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Salute mentale minorile e giustizia: la commistione di ruoli è un rischio?

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  • 1 minore su 5 in Italia soffre di disturbi mentali.
  • Aumento del 500% delle consulenze neuropsichiatriche in 10 anni.
  • Omicidi da minorenni: dal 4% nel 2023 all'11,8% nel 2024.

Problematiche nell’interazione tra sistema giudiziario e salute mentale minorile

L’intersezione tra il sistema giudiziario e i servizi di salute mentale dedicati ai minori sta emergendo come una questione di crescente preoccupazione, con implicazioni profonde per il benessere psicofisico dei giovani. La recente inclusione, nel “Piano di Azione Nazionale per la Salute Mentale 2025-2030”, di una sezione specifica sulle “Richieste dell’Autorità Giudiziaria in materia di minori e famiglie”, sebbene animata da lodevoli intenzioni di tutela, solleva interrogativi cruciali sulla potenziale commistione di ruoli tra l’ambito sanitario e quello giudiziario. L’articolo 33 della Legge 833/78 sancisce la volontarietà degli accertamenti e trattamenti sanitari, un principio rafforzato dall’articolo 1 della Legge 219/17 che tutela il diritto all’autodeterminazione e richiede il consenso libero e informato del paziente.

Questi principi, radicati nell’articolo 32 della Costituzione italiana che protegge la salute come diritto fondamentale, sono stati ulteriormente ribaditi da pronunce della Corte di Cassazione, come la sentenza n. 13506/15, che ha dichiarato lesiva del diritto di libertà personale la prescrizione ai genitori di sottoporsi a percorsi psicoterapeutici o di sostegno alla genitorialità.

Statistiche recenti rivelano che in Italia circa 1 minore su 5, ovvero circa 2 milioni di bambini e ragazzi, soffre di un disturbo mentale, con un aumento del 500% delle consulenze neuropsichiatriche presso i pronto soccorso negli ultimi 10 anni. [Bambino Gesù]

La delega ai servizi sanitari di compiti tipicamente giudiziari, quali la valutazione delle capacità genitoriali, crea una sovrapposizione che minaccia la specificità e l’efficacia dell’intervento terapeutico. I professionisti sanitari, formati per la cura e il sostegno basati sulla fiducia e il consenso informato, rischiano di vedere snaturato il loro ruolo, percepiti dagli utenti più come ausiliari del Giudice che come figure d’aiuto. L’articolo 473-bis.27 c.p.c., che regola l’attività demandata ai servizi sociali o sanitari, impone agli operatori una situazione in cui la loro autonomia professionale e la loro discrezionalità sono minate, compromettendo il rispetto del codice deontologico, come evidenziato dall’articolo 6 del Codice Deontologico degli Psicologi. La difficoltà nel distinguere tra trattamento sanitario e altre forme di intervento è un altro aspetto critico. Il sostegno psicologico e la psicoterapia sono trattamenti sanitari che necessitano di un consenso informato genuino e non condizionato. La prescrizione, l’imposizione o persino il “suggerimento” da parte del Tribunale possono viciare la volontà del paziente, rendendo il consenso, di fatto, non valido.

La mediazione familiare, pur utile, deve avere una sua collocazione chiara e distinta per evitare ambiguità che possano inficiare la sua efficacia e volontarietà. È fondamentale definire ogni intervento in base alla sua natura e finalità, mantenendo una netta separazione tra l’azione di cura e quella di controllo o accertamento.

Un approfondimento su questa problematica rivela che il dipendente sanitario, conformemente all’articolo 473-bis.27 c.p.c., deve distinguere nelle relazioni fatti accertati, dichiarazioni rese e valutazioni formulate. Questo implica che psicologi e altri professionisti sanitari siano chiamati a operare con logiche e strumenti propri dell’ambito giudiziario – come l’accertamento dei fatti – che non rientrano nelle loro prerogative e competenze primarie.

Il sanitario lavora con le narrazioni e i vissuti del paziente, non acquisisce dichiarazioni formali né accerta fatti in senso giudiziario. Questa confusione di ruoli mina la fiducia nella relazione terapeutica, portando il paziente a sentirsi costantemente sotto “giudizio”, condizionando negativamente il suo percorso di cura. Non sono rari i casi in cui i giovani coinvolti nel sistema giudiziario mostrano tassi significativamente più elevati di disturbi mentali e esperienze infantili avverse. Questo è particolarmente evidente nei contesti detentivi minorili, dove la promozione della salute è supportata da normative nazionali, internazionali ed europee, ma necessita di pratiche che non siano in conflitto con l’obiettivo terapeutico.

