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Reumatologia pediatrica: la transizione all’età adulta può essere un trauma silenzioso

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  • Ogni anno, circa 10.000 minori in Italia ricevono diagnosi di malattie reumatologiche.
  • Il 20% dei pazienti lamenta la mancanza di comunicazione tra professionisti sanitari.
  • Quasi il 30% dei genitori segnala informazioni incomplete sulla transizione.

Ogni anno in Italia, circa diecimila minori ricevono una diagnosi di malattia reumatologica, un evento che segna profondamente l’inizio di un percorso di cura lungo e complesso. Queste patologie croniche, che includono condizioni come l’artrite idiopatica giovanile, il lupus, le connettiviti e le vasculiti, spesso accompagnano i pazienti anche nell’età adulta. Ciò rende il concetto di “transizione” un momento cruciale, un passaggio inevitabile quanto delicato, che si colloca indicativamente tra i 16 e i 20 anni. Questa fase, che vede il giovane paziente passare dalle cure del reumatologo pediatrico a quelle dello specialista per adulti, rappresenta un vero e proprio rito di iniziazione medica, con un profondo impatto sulla psiche e sulla gestione della malattia. La ripresa delle attività scolastiche in autunno, tradizionalmente un periodo di nuovi inizi e nuove sfide, si sovrappone per questi ragazzi a un’altra significativa transizione: l’ingresso nel mondo della medicina dell’adulto. Il congiungimento simultaneo delle responsabilità sia scolastiche che sanitarie ha il potenziale di scatenare uno stress considerevole, esigendo uno sforzo significativo nell’adattamento; questa situazione mette sotto pressione la resilienza sia dei giovani pazienti sia delle loro famiglie.

La transizione tra i diversi specialisti medici rischia quindi, se non organizzata in modo appropriato, di evolvere in un autentico trauma silenzioso. Le interruzioni o le dilazioni nel trattamento terapeutico possono risultare problematiche: perdite nel monitoraggio dell’evoluzione clinica ed eventuali nuove necessità psicologiche rimaste incomprese comportano effetti potenzialmente dannosi. I ragazzi ormai divenuti adulti si vedono obbligati ad affrontare svariati requisiti moderni: gestire in autonomia il proprio regime terapeutico; informarsi sulla contraccezione; navigare l’integrazione sociale; esplorare i cambiamenti legati agli ormoni così come gli aspetti della propria vita sessuale. Tutte queste dimensioni necessitano non solo attenzione, ma anche un continuativo supporto medico specializzato. Il fatto che ben il 20% degli individui già sottoposti a tale transizione segnali l’esistenza della mancanza comunicativa fra professionisti sanitari quale una delle criticità più rilevanti rende chiaro quanto questo tema meriti approfondimenti urgenti. Questa frammentazione delle cure può minare la fiducia del paziente nel sistema sanitario e aumentare il senso di solitudine e insicurezza. Per questo motivo, la transizione non può essere lasciata al caso, ma deve essere un processo graduale, strutturato e condiviso tra tutte le parti coinvolte: pediatra, reumatologo dell’adulto, paziente e famiglia. Solo attraverso un approccio olistico e interdisciplinare è possibile ridurre le riacutizzazioni della malattia, migliorare l’aderenza terapeutica e, in ultima analisi, elevare la qualità di vita di questi giovani. La consapevolezza di questo delicato percorso è ancora scarsa nella popolazione generale, e la carenza cronica di specialisti in reumatologia pediatrica in Italia aggrava ulteriormente il problema, limitando l’accesso a cure tempestive e appropriate.

Recen temente, una ricerca condotta dall’APMARR ha rivelato che quasi il 30% dei genitori lamenta informazioni incomplete sulla transizione. Tale mancanza gioca un ruolo fondamentale nel compromettere la regolare continuità del trattamento, generando nei pazienti una sensazione di isolamento. [APMARR].

