Grigna: la montagna rivela le fragilità, la psicologia svela i pericoli

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  • Negli ultimi mesi, numerosi interventi di soccorso sulla Grigna.
  • Un escursionista di 62 anni ha perso la vita a Canzo.
  • 83% degli incidentati da valanga erano consapevoli del rischio.
  • La biofilia migliora le difese e facilita il recupero da stress.
  • Circa 45 mesi or sono, un settantasettenne fu soccorso.

Gli ultimi mesi hanno visto una serie di interventi di soccorso sulla Grigna, un’area montana molto apprezzata ma che nasconde insidie. Solo sei mesi fa, due escursionisti sono stati soccorsi sul versante di Pasturo della Grigna Settentrionale, richiedendo l’intervento dell’elisoccorso decollato da Como. L’operazione si è svolta in contemporanea con un altro intervento, evidenziando la frequenza e la complessità delle situazioni di emergenza in questa zona. Recente, appena una settimana fa, una “ordinaria mattinata domenicale di salvataggi” ha visto i tecnici del CNSAS (Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico) della Stazione del Triangolo Lariano in azione dalla Grigna al Bolettone, sottolineando la costante attività di soccorso in queste montagne.
Questi episodi si inseriscono in un quadro più ampio di incidenti che hanno coinvolto escursionisti negli ultimi anni. Un anno fa, la Valsassina ha registrato un fine settimana “infuocato”, con quattro interventi del Soccorso Alpino in rapida successione. Nel contesto di una stagione segnata da eventi drammatici, spicca il caso avvenuto quattro mesi or sono a Canzo: un escursionista milanese di 62 anni, Guido Valli, ha perso la vita dopo essere scivolato lungo un impervio sentiero. Pur non essendo questo episodio accaduto all’interno del territorio della Grigna stessa, l’adiacenza geografica e il tipo di attività praticata pongono in evidenza una questione cruciale per chi si avventura nelle montagne della Lombardia. In aggiunta a ciò, recenti eventi fatali hanno nuovamente coinvolto l’area. Due escursionisti provenienti da Bergamo, rispettivamente di 42 e 39 anni d’età, hanno tragicamente trovato la morte in seguito a un incidente sul canale Zucchi della Grigna Settentrionale il 25 febbraio 2023. Tali incidenti mettono in risalto l’importanza delle misure preventive riguardanti la sicurezza montana; infatti, gli operatori del soccorso segnalano come il ghiaccio abbia reso tali escursioni estremamente insidiose. Questo pone quindi forte accento sulla necessità imprescindibile di preparazione adeguata e consapevolezza prima dell’uscita in montagna.[Rai News]. I ricordi relativi ad avvenimenti passati tendono a risalire a epoche ancor più remote nella memoria collettiva. Prendiamo come esempio l’incidente occorso circa 45 mesi or sono, quando un uomo settantasettenne riportò ferite mentre era impegnato nella sua escursione sulle pendici della Grigna; fu necessario il suo trasferimento d’emergenza via elicottero. Volgendo lo sguardo ulteriormente nel passato, troviamo anche il tragico caso avvenuto soltanto 12 mesi addietro, riguardante uno scivolone fatale su un sentiero della Grignetta da parte di una persona settantacinquenne: alle ore due pomeridiane la centrale operativa dell’AREU (Agenzia Regionale Emergenza Urgenza) ricevette l’allerta per attivarsi nei soccorsi necessari. Una situazione drammatica accadde addirittura ben 138 mesi fa: persino allora vi fu purtroppo l’inesorabile esito fatale per un alpinista in cima al monte Grignone durante quella domenica funestata da diversi interventi degli operatori del soccorso alpino nelle valli lecchesi. Queste statistiche offrono uno spaccato eloquente sul rischio insito nell’attività escursionistica in montagna; tali dati evidenziano quanto sia imprescindibile adottare adeguate misure preparatorie e sviluppare consapevolezza degli ostacoli naturali presenti. Ciò non va semplicemente attribuito alla malasorte: è piuttosto frutto frequentemente della sottovalutazione delle insidie o di idee errate riguardo ai rischi reali; tematiche che vengono esplorate dalla psicologia nonché dalle discipline mediche orientate al supporto della salute mentale.

La percezione del rischio nell’escursionismo: un’analisi psicologica

La pratica dell’escursionismo in montagna, nonostante gli indubbi benefici fisici e psicologici, comporta una serie di rischi che spesso vengono sottovalutati. La percezione del rischio è un giudizio altamente soggettivo, influenzato dalla propensione individuale a rischiare e dalla stima dei potenziali pericoli. La psicologia cognitiva e comportamentale studia come gli individui elaborano le informazioni e prendono decisioni in situazioni di incertezza, come quelle che si presentano in montagna. Un aspetto cruciale è la “cultura del rischio consapevole”, che dovrebbe essere sviluppata e trasmessa soprattutto ai più giovani. Spesso, l’entusiasmo e la voglia di superare i propri limiti possono spingere anche escursionisti esperti a ignorare i segnali di pericolo. Una rassegna che ha analizzato gli incidenti da valanga ha rivelato che, anche quando le vittime erano consapevoli del rischio, una percentuale elevata, l’83% (34 su 41), ha comunque subito un incidente. Questo dato sottolinea come la sola conoscenza dei pericoli non sia sufficiente a prevenire gli infortuni, ma sia necessaria una profonda consapevolezza e una gestione attiva del rischio. La gestione del rischio in montagna non si limita alla preparazione fisica e all’equipaggiamento, ma coinvolge profondamente aspetti psicologici come la consapevolezza e la preparazione. Un questionario che ha indagato percezione, consapevolezza del rischio e preparazione in sette diverse attività sportive montane, sia estive che invernali, ha evidenziato la complessità di questi fattori. La “sottovalutazione dei rischi” è una trappola euristica, un bias cognitivo che porta a stimare in modo errato la probabilità di un evento negativo. Il “fattore umano” è determinante negli incidenti in montagna, con le “trappole euristiche” che influenzano le decisioni e possono portare a comportamenti rischiosi. L’ansia e la ritualità nell’escursionismo sono stati oggetto di analisi psicoanalitiche, che esplorano il piacere e le motivazioni profonde che spingono l’essere umano verso la montagna. Il “bisogno della vetta” è un concetto studiato dalla psicologia, che lo descrive non come un semplice desiderio, ma come una tensione verso la trascendenza, il mistero e l’armonia. Questo richiamo della montagna, unito a motivazioni intrinseche e al senso di “autoefficacia” (Bandura, 1973) che si prova nel superare le sfide, può talvolta offuscare la lucida valutazione del pericolo. È fondamentale comprendere queste dinamiche per promuovere una pratica più sicura e responsabile dell’escursionismo montano, integrando la conoscenza tecnica con una profonda consapevolezza psicologica.