L’eccessivo coinvolgimento dei servizi sanitari in attività giudiziarie, come le valutazioni psicoforensi, sottrae risorse preziose che potrebbero essere impiegate per potenziare i servizi di prevenzione, diagnosi e cura delle patologie mentali, contribuendo all’allungamento delle liste d’attesa per prestazioni essenziali e aggravando il disagio già presente.

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  • Finalmente un articolo che mette in luce le criticità del sistema... 👍...
  • Sono preoccupato per l'aumento della criminalità giovanile... 😠...
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Impatto della “giudiziarizzazione” sulla salute mentale minorile e l’aumento della criminalità giovanile

Il fenomeno della cosiddetta “giudiziarizzazione” dei problemi di salute mentale nei minori ha un impatto significativo, non solo sulla qualità delle cure, ma anche sulle dinamiche sociali e sulla criminalità giovanile. La confusione di ruoli tra operatori sanitari e autorità giudiziarie contribuisce a un ambiente in cui la fiducia, essenziale per qualsiasi percorso terapeutico, è compromessa. Quando un minore è coinvolto in vicende giudiziarie, spesso si trova ad affrontare problematiche complesse che vanno oltre il mero reato, includendo disturbi mentali preesistenti o acuiti dalla situazione. Si è osservato, ad esempio, un preoccupante incremento della criminalità giovanile: gli omicidi commessi da minorenni in Italia sono più che raddoppiati in dodici mesi, passando dal 4% del 2023 all’11,8% nel 2024. Questo dato allarmante evidenzia la necessità impellente di risorse, personale formato e una regia chiara e coordinata per intercettare il disagio e intervenire efficacemente.

Il legame tra problemi di salute mentale e delinquenza giovanile è ampiamente riconosciuto. Le evidenze indicano che i disturbi mentali aumentano il rischio di recidiva criminale, con particolare attenzione ai disturbi legati all’uso di sostanze. Il disagio psichico e i disturbi psichiatrici sono, infatti, particolarmente presenti tra i minorenni coinvolti in fatti di rilevanza penale. Una ricerca ha rivelato che solo il 35% degli adolescenti si dichiara sereno, mentre il 24% si sente ansioso e un significativo 16% non sa definire il proprio stato d’animo. Questi numeri sottolineano la vulnerabilità di una fascia d’età cruciale e la necessità di interventi tempestivi e mirati, che difficilmente possono essere erogati efficacemente in un contesto giudizializzato.

L’attuale approccio, che delega ai servizi sanitari compiti di accertamento e controllo, non solo snatura il ruolo curativo di tali servizi, ma rischia anche di creare un circolo vizioso. Se il minore percepisce l’operatore sanitario come un “ausiliario del Giudice” piuttosto che come una figura di supporto, la resistenza al trattamento e la non aderenza terapeutica possono aumentare, rendendo più difficile l’intervento precoce e la risoluzione del disagio.

La presa in carico dei minori autori di reato, per dare piena risposta ai dispositivi dell’Autorità Giudiziaria, richiede un’integrazione di competenze che non dovrebbe però confondere i confini professionali e deontologici. Un sistema in cui gli operatori sanitari sono gravati da logiche e strumenti propri dell’ambito giudiziario rischia di deteriorare la qualità del loro lavoro e di allontanare i giovani dalle cure di cui hanno bisogno.

Secondo il Ministero della Salute, nel 2024 più di 16 milioni di italiani lamentano disturbi psicologici, con un aumento di casi di ansia e depressione tra i giovani. [Ministero della Salute]

La chiara distinzione tra trattamenti sanitari volontari e obbligatori è un pilastro fondamentale del diritto alla salute, e la coercizione, anche se indiretta, può avere effetti devastanti sulla psiche di un minore. Il panorama attuale della salute mentale tra i giovani mostra segni inquietanti, avvicinandosi a un momento critico senza precedenti. La serietà di tale contesto impone un’analisi approfondita delle modalità con cui il sistema giudiziario si intreccia con l’assistenza sanitaria. Questo intervento deve mirare essenzialmente a proteggere la stabilità emotiva e i diritti inviolabili degli individui minorenni, affinché situazioni di disagio non degenerino in comportamenti devianti o problematiche penali.

La necessità di confini chiari e autonomia professionale

È fondamentale stabilire confini distinti fra le sfere sanitaria e giuridica affinché entrambi questi settori possano funzionare efficacemente. Tale distinzione deve avvenire con il massimo rispetto per le specifiche competenze implicate e deve riflettere priorità significative quali quelle legate al benessere del minore o ai diritti familiari. La revisione della sezione riguardante il PANSM 2025-2030 dovrebbe mirare a realizzare un’interazione proficua fra questi due ambiti senza compromettere rispettivamente la loro autonomia; questo garantirebbe non solo il diritto a una salute mentale dignitosa, ma anche la facoltà degli individui di scegliere liberamente.

