Violenza nel calcio giovanile: Carmagnola sotto accusa per l’aggressione al portiere del Volpiano Pianese

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  • Un genitore del Csf Carmagnola ha aggredito il portiere tredicenne del Volpiano Pianese.
  • Il giovane portiere ha riportato la frattura del malleolo e una forte contusione allo zigomo.
  • Circa il 15% dei commenti dei genitori durante le competizioni giovanili è negativo.
  • Un padre è stato sanzionato con un Daspo di quattro anni per aggressione.

La scena che ha avuto luogo al campo sportivo in Collegno – località situata nella prima cintura torinese – il 31 agosto 2025 appare pregna d’angoscia inaudita: infatti qui l’incontro calcistico giovanile si trasforma tragicamente in atto violento. L’attesa partita del Super Oscar Under 14, disputatasi tra le formazioni Csf Carmagnola e Volpiano Pianese – culminata infine in favore dei primi per 1 a 0 – vedeva crescere tensione nel corso della manifestazione ludico-sportiva; ciò ha raggiunto un apice irreparabile all’esito dell’incontro stesso. Un individuo adulto, riconosciuto quale genitore di un giovane calciatore fermatosi dal team vincente, ha oltrepassato con audacia le barriere protettive fino ad aggredire brutalmente, senza motivo alcuno, il portiere tredicenne avversario; una serie incontrollata ed esasperata di pugni lo travolge, costringendolo a terra mentre subisce anche ulteriori colpi sferrati ripetutamente fino alla completa devastazione fisica dello stesso, atteggiamento deviante da parte dell’adulto – causa precipua delle sue conseguenti gravi lesioni: la frattura del malleolo e una forte contusione allo zigomo. Subito dopo questa orribile esperienza avvilente, legittimata dalla follia umana, il minore viene pronto per un recupero affettuoso ed assistenziale in ambulanza verso l’ospedale Martini, ubicato a Torino, dove gli specialisti confermano i suddetti esiti clinici, composti da traumi così marcatamente gravi, non comuni nell’ambiente competitivo infantile sul campo. Questo episodio ha sollevato un’onda di indignazione e proteste, mettendo in luce la crescente violenza nel calcio giovanile. L’allenatore del Volpiano Pianese, Andrea Mirasola, ha dichiarato:

“Quando abbiamo visto questo genitore del Carmagnola picchiare il nostro portiere ci siamo buttati in mezzo per fermarlo, abbiamo davvero temuto per l’incolumità del nostro giocatore. Io, il mio staff e i ragazzi siamo sotto shock.”

La stessa società Carmagnola ha rilasciato un comunicato ufficiale, scusandosi con la vittima e la sua famiglia e condannando fermamente l’accaduto come un comportamento grave e inaccettabile. La dirigenza ha inoltre accennato a provvedimenti disciplinari nei confronti del genitore responsabile e ha promesso di costituirsi parte civile, evidenziando che tali comportamenti non devono essere tollerati in alcun modo.

Note: Recenti episodi di violenza simili si sono verificati anche in altre manifestazioni sportive giovanili, come l’aggressione subita da un arbitro a Arezzo, dove un padre è stato sanzionato con un Daspo di quattro anni.

Le radici psicologiche dell’aggressività genitoriale nello sport giovanile

Il disturbante episodio avvenuto a Collegno suscita l’urgenza di esaminare con attenzione le radici psicologiche dietro il comportamento violento manifestato da alcuni genitori. Diverse componenti analizzate dalla psicologia dello sport ci forniscono indizi significativi sull’aggressività tra adulti nel contesto delle attività sportive infantili. Una delle questioni principali è l’identificazione eccessiva: i genitori tendono spesso ad assimilare gli esiti positivi o negativi dei loro figli come se fossero esperienze personali, scatenando reazioni emotive talvolta sproporzionate. Tale processo può essere alimentato dalla volontà inconscia di rivivere sogni mai realizzati nella propria giovinezza oppure dal carico delle aspettative riposte sui giovani atleti stessi; quando questo legame diventa così intriso del bisogno impellente della vittoria, nasce uno spazio propizio alla frustrazione e alla collera nel momento della sconfitta oppure quando viene avvertita l’ingiustizia. Un ulteriore fattore determinante concerne la pressione sociale e le aspettative. Nel contesto odierno dello sport altamente competitivo, risulta frequente che i genitori sentano l’obbligo morale o sociale di spingere incessantemente i propri figli verso prestazioni straordinarie, sovente dimenticando l’importanza del benessere psichico degli adolescenti coinvolti nello sport. Questa pressione può manifestarsi attraverso critiche costanti, eccessivi incoraggiamenti alla vittoria a scapito del fair play, o, nei casi più estremi, attraverso comportamenti aggressivi verso avversari, arbitri o, come in questo caso, altri giovani calciatori.

