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Infortuni sul lavoro: perché la salute mentale è la chiave per la resilienza?

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  • Nel 2024, più di 890 vittime nei primi dieci mesi.
  • L'INAIL ha raccolto 414.853 segnalazioni d’infortuni professionali.
  • Nel 2024 gli incidenti fatali sono stati 797, in aumento rispetto al 2023.
  • Andrea Lanari ha visto la sua vita stravolta a 34 anni.
  • Victoria Godovanyuk ha visto crescere il proprio tasso d'invalidità al 35%.
  • L'ANMIL denuncia normative sulla sicurezza risalenti al 1965.

I rischi associati agli incidenti lavorativi costituiscono una problematica persistente e preoccupante; solo nel corso del 2024, si sono registrate più di
890 vittime nei primi dieci mesi
, segnando un aumento del 3% rispetto all’annata precedente. Oltre a questo quadro tragico vi sono anche decine di migliaia di lavoratori coinvolti mensilmente in incidenti
dai quali derivano
sopportazioni talvolta permanenti
. Tali eventi sfuggono dal semplice danno fisico per impattare profondamente sulla salute psicologica dei soggetti interessati: ciò comporta lunghi processi riabilitativi aventi natura
multidimensionale; infatti è essenziale realizzare quanto possa essere devastante l’esito immediato di un incidente grave non solo sul piano fisiologico ma anche sulle componenti emotive e sociali della persona
colpita. Da questa ottica emerge chiaramente come nella disciplina della psicologia degli incidenti lavorativi venga frequentemente trascurata la dimensione psichica del malessere umano—un aspetto critico per
garantire reintegrazioni efficaci.

Nell’anno corrente, l’
INAIL
ha raccolto 414.853 segnalazioni d’infortuni professionali raggiungendo così una riduzione pari al
1,9%
riguardo all’anno passato.

Nonostante tutto, il conteggio degli incidenti fatali ha mostrato un incremento, arrivando a toccare quota
797 nell’anno 2024
, contrariamente ai precedenti valori di
790 del 2023
. Il settore industriale e dei servizi si è rivelato il più letale, riportando ben
669 decessi sul posto di lavoro
, mentre l’agricoltura ha segnato un calo nei propri numeri: sono stati contabilizzati solamente
102 morti
, in discesa rispetto ai precedenti.
[ANSA]

Il processo di elaborazione di un trauma, come quello scaturito dall’incidente di un operaio a Codogno, si articola in diverse fasi, spesso descritte come shock, negazione, rabbia, e infine accettazione.
Inizialmente, lo stato di shock può manifestarsi con un disorientamento profondo e una difficoltà a processare la realtà dell’accaduto. Segue la fase di negazione, un meccanismo di difesa in cui l’individuo
tenta di minimizzare o rifiutare la gravità dell’evento. La rabbia emerge poi come risposta alla sensazione di ingiustizia e impotenza, spesso rivolta verso se stessi, i datori di lavoro, o il sistema.
Raggiungere l’accettazione è un percorso lungo e tortuoso, che implica una riorganizzazione interna e una nuova percezione di sé e del proprio ruolo nel mondo. La
resilienza individuale
gioca un ruolo fondamentale in questo processo, ma non può prescindere da un adeguato supporto esterno.

Testimonianze dirette di chi ha vissuto infortuni gravi evidenziano la portata di queste sofferenze invisibili. Andrea Lanari, ad esempio, ha perso entrambe le mani a 34 anni a causa di un macchinario non a
norma, e ha descritto mesi di
“inferno tra medicazioni dolorosissime, riabilitazione e traumi psicologici”
, che lo hanno reso dipendente dagli altri anche per i bisogni elementari. Questo ha avuto ripercussioni sulla sua vita affettiva, culminata nella separazione dalla moglie due anni dopo l’incidente. Il suo caso
sottolinea non solo l’aspetto fisico del trauma, ma anche la demolizione dell’autonomia personale e le evidenti ripercussioni sulla sfera relazionale e familiare. Analogamente, Luciano Ciceroni,
precipitato da 9 metri di altezza a soli 17 anni mentre lavorava in nero, ha dovuto affrontare un cambiamento radicale della sua vita, passando dal lavoro manuale allo studio per potersi reinserire. Queste
storie mettono in luce come l’infortunio stravolga la vita a 360 gradi, richiedendo una riorganizzazione profonda non solo delle capacità fisiche, ma anche delle prospettive future e dell’identità
personale.

