- Il film di Julie Pacino, "I Live Here Now", esplora il trauma infantile.
- Sheryl Lee di "Twin Peaks" nel cast, omaggio a David Lynch.
- La regista ha lavorato cinque anni al film, dal soggetto iniziale.
- Al Pacino ha dato un riscontro «straordinario» sul montaggio.
- Il film affronta il tema del corpo e cita: «Non sei più così giovane, né così magra».
Il debutto di Julie Pacino a Locarno: Un viaggio nel trauma attraverso l’horror
Il Festival di Locarno ha ospitato quest’anno un debutto cinematografico particolarmente atteso e significativo: quello di Julie Pacino, figlia del leggendario Al Pacino. Con i suoi trentacinque anni, un sorriso accattivante e un berretto da baseball indossato alla rovescia, Julie si è presentata sulla scena internazionale non solo come erede di un cognome illustre, ma come una cineasta con una voce autonoma e potente. Il suo film, intitolato _”I Live Here Now”_, si addentra nelle profondità del trauma infantile, un tema che l’autrice stessa ha rivelato essere profondamente personale. La pellicola si presenta come un horror dalle atmosfere surreali e spiazzanti, evocando chiaramente lo stile distintivo di David Lynch, un regista che Julie Pacino ha citato come una delle sue principali ispirazioni. Non è un caso, infatti, che nel cast figuri Sheryl Lee, iconica Laura Palmer di _”Twin Peaks”_, a sottolineare ulteriormente questo legame stilistico e tematico.
L’elemento distintivo del film risiede nella sua capacità di utilizzare il genere horror non solo per spaventare, ma per esplorare le cicatrici invisibili lasciate da esperienze dolorose vissute nell’infanzia. Il “qui” nel titolo non si riferisce a un luogo fisico, ma al corpo della protagonista, diventando metafora di una battaglia interiore per riappropriarsi della propria identità e del proprio sentire. Julie Pacino ha spiegato che il film narra la storia di una donna che si confronta con il riemergere di traumi fisici infantili, divenuti poi interiori. È un racconto di come queste esperienze spaventose non abbiano spezzato la protagonista, ma l’abbiano invece spinta a indossare il suo trauma come una corona, senza vergogna. Questo approccio riflette una prospettiva psicologica avanzata, che vede il trauma non solo come fonte di sofferenza, ma anche come un catalizzatore per la crescita e la resilienza.
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Psicologia del corpo e influenze artistiche: Un dialogo con il cinema
_”I Live Here Now”_ non si limita a esplorare il trauma infantile, ma si addentra anche in un altro tema cruciale: l’immagine del corpo e le pressioni che il mondo del cinema può esercitare su di essa. Nel film, una battuta pronunciata da un’agente cinematografica alla protagonista, un’attrice, _”non sei più così giovane, né così magra”_, mette in luce le aspettative e i modelli imposti dall’industria. Questo è un altro tassello fondamentale nell’analisi psicologica del film: la protagonista ha, inizialmente, un rapporto puramente esteriore con il proprio corpo, una condizione che, come sottolineato da Julie Pacino, può essere molto comune nell’ambiente della recitazione. Il suo percorso nel film è una lunga e faticosa lotta per _riconnettersi con il proprio corpo_ in un senso più profondo e autentico, andando oltre le apparenze e le aspettative esterne.
Tale narrazione si intreccia con le influenze artistiche che hanno guidato la regista. Oltre al già citato David Lynch, Julie Pacino ha rivelato di aver tratto ispirazione da due maestri del cinema: Dario Argento e Ingmar Bergman. L’omaggio a Dario Argento si manifesta nella scelta di associare ogni personaggio a un colore specifico, una tecnica che ricorda il vibrante e simbolico utilizzo cromatico in capolavori come _”Suspiria”_. Questa stratificazione visiva aggiunge un ulteriore livello di significato psicologico, dove i colori non sono solo un elemento estetico, ma veicoli di stati d’animo, emozioni e identità. Per quanto riguarda Bergman, Julie Pacino ha addirittura mostrato _”Persona”_ a tutta la troupe prima dell’inizio delle riprese, evidenziando l’influenza di un cinema che scava nell’anima umana, nelle sue complessità e nelle sue maschere. La scelta di una canzone italiana, _”Kiss Me Maddalena”_ di Fabio di Bari, che incornicia il film all’inizio e nei titoli di coda, aggiunge un tocco personale e un omaggio alle radici italiane della famiglia Pacino, arricchendo ulteriormente il tessuto emotivo e culturale della pellicola. La meditazione trascendentale, pratica che ha un ruolo “enorme” nella vita della regista, si riflette anche nella struttura e nei temi del film, suggerendo un percorso di introspezione e consapevolezza che la protagonista intraprende.