Le best practice per una transizione senza traumi

Per affrontare al meglio questa fase critica, le società scientifiche internazionali hanno elaborato linee guida e raccomandazioni precise. La European Alliance of Associations for Rheumatology (EULAR) e la Paediatric Rheumatology European Society (PReS) hanno delineato un quadro di riferimento per una transizione efficace e “indolore”. Tra le raccomandazioni chiave, si evidenzia la necessità di prevedere una serie di incontri congiunti, o “a quattro mani”, tra lo specialista pediatrico e quello dell’adulto. Questi incontri, che possono avvalersi anche del teleconsulto per superare le barriere geografiche, sono fondamentali per creare una continuità assistenziale e favorire una conoscenza reciproca tra il paziente e il nuovo medico. Ideale sarebbe la presenza di un infermiere specializzato, che possa fungere da accompagnatore durante l’intero percorso, offrendo supporto pratico ed emotivo al giovane e alla sua famiglia. Un elemento insostituibile è un documento riassuntivo della storia clinica del paziente. Il presente dossier deve risultare dettagliato e di facile consultazione; esso racchiude ogni aspetto essenziale riguardo alla diagnosi, alle terapie effettuate in precedenza, alle reazioni ai trattamenti somministrati e alle possibili complicanze. Ciò fornisce al reumatologo per adulti un panorama globale sul percorso di malattia del giovane paziente. È interessante notare come uno studio recente evidenzi che i pazienti, insieme a caregiver e professionisti della salute, incontrano inevitabilmente ulteriori sfide in assenza di monitoraggio continuo; pertanto è imperativo creare un team multidisciplinare coeso accompagnato da processi ben definiti. [Panorama della Sanità]. Il processo di transizione dovrebbe idealmente iniziare intorno ai 16 anni e concludersi quando il giovane paziente si sente effettivamente pronto, solitamente entro i 18-20 anni. Questa flessibilità temporale è cruciale, poiché riconosce che ogni individuo ha i propri tempi di maturazione e di adattamento. Durante questo periodo, è fondamentale promuovere l’autonomia del paziente nella gestione della propria malattia. Ciò include la conoscenza approfondita dei farmaci, la gestione degli appuntamenti e la capacità di comunicare efficacemente con i professionisti sanitari. Parallelamente, il coinvolgimento dei genitori, pur rimanendo importante, dovrebbe gradualmente diminuire, lasciando spazio al giovane per assumere un ruolo sempre più attivo e consapevole.

Un’ulteriore best practice, spesso richiamata, è la nomina di un “transition coordinator” o “nurse manager”. Questa figura professionale avrebbe il compito di accompagnare il paziente e la sua famiglia attraverso le diverse fasi della transizione, fungendo da punto di riferimento e facilitando la comunicazione tra i vari attori coinvolti nel percorso di cura. La sua presenza è particolarmente rilevante per mitigare il possibile disagio e timore che il giovane potrebbe provare nell’interfacciarsi con una nuova struttura e nuove persone. La collaborazione visibile tra il pediatra che ha seguito il paziente fin dall’infanzia e il reumatologo dell’adulto è un fattore determinante per infondere fiducia e sicurezza nel giovane, rendendo il passaggio più “indolore” e sereno.

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  • La mancanza di comunicazione tra specialisti è inaccettabile... 😠...
  • E se il vero problema fosse la percezione della malattia... 🤔...

Il ruolo delle associazioni e la sinergia SIP-SIR in Italia

In Italia, la consapevolezza dell’importanza di una transizione ben gestita nel contesto delle malattie reumatologiche pediatriche è cresciuta negli ultimi anni, portando a iniziative congiunte tra le principali società scientifiche e il coinvolgimento attivo delle associazioni di pazienti. La Società Italiana di Pediatria (SIP) e la Società Italiana di Reumatologia (SIR) hanno avviato un progetto congiunto, culminato in un’iniziativa ufficiale volto a definire un percorso assistenziale ottimale per i giovani pazienti. Questo progetto intende stabilire un “percorso minimo, ma efficace” per consentire ai ragazzi affetti da patologie reumatologiche di affrontare il passaggio all’età adulta con la necessaria continuità di cura e supporto. L’obiettivo è superare la situazione attuale, in cui la transizione non è un percorso automatico, ma richiede una regolamentazione attenta che consideri molteplici aspetti: clinici, assistenziali, psicologici e legati all’aderenza terapeutica.