A scene depicting workplace accidents and their emotional impacts

Il percorso verso la resilienza: strategie e supporti

Quando si tratta di riabilitazione post-infortunio, che essa sia provocata da eventi severi come l’incidente occorso all’operaio di Codogno oppure da problematiche derivanti dal mondo sportivo,
è imperativo adottare una prospettiva
integrata
. Questo approccio riconosce mente e corpo come componenti interconnesse; infatti, l’infortunio è spesso visto come una circostanza critica, capace di disturbare profondamente il benessere
bio-psico-sociale della persona interessata. Non si limita pertanto a compromettere le abilità fisiche, ma intacca anche lo stato emotivo e i legami sociali.

I vari esperti nel campo della salute mentale applicata allo sport, comprese figure specializzate quali gli psicologi dello sport stesso, mettono in risalto quanto sia fondamentale prestare
attenzione all’aspetto psichico del recupero. Questo è vero qualunque possa essere stata la gravità iniziale dell’incidente subito. È divenuta sempre più evidente negli ultimi anni
la rilevanza del supporto psicologico nel contesto degli incidenti lavorativi;
a tale proposito vi è una cresciuta consapevolezza rispetto alla necessaria combinazione tra ripristino fisico ed efficaci misure per salvaguardare il benessere mentale.

In data 16 ottobre 2023, l’INAIL, assieme al CNOP (Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi), ha intensificato le proprie iniziative nel campo della salute mentale. È
stato siglato un protocollo d’intesa valido per tre anni; ed è seguito da un accordo operativo datato 23 luglio 2024, atto a garantire la disponibilità generalizzata di programmi standardizzati di
sostegno psicologico-psicoterapeutico su tutto il territorio italiano. Tali iniziative non sono limitate agli assistiti INAIL affetti da incapacità temporanea totale o che presentano disabilità fisiche e
mentali permanenti; si rivolgono altresì ai familiari e ai conviventi dei lavoratori coinvolti in incidenti sul lavoro oppure deceduti in ambito professionale. Questo approccio evidenzia una percezione più
ampia delle ripercussioni del trauma stesso, ammettendo che tali effetti abbracciano anche la dimensione familiare.

Sia gli assistiti che i loro familiari hanno la libertà di selezionare i professionisti desiderati attraverso uno specifico elenco regionale o provinciale; tutte le spese associate ricadranno sotto la
responsabilità finanziaria dell’Istituto stesso, assicurando così una fruizione semplificata ed equa dei servizi fondamentali.

Il percorso di sostegno viene definito nel “progetto di reinserimento nella vita di relazione”, elaborato da un’équipe multidisciplinare INAIL, evidenziando un approccio personalizzato e coordinato. Le
iniziative non si limitano al solo supporto terapeutico; l’INAIL promuove anche attività di reinserimento sociale e lavorativo, come i campus estivi e gli eventi sportivi paralimpici, che utilizzano lo sport
come strumento di inclusione e integrazione. Queste attività contribuiscono non solo al recupero funzionale, ma anche alla ricostruzione dell’autostima e del senso di appartenenza, fattori cruciali per
superare i traumi. L’esperienza di Claudio De Vivo, che dopo aver perso una gamba in un incidente sul lavoro è diventato un atleta paralimpico primatista italiano nei 1500 metri, è un esempio emblematico di
come un infortunio possa, paradossalmente, ridefinire positivamente la vita, portando a una maggiore consapevolezza e resilienza.