Secondo studi, circa il 15% dei commenti fatti dai genitori durante le competizioni sportive giovanili è negativo, con percentuali che arrivano fino al 40% in sport come il tennis e l’hockey.

Il genitore aggressore può inoltre essere spinto da un deficit di intelligenza emotiva, ovvero l’incapacità di riconoscere, comprendere e gestire le proprie emozioni e quelle altrui. In situazioni di alta tensione, come una partita combattuta o un alterco tra ragazzi, l’assenza di adeguate strategie di coping può portare a reazioni impulsive e distruttive. L’insulto o lo sfottò tra ragazzi, sebbene sgradevole, fa parte delle dinamiche normali di crescita e confronto, ma la mancanza di maturità emotiva da parte dell’adulto può trasformare un battibecco in un episodio di violenza fisica. L’intervento del genitore, anziché placare gli animi, come dovrebbe essere, ha innescato una reazione sproporzionata, probabilmente dettata dal desiderio di “difendere” il proprio figlio in una situazione percepita come minacciosa o ingiusta. Questa percezione distorta della realtà, unita a un controllo impulsivo deficitario, è alla base di molti episodi di violenza nei campi sportivi.

La rabbia è un’emozione che può diventare disfunzionale se non gestita, influenzando negativamente le performance sportive.

È quindi essenziale promuovere una cultura sportiva che enfatizzi il rispetto, l’educazione e la crescita personale, contrastando la “sindrome del campione” che spinge molti genitori a trasformare il gioco in una sorta di battaglia personale.

Cosa ne pensi?
  • È davvero incoraggiante vedere come la società Carmagnola......
  • Questo episodio dimostra, purtroppo, quanto la competizione......
  • Forse stiamo guardando il problema dalla prospettiva sbagliata 🤔......

Le implicazioni traumatiche per il giovane atleta e per l’aggressore

L’atto violento subito da parte del tredicenne a Volpiano Pianese trascende il danno fisico inflitto. Nel caso specifico degli atleti giovanili, tali atti possono provocare cicatrici psicologiche profonde ed effetti traumatizzanti durevoli. La frattura al malleolo accompagnata dalla contusione allo zigomo rappresenta soltanto l’aspetto più visibile della questione; ciò non fa altro che minacciare elementi fondamentali quali sicurezza personale, fiducia nelle proprie capacità e tranquillità nell’attività sportiva. È infatti possibile osservare come i giovani vittime d’aggressioni in ambienti normalmente associati a svago possano affrontare una molteplicità di difficoltà inerenti alla sfera psichica: stati ansiosi, crisi emotive acute come gli attacchi di panico o gli incubi notturni, regressioni nel comportamento normale, oltre a una marcata avversione nel tornare sul terreno di gioco. Un effetto collaterale significativo è quello della disillusione nei confronti degli adulti responsabili o dei compagni, così come anche dell’intera istituzione sportiva; questo senso, tra l’altro, pare difficile da recuperare con il tempo. Ricerche scientifiche attestano il fatto che coloro i quali vivono eventi simili sperimentino frequentemente disturbi mentali correlati al fenomeno dello stress post-traumatico; questa condizione si manifesta attraverso sintomi inquietanti quali flashback sull’esperienza vissuta, evasività rispetto a circostanze analoghe all’episodio traumatico e uno stato d’allerta costante. L’intera squadra del Volpiano Pianese, insieme all’allenatore Andrea Mirasola e ai compagni di squadra, ha manifestato un profondo turbamento, a dimostrazione dell’impatto collettivo dell’episodio. Anche per l’aggressore, le conseguenze non sono banali, sebbene di natura diversa. Al di là delle implicazioni legali – la denuncia per lesioni e i possibili provvedimenti da parte della giustizia ordinaria e sportiva – l’uomo potrebbe affrontare un vissuto di rimorso, vergogna e isolamento sociale. Un’azione impulsiva dettata dalla rabbia può avere ripercussioni significative sulla sua reputazione, sui rapporti familiari e sulla sua stessa identità. L’esposizione mediatica di un gesto così deprecabile può condurre a una forte stigmatizzazione, con l’etichetta di “genitore ultrà” che lo accompagnerà a lungo. Dal punto di vista psicologico, l’aggressore potrebbe dover fare i conti con un senso di colpa paralizzante e la consapevolezza del danno arrecato a un minore, elementi che possono sfociare in disturbi d’ansia o depressivi. È essenziale garantire supporto anche all’aggressore, orientandolo verso un itinerario di analisi interiore e recupero capace di far emergere le radici del suo comportamento disfunzionale. Solo tramite una reale presa di coscienza si può evitare il rischio che comportamenti simili possano manifestarsi nuovamente, alimentando così un continuo ciclo di violenza. È imperativo che la comunità sportiva, con particolare riferimento alle istituzioni coinvolte – quali ad esempio il Carmagnola – riconosca l’importanza della ferma condanna contro questi atti deplorevoli e intraprenda azioni concrete mirate alla prevenzione di futuri eventi violenti.