Il confronto con il maestro e la strada per la resilienza
Il dialogo con il padre, Al Pacino, è stato un _elemento cruciale_ nel processo creativo di Julie. Lei stessa ha confessato di condividere “tutto il suo lavoro” con lui, riconoscendone l’enorme comprensione del cinema e definendolo un “maestro”. Ha cercato e continuerà a cercare i suoi consigli, mostrando un primo montaggio del film e ricevendo un _riscontro “straordinario”_ che l’ha aiutata a prendere decisioni fondamentali.
Tuttavia, il film finito rimane ancora da vedere per l’attore, che Julie desidera lo veda per la prima volta su uno schermo cinematografico a Los Angeles, e non su un monitor di un computer. Questo dettaglio sottolinea il rispetto per l’arte cinematografica e la volontà di presentare il suo lavoro nella sua forma più autentica e potente. La definizione che Julie Pacino dà del suo film – “non convenzionale, crudo e in certi momenti divertente” – suggerisce una complessità e una stratificazione che vanno oltre il semplice genere horror, incorporando elementi di umorismo nero e una visione distorta della realtà. Il percorso di creazione di questo film è già di per sé un esempio di elaborazione e resilienza. Cinque anni di lavoro, a partire dal primo soggetto scritto durante la pandemia, hanno trasformato un’esperienza personale in un’opera d’arte.
Questo processo creativo non solo ha permesso a Julie Pacino di dare voce ai propri traumi, ma offre anche una potenziale terapia per il pubblico, stimolando la riflessione e l’empatia verso chi ha vissuto esperienze simili. _”I Live Here Now” infatti, trascende la dimensione personale per toccare corde universali legate alla salute mentale e alla capacità umana di superare le avversità._ Nel panorama attuale, dove il cinema e le arti visive sono sempre più riconosciuti come strumenti potenti per affrontare questioni psicologiche complesse, il film di Julie Pacino si inserisce perfettamente in questo trend, offrendo una prospettiva cruda ma al tempo stesso ispiratrice sulla guarigione attraverso la narrazione. La collaborazione con attori come Sheryl Lee, nota per il suo ruolo in un’opera che ha rivoluzionato la rappresentazione del mistero e del trauma, rafforza ulteriormente la pertinenza del film nel contesto del dibattito contemporaneo sulla psicologia e l’arte.
Il cinema come catarsi e la complessità del trauma
Il film di Julie Pacino, presentato al Festival di Locarno in quello che si può definire un momento di grande fermento per il cinema che dialoga con la psicologia, è un _potentissimo esempio_ di come l’arte possa fungere da veicolo per l’elaborazione del trauma e la promozione della salute mentale. La psicologia cognitiva e comportamentale ci insegna che i traumi infantili, se non elaborati, possono lasciare _cicatrici profonde_ e influenzare a lungo termine il comportamento e la percezione di sé. La narrazione, la simbolizzazione e la catarsi emotiva – processi tutti presenti in _”I Live Here Now”_ – sono meccanismi terapeutici fondamentali che permettono all’individuo di _dare un senso all’esperienza dolorosa_ e di reintegrarla nella propria identità in modo costruttivo.
A livello di psicologia cognitiva, la rappresentazione artistica del trauma, come avviene nel film, può aiutare a ristrutturare le memorie traumatiche, passando da uno stato frammentato e intrusivo e a una narrazione più coerente e integrata. La protagonista del film, affrontando il riaffiorare dei suoi traumi fisici, si impegna in un processo di _”riconnessione con il suo corpo”_, che in termini comportamentali significa riacquistare il controllo e la consapevolezza delle proprie sensazioni e reazioni, spesso alterate in seguito a esperienze traumatiche. _Questo processo è fondamentale per superare i meccanismi di dissociazione_ e per ricostruire un senso di sicurezza e agency.
Una nozione più avanzata da considerare è quella della resilienza post-traumatica. Non si tratta semplicemente di “tornare alla normalità”, ma di una crescita che avviene _a seguito_ del trauma. Il film di Julie Pacino dipinge una donna che “indossa il suo trauma come una corona, senza vergognarsene”. Questa immagine potente non è solo una metafora poetica, ma riflette l’idea che il trauma, una volta elaborato, può diventare una fonte di forza, intuizione e profonda comprensione di sé e del mondo. Non si nega il dolore, ma si trasforma la percezione di esso, riconoscendo che le esperienze difficili, pur essendo estenuanti, possono forgiare individui più resilienti e compassionevoli. Il cinema, in questo senso, diventa non solo uno specchio delle nostre vulnerabilità, ma anche un faro che illumina i percorsi possibili verso la guarigione e la riscoperta di una pienezza esistenziale, stimolando una riflessione profonda su come ognuno di noi possa trasformare le proprie cicatrici in segni di forza e saggezza.
Glossario
- Resilienza Post-Traumatica: La capacità di un individuo di adattarsi e crescere in seguito a esperienze traumatiche.
- David Lynch: Regista statunitense noto per il suo stile onirico e surreale, ha influenzato molte generazioni di cineasti.
- Dario Argento: Regista italiano, considerato un maestro dell’horror, famoso per il suo uso innovativo del colore e della luce.