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  • ⚠️ Troppi incidenti! Forse la Grigna è sopravvalutata......
  • 🤔 La montagna, uno specchio: cosa rivela di noi la Grigna...?...

I benefici psicologici del contatto con la natura e la montagna

Se da un lato la montagna presenta rischi che richiedono una gestione attenta, dall’altro offre un’ampia gamma di benefici psicologici e fisici, dimostrati da numerosi studi scientifici. Il contatto con la natura agisce come una “terapia naturale”, contribuendo a ridurre i sintomi di disturbi psicologici come l’ansia e la depressione. L’immersione in ambienti naturali ha un effetto calmante sul sistema nervoso, favorendo il recupero dell’equilibrio emotivo e abbassando i livelli di cortisolo, l’ormone dello stress. Anche brevi periodi trascorsi nella natura sono sufficienti a produrre questi effetti positivi. Recenti ricerche evidenziano che la biofilia, l’istintiva attrazione umana verso l’ambiente naturale, ha effetti significativi sul benessere psicologico. Uno studio ha dimostrato che il contatto con la natura può migliorare le difese immunitarie e facilitare un migliore recupero da stress e ansia[DORS]. L’interazione tra natura e benessere emerge come elemento chiave nel contesto attuale della salute mentale, dove si osserva una crescente valorizzazione degli approcci olistici nonché dell’importanza dell’elemento ambientale nella sfera curativa.

L’esperienza immersiva nella natura consente alla mente umana di riacquistare serenità ed equilibrio interiore; ciò si traduce in una riduzione marcata dello stress percepito. Ne consegue una sensibile elevazione dello stato emotivo generale. Camminare all’aperto – specialmente nei luoghi montani – esercita benefici tanto sul piano fisico quanto su quello psichico. La concezione della biofilia introduce infatti nuovi paradigmi nel campo del trattamento terapeutico, utilizzando le risorse naturali per potenziare la salute umana. Diverse evidenze dimostrano che l’interazione diretta con l’ambiente naturale, insieme all’attività fisica svolta sui versanti montuosi, costituisce uno strumento particolarmente valido per coloro che soffrono di disturbi psichiatrici, favorendo significativi progressi nel loro equilibrio psicosociale.

Un paesaggio interiore chiamato Grigna: riflessioni sulla psicologia dell’escursionismo

La Grigna, con la sua maestosa bellezza e le sue sfide, non è solo un complesso montuoso; è anche un simbolo potente per la psiche umana. Gli incidenti che occorrono sui suoi sentieri, seppur tragici, ci spingono a una riflessione profonda sul nostro rapporto con il rischio e con la natura stessa. Nel campo della psicologia cognitiva, sappiamo che gli esseri umani sono inclini a “bias ottimistici”, ovvero una tendenza a credere che gli eventi negativi siano più probabili per gli altri che per sé stessi. Questo può manifestarsi in montagna con la convinzione di essere immuni dai pericoli, anche quando l’esperienza e i dati suggeriscono il contrario. La psicologia comportamentale ci insegna che i “rinforzi positivi”, come il senso di auto-efficacia e la gratificazione nel raggiungere una vetta, possono a volte prevalere sulla razionale valutazione dei rischi, portando a comportamenti di ricerca di sensazioni forti che ignorano i segnali di allarme. È qui che la consapevolezza gioca un ruolo cruciale. La nozione avanzata da comprendere è quella del “framing” o della cornice cognitiva. Il modo in cui percepiamo e inquadriamo una situazione di rischio – se la vediamo come un’opportunità di superare un limite o come un potenziale pericolo mortale – influenza radicalmente le nostre decisioni. Riconoscere come il nostro mindset possa alterare la percezione della realtà è il primo passo per una gestione più matura e responsabile dei rischi in montagna. Quindi, la prossima volta che vi avvicinate a un sentiero di montagna, pensate non solo all’equipaggiamento e alle previsioni del tempo, ma anche al vostro stato mentale. Quali sono le vostre motivazioni? State sottovalutando qualcosa? Riflettete sul profondo legame tra la vostra psiche e l’ambiente circostante. La montagna, in fin dei conti, non è solo un luogo da conquistare, ma un potente specchio della nostra interiorità, capace di rivelare tanto le nostre fragilità quanto la nostra straordinaria forza interiore.

Glossario:
  • CNSAS: Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico, l’organizzazione che fornisce soccorso nelle aree montane in Italia.
  • Elisoccorso: Servizio di soccorso aereo per situazioni di emergenza che richiedono una risposta rapida, in particolare in aree difficilmente accessibili.
  • Biofilia: Concetto che indica l’istintiva attrazione umana verso la natura, suggerendo che questa connessione può contribuire al benessere psicologico.

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