- L'Esc riconosce l'interconnessione tra salute mentale e patologie cardiovascolari (Cvd).
- 1 paziente su 3 con Cvd soffre di disturbi mentali.
- La depressione post-infarto aumenta la mortalità del 22%.
Un importante passo avanti nella comprensione e gestione della salute umana è stato compiuto con il “Clinical Consensus Statement” dell’European Society of Cardiology (ESC), presentato in occasione del Congresso ESC 2025. Questo documento rappresenta una svolta culturale, poiché per la prima volta riconosce e disciplina in modo organico la stretta interconnessione tra salute mentale e patologie cardiovascolari (CVD).
Autori: ESC Clinical Practice Guidelines Committee
Data: 29 agosto 2025
La notizia è di grande rilevanza nel panorama della medicina moderna, in quanto pone le basi per un approccio più olistico e integrato alla cura del paziente, superando la tradizionale frammentazione tra diverse specialità mediche. Fino ad oggi, il legame tra cuore e mente è stato spesso sottovalutato o ignorato, nonostante le crescenti evidenze scientifiche che ne attestano la rilevanza clinica. Le patologie cardiovascolari costituiscono una delle primarie fonti di morbilità e mortalità nel panorama mondiale; tuttavia, va rimarcato come la loro incidenza insieme alla prognosi subiscano fortemente l’influenza dello stato psichico dell’individuo.
Si stima infatti che circa uno su tre dei pazienti affetti da CVD conviva con qualche forma di disturbo della salute mentale: depressione, ansia o Disturbo Post-Traumatico da Stress (PTSD) ne sono esempi emblematici. Non si tratta semplicemente della concomitanza fortuita delle due condizioni; al contrario, tale relazione aumenta significativamente i rischi legati agli eventi avversi in ambito cardiovascolare, nonché alla mortalità complessiva. L’idea cardine proposta dal consenso ESC suggerisce come questi stati patologici nutrano reciproci influssi negativi: ne deriva così un circolo vizioso capace di intensificare notevolmente le conseguenze cliniche nel medio-lungo periodo per chi ne soffre.
Un cuore compromesso può generare tensione psicologica; simultaneamente, le problematiche mentali, assieme allo stress prolungato, tendono a compromettere in modo subdolo anche la funzionalità cardiovascolare attraverso meccanismi fisiologici interconnessi. A tal riguardo fa riflettere quanto messo in evidenza dalla Fondazione Veronesi: essa ha dimostrato come l’insufficienza cardiaca portasse con sé livelli elevati tanto della depressione quanto dell’ansia rispetto ai tassi registrati tra i pazienti oncologici; tale analisi sottolinea quindi pressantemente l’importanza del sostegno psicologico attivo nella cura integrale dei soggetti interessati. Studi recenti hanno rivelato che la stimolazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene come reazione allo stress cronico è capace di favorire processi infiammatori e di generare ulteriori problematiche legate al sistema cardiaco. [Journals LWW]. Il documento elaborato dall’ESC emerge dall’evidenza che tale relazione multidirezionale influenza in maniera significativa tutte le fasi della gestione clinica: dalla diagnosi alla corretta adesione alle terapie; dalla prognosi all’impatto sui costi del sistema sanitario. Tuttavia, tali aspetti risultano spesso trascurati dai protocolli tradizionali in ambito cardiologico. Pertanto, l’intento primario consiste nel concatenare sistematicamente l’importanza della salute mentale con i percorsi terapeutici cardiospecifici e viceversa analizzare il profilo di rischio cardiovascolare tra coloro già assistiti per patologie psichiche. Un simile cambiamento implica una trasformazione radicale nel modo di operare, stimolando forme strutturate di collaborazione fra specialisti in cardiologia ed esperti nella salute mentale, quali psicologi e psichiatri.
La giustificazione a favore dell’implementazione di questo approccio olistico trova sostegno in evidenze empiriche: ricerche hanno indicato che dopo un episodio infartuale la presenza di stati depressivi può elevare il tasso complessivo di mortalità fino al 22%, così come incrementa gli eventi coronaropatici del 13% ad ogni aumento unitario dei punteggi associati alla depressione. [1]. Nello scompenso cardiaco, la depressione è associata a un maggior numero di ricoveri e a esiti clinici peggiori. Questi numeri evidenziano come perdere di vista la componente psichica significhi compromettere opportunità prognostiche fondamentali.
