’artificio.*


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