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  • Numeri impietosi, ma la prevenzione dov'è finita...😡...
  • Infortuni e subappalti: un legame da spezzare... 🤔...

Sfide e prospettive nel reinserimento lavorativo

Tornare al mondo del lavoro
, dopo aver subito un serio infortunio, si configura come una fase difficile e spesso carica di sofferenza nel processo di recupero. Ciò che rende questa esperienza così ardua sono le diverse sfide: ansie
per la sicurezza sul posto di lavoro, insicurezza nelle proprie abilità professionali e l’influenza negativa su quella che è la propria identità lavorativa. Esempi emblematici come quello di Victoria
Godovanyuk mostrano quanto possa essere complicato il reinserimento; infatti, dal suo infortunio avvenuto nel 2011 ha visto crescere il proprio tasso d’invalidità fino al
35%
, cosa che le ha precluso la possibilità d’impegno effettivo a causa delle limitazioni fisiche riscontrate. Ora che ha raggiunto i 53 anni e trascorsi ben tredici anni senza occupazione attiva, il suo
compito diventa sempre più arduo: individuare nuove possibilità lavorative rimane oggi una questione tanto difficile quanto comune per molte persone nella sua situazione.
[Il Sole 24 Ore]
La
barriera dell’invalidità permanente
si scontra con un mercato del lavoro spesso rigido e poco inclusivo, aggravato dalla percezione di una perdita di valore professionale. Nell’ambito di questo scenario complesso, emerge con forza
l’importanza del
sostegno psicologico
, che riveste un ruolo essenziale tanto nel processo di elaborazione del trauma quanto nella gestione delle emozioni quali ansia e frustrazione connesse al reinserimento. Strumenti come la
terapia cognitivo-comportamentale (CBT)
, insieme ad altri approcci terapeutici mirati, offrono un valido aiuto agli individui nell’affrontare eventi traumatici; ciò include anche una significativa ristrutturazione dei loro pensieri disfunzionali
oltre allo sviluppo di metodi di coping adeguati. Fondamentale appare inoltre l’impegno volto a modificare convinzioni limitanti riguardo all’autoefficacia personale: tale intervento si rivela decisivo
nell’instaurazione della fiducia necessaria per affrontare sfide occupazionali future. Gli sforzi compiuti in ambito psicologico hanno come obiettivo ultimo quello di ristabilire l’equilibrio psico-fisico
dell’individuo; ciò supporta i lavoratori nel difficile percorso verso un integrato reinserimento nelle diverse sfere della loro vita – familiare, sociale ed economica.

Anche se molto importante dal punto di vista personale, questo problema si configura come collettivo nei suoi effetti più ampi. Infatti, Emilio Deandri, alla guida dell’ANMIL, pone sotto accusa una
problematica rilevante: le normative attuali inerenti alla sicurezza sul luogo di lavoro derivano dal venerando
Testo Unico del 1965
; essendo queste ultime fortemente anacronistiche rispetto alle esigenze contemporanee italiane.

La normativa attualmente vigente risulta superata rispetto alle esigenze complesse del mercato del lavoro moderno. Con ben 650.000 titolari di rendita INAIL a causa di invalidità permanenti, il
sistema richiede con urgenza misure efficaci volte ad assicurare una protezione economica adeguata e garantire un ripristino totale delle condizioni sanitarie individuali; fondamentale è anche il sostegno
alla riqualificazione professionale degli interessati. Secondo l’analisi condotta da Deandri, la
frammentazione
degli appalti e dei subappalti emerge come uno dei principali responsabili degli incidenti sul posto di lavoro. Ciò che dovrebbe configurarsi come metodo atto ad aumentare la specializzazione finisce
invece per trasformarsi frequentemente in una scorciatoia indirizzata al risparmio: ciò comporta riduzioni nella sicurezza mediante assunzioni irregolari oppure contratti estremamente svantaggiosi ed
effettua l’impiego di personale non qualificato o privo della formazione necessaria all’esercizio dell’attività lavorativa. Tali aspetti organizzativi assieme a quelli normativi contribuiscono ulteriormente
a ostacolare il processo d’inserimento nel mercato del lavoro post-infortunio delle persone colpite.