Le associazioni di pazienti, come l’Associazione Malattie Reumatiche Infantili (AMREI), APMARR (Associazione Nazionale Persone con Malattie Reumatiche e Rare) e AMRER (Associazione Malati Reumatici Emilia Romagna), giocano un ruolo fondamentale in questo contesto. Le organizzazioni operano con l’obiettivo primario di assicurare ai bambini colpiti da malattie reumatiche non solo il diritto a ricevere cure adeguate, ma anche un’integrazione soddisfacente nel tessuto sociale; inoltre, esse offrono assistenza sia ai pazienti stessi che ai caregiver, facilitando il passaggio delicato verso l’età adulta. Mediante eventi come congressi ed incontri diretti tra professionisti sanitari e familiari dei piccoli pazienti – oltre alla realizzazione di progetti mirati – queste associazioni si impegnano attivamente nel sollecitare consapevolezza presso l’opinione pubblica, così come nelle sedi istituzionali, riguardo all’urgenza della creazione di itinerari transitionali efficienti. La recente risoluzione unanime sulla tematica del trasferimento dalla fase pediatrica alla fase adulta nell’ambito della reumatologia rappresenta chiaramente una manifestazione dell’accresciuta considerazione data da parte delle autorità competenti.

In uno studio eseguito congiuntamente su pazienti giovanissimi insieme ai propri genitori, è emerso che per circa il 30% dei genitori intervistati tale passaggio al medico specializzato per adulti continua a essere visto come una fonte d’incertezza significativa; ciò genera inevitabilmente preoccupazioni approfondite. L’indagine ha messo sotto osservazione due fondamentali aspetti critici che complicano questo processo: primo fra tutti, una limitata interconnessione fra i diversi specialisti coinvolti nella cura del bambino in età avanzata; secondo aspetto rilevante è l’assoluta necessità da parte delle famiglie, così come dei giovani stessi, di un’informazione complessiva che risulta così vera e necessaria per rendere meno traumatica questa fase del percorso sanitario. Il continuo scambio collaborativo tra reumatologi pediatrici e reumatologi adulti, sostenuto dall’iniziativa SIP-SIR, si configura come un elemento imprescindibile nel superamento delle attuali frammentazioni assistenziali. Altresì importante è il concetto di empowerment del paziente: mediante una formazione adeguata che promuova l’informazione sulla gestione delle proprie condizioni cliniche si pongono le basi per garantire una transizione efficiente. Inoltre, le associazioni emergono come figure strategiche in questo contesto; grazie alla loro abilità nel costruire reti solidali e nella diffusione della cultura sanitaria, fungono da supporto fondamentale nel guidare i giovani verso un ruolo più attivo nei propri processi curativi. In tal modo possono affrontare la malattia cronica con maggiore cognizione dei mezzi disponibili ed acquisendo così quella necessaria autonomia personale.

Navigare la transizione: autonomia e benessere psicologico

La trasformazione dei giovani affetti da malattie reumatologiche croniche che si spostano dall’ambito pediatrico a quello per adulti rappresenta un fenomeno che va ben oltre le sole questioni clinico-scientifiche; essa penetra significativamente nel regno della psicologia cognitiva e comportamentale, generando effetti considerevoli sul benessere psichico. Tale transizione non deve essere considerata semplicemente come un’operazione burocratica – la modifica della cartella clinica – bensì come una profonda e articolata ristrutturazione dell’identità giovanile rispetto alla sua condizione di malato cronico.

Analizzando questo processo attraverso lenti di psicologia cognitiva, emerge chiaramente un battito d’arresto nei meccanismi cognitivi e nei modelli mentali propri del paziente.


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