Prevenzione e recupero: costruire un ambiente sportivo sano

Affrontare la questione della violenza nel contesto dello sport giovanile esige una strategia olistica in cui sia fondamentale l’interazione sinergica tra tutti i soggetti interessati: dalle società sportive, agli allenatori, fino ai genitori, passando per esperti come psicologi dello sport ed enti istituzionali. È imperativo sviluppare una cultura atletica centrata sul benessere infantile, abbracciando principi quali il fair play, il rispetto reciproco nonché l’educazione continua; valori da privilegiare in luogo della mera ambizione alla vittoria. Le società sportive, pertanto, sono chiamate ad adottare regolamenti precisi ed esigenti destinati a tutelare famiglie e tifoserie; è indispensabile inserire misure punitive rigorose contro comportamenti scorretti. A tal proposito è significativo notare come l’atteggiamento fermamente repressivo manifestato dal Carmagnola rappresenti un esempio da seguire nel combattere la violenza all’interno degli impianti sportivi. Inoltre, si rende necessaria la programmazione regolare di incontri fra le diverse parti interessate – includendo soprattutto le società stesse con gli allenatori dei giovani atleti nonché i loro familiari – affinché ci si possa dedicare alla creazione di uno spazio comunicativo efficace volto ad accrescere consapevolezza sulle problematiche inerenti alla pressione ingente esercitata su ragazzi cui si rivolgono affermazioni aggressive. Il ruolo degli allenatori, infine, emerge quale elemento determinante nella formazione umana oltre che atletica dei giovani atleti. La formazione dei coach deve abbracciare non soltanto le tecniche specifiche relative allo sport praticato, ma deve altresì concentrarsi su elementi fondamentali come la psicologia dello sviluppo e l’intelligenza emotiva. È essenziale che apprendano come manovrare efficacemente le dinamiche del gruppo, identificare manifestazioni di stress tra gli atleti più giovani ed edificare relazioni basate su una solida fiducia con i genitori stessi. Le narrazioni fornite dai professionisti del settore mettono in luce l’urgenza d’interventi rapidi ed audaci nelle circostanze critiche; ciò mette in rilievo quanto sia fondamentale una preparazione adeguata insieme alla coesione del team educativo. In questo contesto, il ruolo dei genitori, primi custodi dell’educazione atletica dei propri figli nel mondo giovanile, si fa determinante. È cruciale che prendano coscienza del fatto che lo sport per bambini rappresenta opportunità vitali per la crescita personale attraverso il divertimento educativo, piuttosto che semplicemente come palcoscenico delle aspirazioni familiari. Essi devono sviluppare abilità nel regolare il proprio stato emotivo per sostenere attivamente la prestazione del figlio al di là dell’esito finale della competizione; è inoltre importante mostrarsi rispettosi verso le scelte effettuate dagli arbitri, così come dalle squadre rivali. L’organizzazione di corsi dedicati ai genitori riguardo all’etica nello sport, assieme ad approfondimenti sulla psicologia applicata, potrebbe rivelarsi uno strumento prezioso tanto nella diffusione della consapevolezza quanto nell’offerta concreta agli adulti coinvolti affinché possano esercitare una partecipazione salutare ed edificante nei percorsi dei loro ragazzi. Una proposta realmente all’avanguardia consiste nella formulazione dei codici etici destinati ai genitori; tali documenti offrono linee guida precise sul comportarsi adeguatamente nel corso delle competizioni sportive. In aggiunta a ciò, psichiatri specializzati nello sport svolgono un ruolo cruciale tanto nella fase preventiva quanto nel processo riparativo. Questi esperti possono cooperare con le associazioni sportive allo scopo di realizzare programmi formativi volti al benessere mentale dei giovani atleti vittime di eventi traumatici e assistere gli autori della violenza nell’assimilazione delle loro azioni, oltre all’inizio del percorso riabilitativo. Per il giovane portiere oggetto dell’aggressione fisica, l’accesso a uno spazio terapeutico risulta imprescindibile per affrontare il trauma subito; tale spazio dovrà servirgli non solo ad affrontare l’ansia e i timori emersi dall’esperienza traumatica, ma anche eventualmente facilitargli il ritorno alla pratica sportiva in maniera serena, qualora egli lo desiderasse. All’interno dell’ambito giovanile si evidenzia una notevole resilienza agli eventi critici; tuttavia essa necessita della presenza costante da parte della comunità circostante, nonché della disponibilità degli esperti più preparati. L’assistenza rivolta agli aggressori assume rilevanza poiché potrebbe condurli verso una comprensione profonda delle cause recondite del loro comportamento violento, evitando similari episodi futuri. Si tratta di una risorsa fondamentale per il benessere psicologico dell’intera comunità sportiva, destinata a promuovere la formazione di un contesto che non solo favorisca uno sviluppo sano, ma anche eticamente corretto e sostanzialmente arricchente per ciascun individuo coinvolto.

