- Il gruppo Facebook "Mia Moglie" contava oltre 32.000 iscritti.
- La multa per diffusione illecita di immagini arriva a 15.000 euro.
- La reclusione per il reato va da 1 a 7 anni.
Quando la perversione diventa collettiva
La vicenda del gruppo Facebook “Mia Moglie”, con i suoi oltre 32.000 iscritti dediti alla condivisione di scatti rubati e commenti sessisti sulle proprie mogli, ha sollevato un’ondata di indignazione e interrogativi. Cosa spinge un uomo a mercificare l’immagine della propria compagna, esponendola al giudizio e al desiderio altrui? Quali dinamiche psicologiche si celano dietro questo fenomeno perverso e, purtroppo, tutt’altro che nuovo?
Per comprendere le radici di questo comportamento, è utile rifarsi al mito di Candàule, re di Lidia, narrato da Erodoto. Candàule, ossessionato dalla bellezza della moglie, la esibiva segretamente al suo servo Gige, in una sorta di perverso gioco di potere. Questo mito, come sottolinea lo psichiatra e psicoanalista Leonardo Mendolicchio, illustra come il corpo femminile possa essere trasformato in oggetto di dominio maschile, un terreno su cui misurare la propria potenza e il proprio controllo. La differenza cruciale, oggi, è che i social media hanno amplificato esponenzialmente questa dinamica, trasformando una perversione individuale in un fenomeno culturale condiviso e, perverso, legittimato.
La condivisione online, infatti, crea un’illusione di liceità, un “costume comune” che anestetizza la coscienza e annulla il senso di colpa. In questo contesto, l’identità di chi posta e commenta diventa irrilevante, la vergogna svanisce e il corpo della donna si trasforma in merce di scambio, alimentando un circolo vizioso di voyeurismo e mercificazione.
Il “maschio povero” e la crisi d’identità
Dietro a questi comportamenti si cela spesso una profonda “povertà emotiva”, una crisi d’identità che affligge molti uomini contemporanei. Il modello maschile tradizionale, basato sulla virilità, la performance e il dominio, è entrato in crisi, ma molti uomini non sono stati educati a elaborare un’identità alternativa, più consapevole e rispettosa. In questo vuoto, alcuni uomini convogliano la propria frustrazione in comportamenti sbagliati, come quelli osservati nel gruppo Facebook “Mia Moglie”, o in forme di sopruso più gravi, come i femminicidi.
È fondamentale, quindi, agire sulla cultura del maschile, superando i cliché e promuovendo un’educazione all’affettività che aiuti i giovani uomini a costruire un’identità solida e positiva. Il gruppo “Mia Moglie” ci rivela che per alcuni uomini, esercitare una forma di supremazia sulla donna diventa essenziale per riacquistare un senso di equilibrio e identità che percepiscono in declino. Quando manca una profonda introspezione sul ruolo maschile, molti preferiscono attingere a impulsi più primordiali, trovando rifugio in un gruppo dove possono facilmente riconoscersi.
I social media, in questo contesto, diventano un terreno fertile per la povertà culturale e identitaria del maschio. Gli uomini, abituati a un’approvazione esterna data per scontata, si sentono intimiditi dalla società contemporanea, che valorizza l’approvazione dell’altro. Questa insicurezza può generare atti di violenza, sia online che offline, come reazione alla mancata legittimazione della propria identità.

- Articolo molto interessante, mette in luce dinamiche complesse... 👍...
- Trovo l'articolo eccessivamente severo e generalista... 👎...
- E se il problema fosse la solitudine maschile, più che il patriarcato? 🤔......
Le voci delle vittime e la necessità di denunciare
La chiusura del gruppo Facebook “Mia Moglie” è stata una vittoria, ma la battaglia è tutt’altro che conclusa. Come testimoniano le voci delle vittime, molte donne si sentono “spezzate in due” dalla violazione della propria privacy e dalla mercificazione del proprio corpo. Alcune, come l’architetto veneto intervistato, minimizzano l’accaduto, definendolo un “gioco” o un’occasione per “guardare belle fotografie”. Altri, invece, annunciano la migrazione su altre piattaforme, come Telegram e WhatsApp, creando nuovi gruppi privati e “sicuri”.