Riflessioni sulla resilienza e il benessere psicologico dopo un trauma lavorativo

Il percorso di recupero da un infortunio sul lavoro è un viaggio arduo che impone una profonda riorganizzazione della vita di un individuo. Dal punto di vista della psicologia cognitiva, un evento traumatico
come un infortunio grave può generare una disfunzione nei processi di elaborazione delle informazioni, portando a pensieri intrusivi, flashback e una persistente ipervigilanza. La memoria
dell’evento si presenta spesso frammentata e vivida, attivando risposte fisiologiche di stress e ansia che possono persistere ben oltre la guarigione fisica. Questo
“loop cognitivo”
può impedire all’individuo di concentrarsi sul presente e di pianificare il futuro, mantenendolo ancorato al trauma. La riabilitazione cognitiva mira proprio a ristrutturare questi schemi di pensiero,
aiutando il soggetto a rielaborare l’evento in una cornice più adattiva, riducendo l’impatto emotivo e facilitando il ritorno alla normalità.

A un livello più avanzato, la psicologia comportamentale evidenzia come il trauma possa portare allo sviluppo di
comportamenti di evitamento
, quali il rifiuto di tornare sul luogo dell’incidente, la paura di determinate attività o ambienti, o l’isolamento sociale. Sebbene inizialmente concepiti come forme protettive, tali comportamenti possono
evolvere fino a diventare cronici ed erigere barriere al recupero e alla reintegrazione sociale. In questo contesto si colloca la terapia cognitivo-comportamentale che impiega metodi mirati quali
l’esposizione graduale: essa consente all’individuo di affrontare le paure consolidate, riducendo man mano la risposta ansiosa ed incoraggiando lo sviluppo delle capacità adattative necessarie. Il tutto si
traduce in un processo volto ad apprendere
nuove risposte
, rielaborando quindi stimoli originariamente percepiti come minacciosi; ciò porta alla ristrutturazione dei meccanismi automatici del cervello per restituire una forma rassicurante nei confronti del
mondo esterno. Dobbiamo affermare con forza che la sfera del benessere psicologico non è affatto superflua; al contrario rappresenta uno degli elementi chiave nella composizione generale della salute umana,
così come un diritto irrinunciabile per ogni persona volta alla ricerca di una vita dignitosa. L’impatto dell’infortunio avvenuto nell’ambito lavorativo suscita interrogativi significativi riguardanti non
solo le vulnerabilità intrinseche dell’essere umano, ma anche l’urgenza vitale di instaurare sistemi solidi di appoggio collettivo: ci invita pertanto ad esaminare con attenzione non soltanto gli aspetti
preventivi relativi alla sicurezza nei luoghi lavorativi, ma altresì sull’urgenza imperativa di
investire nella cura mentale
. Un recupero fisico senza un adeguato supporto psicologico è spesso incompleto, lasciando cicatrici invisibili che possono compromettere la qualità della vita per anni. È un monito a guardare oltre
l’evidenza delle ferite fisiche, riconoscendo e curando anche quelle profonde e silenziose che si annidano nella psiche. Solo così potremo offrire una vera seconda possibilità a coloro che, a causa del loro
lavoro, hanno visto le loro vite irrevocabilmente cambiate.

Glossario:
  • INAIL: Istituto Nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro, ente pubblico che gestisce le assicurazioni contro gli infortuni sul lavoro in Italia.
  • CBT: Terapia Cognitivo-Comportamentale, un approccio psicoterapeutico focalizzato sull’identificazione e la modifica di schemi di pensiero disfunzionali.
  • ANMIL: Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi del Lavoro, che rappresenta e difende i diritti delle persone disabili a causa di infortuni sul lavoro.
An illustration of a psychological rehabilitation session after a workplace injury
A motivational image to represent the journey of recovery and reintegration into the workforce after a serious injury

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