Il lavoro è frutto di un rigoroso processo metodologico che ha coinvolto un gruppo internazionale di esperti, coordinato dal professor Héctor Bueno e dalla professoressa emerita Christi Deaton, con l’obiettivo di fornire un documento dalla vocazione applicativa globale.

L’Impatto dello Stress Cronico e dei Comportamenti a Rischio
La connessione fra lo stress cronico e il sistema cardiovascolare ha attirato l’attenzione della comunità scientifica ed è supportata dal consenso dell’ESC. Questa condizione duratura rappresenta uno dei tanti aspetti negativi della vita moderna frenetica; infatti non si limita a generare disagi psicologici, ma agisce anche come un significativo fattore di rischio per diverse malattie cardiache.
Sotto il profilo biologico, un’esposizione protratta agli stimoli stressogeni incrementa l’instabilità elettrica del muscolo cardiaco stesso; ciò si traduce in una maggiore suscettibilità alle aritmie che possono esitare in situazioni cliniche critiche. Durante episodi emotivamente intensi, per esempio, è possibile che si verifichino disturbi del ritmo cardiaco associati a quanto riportato da varie ricerche nel campo. [PubMed]. Il persistente stato di stress cronicamente prolungato agevola la formazione dei trombi – quei coaguli ematici capaci d’intasare le arterie – ed è direttamente correlato all’insorgenza dell’ischemia miocardica; tale condizione si verifica quando una porzione del muscolo cardiaco riceve insufficiente apporto di ossigeno. Queste dinamiche sono fondamentali per comprendere fenomeni drammatici quali l’infarto e l’ictus, entrambi caratterizzati da un significativo incremento nei rischi per coloro che vivono in condizioni d’intensa pressione. Tuttavia, le problematiche scaturite dallo stress non si limitano ai risvolti fisiologici legati al cuore. Gli individui soggetti a tensione costante tendono frequentemente ad assumere stili di vita poco salutari; questo comportamento aumenta ulteriormente il rischio per la salute cardiovascolare. Non è raro constatare un aumento nel consumo alimentare dannoso, comportamenti legati al fumo oltre i limiti consentiti dall’alcol e uno stile sedentario; tutti fattori che instaurano un circolo vizioso devastante: lo stress genera atteggiamenti nocivi che influiscono negativamente sul sistema cardiovascolare mentre questi stessi fattori possiedono la potenzialità d’accentuare situazioni di disagio psicologico personale; questa interrelazione è stata puntualmente sottolineata dalla Fondazione Umberto Veronesi.
Il sistema cardiovascolare risente profondamente dell’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene e del sistema nervoso simpatico. In risposta allo stress, l’organismo rilascia ormoni come il cortisolo e le catecolamine (adrenalina e noradrenalina), che, sebbene utili per una risposta acuta di “attacco o fuga”, diventano dannosi se cronicamente elevati.
Fattore di rischio | Impatto sul cuore |
---|---|
Stress cronico | Aumenta la predisposizione a malattie cardiache |
Depressione | Aumenta il rischio di eventi cardiovascolari |
Comportamenti malsani | Aggravano le condizioni cardiache |
Il cortisolo, ad esempio, può contribuire all’aumento della pressione arteriosa, all’infiammazione e alla disfunzione endoteliale, tutti fattori che predispongono all’aterosclerosi, l’indurimento delle arterie. Questo processo può condurre a patologie ancora più gravi, come l’infarto e l’ictus, o a un’instabilità elettrica del cuore, aumentando il rischio di aritmie. Il Centro Cardia ha sottolineato come lo stress cronico sia un nemico silenzioso per la salute del cuore, contribuendo allo sviluppo di ipertensione, infiammazione e problemi di ritmo cardiaco.
La ricerca ha anche iniziato a esplorare il concetto di “sindrome del cuore infranto”, che descrive come un’intensa esperienza emozionale possa predisporre ad episodi di aritmia cardiaca o, in casi estremi, a una miocardiopatia da stress.
Interventi Integrati e Ruolo del “Psycho-Cardio Team”
Il principale contributo del consensus ESC è la proposta di strategie concrete per integrare la salute mentale nella prevenzione e cura delle CVD, spostando il baricentro dell’attenzione clinica. Il documento suggerisce di normalizzare lo screening dei sintomi di depressione, ansia e PTSD durante la presa in carico cardiovascolare. Questo significa che alla diagnosi di una malattia cardiaca, dopo eventi acuti come un infarto o un intervento, e nel follow-up periodico, i cardiologi dovrebbero sistematicamente valutare lo stato psicologico del paziente.