Di fronte a questa realtà, è fondamentale che le vittime trovino il coraggio di denunciare. Come afferma l’avvocata Annamaria Bernardini de Pace, “denunciare è un dovere, anche se si ha paura”. Solo così si può fermare la spirale di violenza e garantire che i colpevoli siano puniti. Il reato di diffusione illecita di immagini o video prevede una multa fino a 15.000 euro e il carcere da 1 a 7 anni, con un aumento della pena se il responsabile è il marito o il compagno.
È importante sottolineare che la violenza non è solo fisica, ma anche psicologica e digitale. La pubblicazione di foto private senza consenso è una forma di violenza sessuale, una violazione della dignità e dell’integrità della persona. Non possiamo permettere che questi comportamenti siano banalizzati o giustificati. Dobbiamo agire a tutti i livelli, educando i giovani al rispetto, promuovendo una cultura del consenso e sostenendo le vittime di violenza.
Oltre il patriarcato: un progetto politico di rispetto ed equità
La lotta contro il patriarcato è fondamentale, ma non sufficiente a spiegare fenomeni come quello del gruppo Facebook “Mia Moglie”. Come sottolinea Eleonora Ducci, assessora alle Pari Opportunità dell’Unione dei Comuni Montani del Casentino, “il fenomeno sottostante non è un premeditato atto di potere maschile per sottomettere la donna, come nella tradizionale logica patriarcale, bensì un meccanismo comportamentale più insidioso, quasi inconscio, che scaturisce dalla convinzione maschile che la donna sia di sua proprietà”.
È necessario, quindi, un cambiamento culturale più profondo, che metta in discussione i ruoli di genere tradizionali e promuova un’educazione all’affettività che insegni il rispetto, l’empatia e il consenso. Come collettività, è nostro compito assicurare che ogni bambina, ragazza e donna possa vivere libera dalla paura che il proprio corpo venga oggettivato sessualmente o trasformato in merce di scambio. Questo richiede un impegno collettivo, un “progetto politico” di rispetto reciproco e di equità, che coinvolga istituzioni, famiglie, scuole e media.
Un Nuovo Orizzonte di Consapevolezza e Responsabilità
La vicenda del gruppo “Mia Moglie” non è solo un episodio isolato, ma un sintomo di un malessere più profondo che affligge la nostra società. È un campanello d’allarme che ci invita a riflettere sulle dinamiche di potere tra uomini e donne, sulla mercificazione del corpo femminile e sulla crisi d’identità del maschio contemporaneo. Solo attraverso una presa di coscienza collettiva e un impegno concreto per il cambiamento possiamo costruire un futuro più giusto e rispettoso per tutti.
Amici lettori, riflettiamo insieme. Avete presente quando sentite parlare di “bias di conferma”? In psicologia cognitiva, è quella tendenza a cercare e interpretare le informazioni in modo da confermare le proprie credenze preesistenti. Ecco, nel caso del gruppo “Mia Moglie”, questo bias si manifesta in modo perverso: gli uomini che vi partecipano cercano conferme della propria visione del mondo, in cui la donna è un oggetto da esibire e controllare. Questo rafforza le loro convinzioni distorte e li spinge a perpetuare comportamenti dannosi.
Ma c’è di più. Un concetto avanzato di psicologia comportamentale ci aiuta a capire come questi comportamenti si radicano nel tempo. Parliamo del “condizionamento operante”: se un comportamento (come pubblicare una foto della moglie) viene seguito da una conseguenza positiva (come l’approvazione degli altri membri del gruppo), è più probabile che venga ripetuto in futuro. Questo meccanismo, unito al bias di conferma, crea un circolo vizioso che alimenta la perversione e la violenza.
Allora, cosa possiamo fare? Innanzitutto, dobbiamo essere consapevoli di questi meccanismi psicologici e metterli in discussione. Dobbiamo educare noi stessi e gli altri al rispetto, all’empatia e al consenso. Dobbiamo creare una cultura in cui la violenza, in qualsiasi forma, non sia tollerata. E soprattutto, dobbiamo ricordare che ogni persona è un individuo unico e prezioso, non un oggetto da mercificare o controllare. Riflettiamoci su, e agiamo di conseguenza.