Oltre la cronaca: una riflessione sulla dimensione umana dello sport

L’incidente verificatosi a Collegno costringe a riflettere su scala più ampia riguardo alla dimensione umana nello sport giovanile. Le conoscenze acquisite attraverso la psicologia cognitiva dimostrano quanto influenti siano le nostre modalità interpretative sugli eventi nel plasmare risposte emotive e comportamentali. In ambito sportivo è evidente come ciò possa avvenire: un banale episodio di sconfitta o una contestata decisione arbitrale possono facilmente essere letti da un genitore ipercoinvolto come un’ingiustizia inaccettabile, attivando così meccanismi aggressivi considerati dalla psicologia comportamentale reazioni apprese da certi stimoli provocatori. Tali dinamiche mettono in luce quanto sia cruciale l’intelligenza emotiva, tanto nei più giovani quanto nelle figure adulte che ruotano attorno a loro. In aggiunta alla ferita fisica immediata legata all’incidente del giovane portiere emerge la necessità di riconoscere anche il trauma psicologico: quando si subisce violenza in ambienti ritenuti sicuri e protetti vi sono conseguenze potenzialmente devastanti sul benessere mentale dei ragazzi durante la loro crescita personale. La psicologia dello sport ci suggerisce che il cervello di un bambino, ancora in sviluppo, è particolarmente vulnerabile a eventi stressanti e minacciosi.

È quindi fondamentale riconoscere e supportare i traumi invisibili che i giovani atleti possono subire.

A un livello più avanzato, potremmo considerare il concetto di contagio emotivo e di polarizzazione di gruppo. In un ambiente sportivo, le emozioni intense possono diffondersi rapidamente, trasformando una singola scintilla di aggressività in un incendio collettivo. La pressione dei pari, la paura di essere esclusi o la conformità alle aspettative del gruppo possono amplificare i comportamenti negativi. Questo fenomeno si aggrava quando figure autorevoli, come i genitori, adottano atteggiamenti violenti, legittimando implicitamente tali comportamenti e creando un circolo vizioso. É imperativo, quindi, educare al dissenso sano e alla responsabilità individuale, incoraggiando ogni persona a essere un faro di fair play, piuttosto che un elemento di contagio negativo. La riflessione personale che scaturisce da questi eventi deve portarci a considerare quale tipo di sport vogliamo per i nostri figli e quale tipo di adulti vogliamo essere. Vogliamo che il campo da gioco sia un luogo di crescita e divertimento, o un’arena di battaglia dove l’ansia e l’aggressività dominano? Il vero successo nello sport giovanile non si misura in vittorie o sconfitte, ma nella capacità di formare individui resilienti, etici, rispettosi e con una solida salute mentale.

Glossario:
  • Trauma invisibile: un trauma psicologico che non sempre si manifesta con sintomi fisici, ma ha effetti profondi sulla salute mentale, come ansia e depressione.
  • Identificazione eccessiva: fenomeno in cui i genitori vedono i successi o i fallimenti dei propri figli come riflesso della propria identità e realizzazione personale.
  • Daspo: divieto di accesso a eventi sportivi, solitamente imposti a chi compie atti di violenza o comportamento antisportivo.

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