Per facilitare questo processo, si raccomanda l’uso di strumenti brevi e validati, come il PHQ-2 e il PHQ-9 (per la depressione) e il GAD-2 e GAD-7 (per l’ansia), integrabili nelle cartelle cliniche elettroniche. Questi strumenti, con un approccio a due fasi, permettono di identificare rapidamente i segnali di allarme psicologico.
La gestione di questi disturbi dovrebbe seguire un modello a “stepped care”, calibrando l’intensità dell’intervento sulla gravità dei sintomi, sulle preferenze del paziente e sulle risorse disponibili. Questo spazia dalla psico-educazione e supporto (anche digitale), a psicoterapie strutturate come la Terapia Cognitivo-Comportamentale (CBT), fino alla farmacoterapia mirata quando clinicamente indicato.
È fondamentale che questo percorso non sia rigido e si agganci alla riabilitazione cardiologica e agli interventi sullo stile di vita, come l’esercizio fisico. A tal proposito, diversi studi hanno dimostrato che l’esercizio fisico migliora significativamente i sintomi depressivi nei pazienti con scompenso cardiaco e la loro qualità di vita, e dovrebbe essere personalizzato in base alle capacità funzionali e alle preferenze individuali.
Sul fronte farmacologico, gli antidepressivi, in particolare gli SSRI (Inibitori Selettivi della Ricaptazione della Serotonina), sono considerati i più “cardio-friendly”. Sertralina e fluoxetina sono spesso le prime scelte, ma è necessario monitorare attentamente il QTc (un intervallo dell’elettrocardiogramma che misura l’attività elettrica ventricolare) con citalopram ed escitalopram, evitando i triciclici in presenza di cardiopatia.
Inoltre, grande attenzione deve essere posta alle interazioni farmacologiche, in particolare per il rischio di sanguinamento (SSRI con terapie antiaggreganti/anticoagulanti), e per l’interferenza con il metabolismo di altri farmaci (es. fluoxetina/paroxetina che possono potenziare il metoprololo). Una delle innovazioni più significative è l’introduzione del concetto di “Psycho-Cardio Team”: un modello strutturato e continuativo che integra diverse competenze professionali. Questo team, composto da cardiologo, psicologo/psichiatra, infermiere di riferimento, fisiatra/riabilitatore, medico di medicina generale, assistente sociale e farmacista clinico, mira a intercettare, valutare e trattare i disturbi psichici lungo tutto il percorso del paziente cardiovascolare.
Non si tratta di un semplice “consulto a chiamata”, ma di una vera e propria collaborazione multidisciplinare che permette una gestione completa e personalizzata. Questo approccio è particolarmente cruciale per le popolazioni più fragili, come i pazienti con disturbi mentali gravi (SMI), le donne, gli anziani e coloro che soffrono di deprivazione socio-economica, dove il rischio cardiovascolare è ulteriormente accresciuto da fattori biologici, stili di vita, effetti iatrogeni dei farmaci e disuguaglianze nell’accesso alle cure.
Il documento invita a considerare anche la “cardio-oncologia”, dove i carichi emotivi del cancro e la tossicità cardiovascolare delle terapie si intrecciano con ansia e depressione, richiedendo percorsi psicologici specifici e strategie integrate di stile di vita e medicinali.
Per un Benessere Integrale: Mente, Cuore e Prevenzione Primaria
Il “Clinical Consensus Statement” dell’ESC segna un punto di non ritorno, affermando con forza che la salute cardiovascolare non può più essere considerata isolatamente dalla salute mentale. Questa visione olistica apre nuove prospettive per la prevenzione primaria, suggerendo che molti interventi a beneficio del cuore possano trovare origine nella cura della mente.
È ormai evidente che la prevenzione delle malattie cardiovascolari non può prescindere da una attenta gestione della salute mentale, fin dalle prime fasi della vita. Esperienze avverse e traumi infantili, ad esempio, sono stati identificati come fattori di rischio non solo per lo sviluppo di malattie mentali, ma anche per patologie fisiche, inclusi i disturbi cardiovascolari, come evidenziato da diversi studi.
La psicologia cognitiva e comportamentale ci insegna che i nostri modelli di pensiero e i nostri comportamenti abituali hanno un impatto diretto sulla fisiologia del corpo. Lo stress cronico, le ruminazioni ansiose e gli schemi depressivi possono alterare la funzione autonoma, endocrina e immunitaria, predisponendo a infiammazione sistemica, disfunzione endoteliale e ipertensione. Interventi psicologici mirati, come la Terapia Cognitivo-Comportamentale (CBT), non solo migliorano i sintomi dei disturbi mentali, ma possono anche modulare queste risposte fisiologiche negative, contribuendo indirettamente alla protezione cardiovascolare.
- Psycho-Cardio Team: Modello integrato di assistenza sanitaria che coinvolge esperti in salute mentale e cardiologica.
- ESC: European Society of Cardiology, un’organizzazione che promuove l’eccellenza nella cura delle malattie cardiovascolari.
- CBT: Terapia Cognitivo-Comportamentale, un tipo di terapia psicologica focalizzata sui pensieri e sui comportamenti.
La promozione di stili di vita salutari, come una dieta equilibrata (ad es. il modello mediterraneo), l’esercizio fisico regolare e la cessazione del fumo, pur essendo considerati interventi “cardiologici”, sono potenti strumenti anche per il benessere mentale. Un esempio emblematico dell’intersezione tra attività fisica ed emotiva si manifesta nel fatto che essa funge da efficace bustatore, capace d’incrementare il benessere psicologico mentre diminuisce sensazioni ansiogene; parallelamente pratiche come la mindfulness, insieme ad altre tecniche orientate al relax, si rivelano preziose nell’ottimizzare il controllo dello stress unitamente alla qualità del riposo notturno—entrambi elementifondamentali nel mantenimento della vitalità cardiaca.
Riflettendo su un paradigma preventivo centrato sulla neurologia umana, emerge come sia cruciale accogliere l’importanza della regolazione emotiva accompagnata dalla gestione dello stress quali abilità indispensabili per garantire benessere duraturo. Eventuali esperienze traumatiche oppure perdite significative affrontate senza adeguato supporto rischiano concretizzarsi in ripercussioni tanto mentali quanto corporee; da qui deriva quindi necessità imperiosa d’investire nell’assistenza psicologica accessibile così come nella diffusione proattiva dei principi legati alla resilienza insieme all’incremento dell’autoefficacia attraverso opportunità formative sulle capacità di affrontamento—tutti aspetti cruciali nella lotta contro il peso crescente delle patologie cardiovascolari.
Il rapporto redatto dall’ESC evidenzia chiaramente lacune nella conoscenza disponibile attualmente ed avanza dunque una straordinaria sollecitazione sia organizzativa sia culturale: bisogna conferire alla salute mentale uno status paritario rispetto agli aspetti cardiologici sempre più frequentemente trascurati – aspirando così al fine supremo del perfezionamento dei risultati clinici oltre ad elevare sensibilmente lo standard qualitativo della vita vissuta da milioni d’individ La disciplina della psicologia moderna sollecita una visione del cervello che trascende la sua tradizionale identificazione esclusivamente con le facoltà cognitive ed emotive; esso appare piuttosto come un organo intrinsecamente connesso al restante apparato corporeo, specialmente al cuore. Un principio fondamentale all’interno della psicologia cognitiva e comportamentale pertinente alla questione è quello relativo all’embodied cognition: si tratta dell’interpretazione secondo cui mente e corpo sono un’entità unica piuttosto che due realtà distinte; esse coesistono in un ecosistema dove le percezioni fisiche esercitano influenze sui processi mentali reciprocamente.
Di fronte ad eventi stressanti non è soltanto la sfera mentale a attivarsi: ogni parte dell’organismo risponde simultaneamente: aumenta la frequenza cardiaca, i muscoli mostrano segni di tensione ed anche la respirazione subisce modifiche. Tali modifiche fisiologiche se persistenti nel tempo per via di uno stato d’allerta cronica oppure per ferite psichiche irrisolte possono rivelarsi dannose per l’apparato cardiovascolare.
Una comprensione ancora più sofisticata emerge dalle ricerche nella psicologia dei traumi oltreché nella neurobiologia riguardo alla tematica della disfunzionalità del sistema nervoso autonomo. Questo fenomeno può scaturire da vissuti difficili durante l’infanzia o dall’esposizione continuativa ad esperienze stressogene acute. Il sistema nervoso autonomo, con le sue ramificazioni simpatica (“accelera”) e parasimpatica (“rallenta”), è fondamentale per mantenere l’omeostasi corporea. Traumi o stress intensi possono alterare questo equilibrio delicato, portando a una iperattivazione cronica della risposta di allarme (lotta/fuga) o, al contrario, a uno stato di shutdown.