Oggi come oggi, si registra un’invasiva integrazione dei Servizi sanitari nelle dinamiche giudiziarie attraverso pratiche come le valutazioni psicoforensi. Questa tendenza comporta effetti negativi poiché priva importanti fondi necessari da indirizzare verso attività volte a ottimizzare i servizi dedicati alla prevenzione primaria, al riconoscimento precoce delle patologie e alla gestione terapeutica adeguata per coloro che soffrono di disturbi mentali. Tale ridistribuzione irresponsabile del capitale umano ed economico è causa dell’aumento considerevole delle attese per ricevere prestazioni fondamentali all’interno del sistema sanitario già gravemente compromesso nella sua capacità assistenziale sul fronte della salute mentale.

Inoltre, la prassi attuale mette in discussione l’autonomia professionale degli operatori sanitari. La loro formazione li prepara a un approccio terapeutico basato sulla relazione di fiducia e sul consenso informato, valori che si scontrano con la logica del controllo e dell’accertamento tipica del sistema giudiziario. Quando uno psicologo o uno psichiatra è chiamato a operare come “ausiliari del giudice”, la percezione del paziente cambia radicalmente: non si sente più libero di esprimere i propri vissuti e le proprie narrazioni, temendo che ogni parola possa essere utilizzata contro di lui o la sua famiglia in un contesto legale.


Questa confusione di ruoli genera una coartazione della volontà che rende il consenso al trattamento viziato e, di fatto, non valido, compromettendo l’efficacia stessa dell’intervento terapeutico. Il rischio di snaturamento del ruolo del professionista sanitario è gravissimo. Laddove la priorità dovrebbe essere la cura e il supporto, si introduce un elemento di controllo che trasforma l’operatore da terapeuta a una sorta di investigatore o perito. Il codice deontologico degli psicologi, menzionato nell’articolo 6, chiarisce con precisione l’importanza da attribuire all’autonomia professionale così come alla discrezionalità nella valutazione delle decisioni operative. Tali principi vengono infatti intaccati nel momento in cui i professionisti si trovano costretti ad accettare condizioni lavorative lesive dei medesimi valori. È essenziale che i ruoli siano definiti con nitidezza poiché questo è determinante per garantire sia la credibilità sia l’efficacia. I giovani utenti – particolarmente quelli già fragili o implicati in contesti legali – richiedono uno spazio protetto dove non subire alcun tipo di giudizio per affrontare questioni relative al benessere mentale. La mancanza di delimitazioni chiare tra cura terapeutica e sorveglianza può seriamente ostacolare l’erogazione dell’assistenza adeguata; questa situazione non solo influisce negativamente sulla salute psichica degli adolescenti ma aumenta anche le possibilità che possano reiterare comportamenti devianti o aggravarsi ulteriormente dal punto di vista emotivo.

Un futuro di integrazione rispettosa e consapevolezza

L’affrontare con serietà le problematiche relative all’incrocio tra giustizia e salute mentale minorile richiede uno sviluppo accurato di un modello integrato che onori sia la peculiarità sia gli obiettivi distintivi dei due campi in questione. È essenziale generare connessioni proficue senza sacrificare l’integrità delle singole professionalità; al contrario, ogni identità deve essere esaltata, assicurando sempre una protezione efficace per i minori coinvolti. Tale impostazione comporta non solo una revisione critica delle regolamentazioni vigenti – come esemplificato dalle tematiche trattate nel PANSM 2025-2030 – ma implica anche un significativo investimento nella formazione mirata degli operatori provenienti da entrambe le discipline.

È fondamentale che i medici insieme agli psicologi siano ben informati sulle conseguenze legali collegate alle loro diagnosi; d’altro canto, i funzionari del settore giudiziario necessitano di acquisire conoscenza circa il carattere complesso dei disturbi psichici ed abbracciare modi d’azione terapeutici ed inclusivi. La situazione presente segnala una drammatica crescita nei fenomeni legati alla sofferenza adolescenziale accompagnata da inclinazioni verso atti criminali: il balzo negli omicidi perpetrati da individui minorenni suggerisce urgentemente la necessità di ripensamenti critici riguardo all’importanza della prevenzione.


In psicologia cognitiva, sappiamo che le prime esperienze di vita, positive o traumatiche, modellano profondamente i nostri schemi mentali e comportamentali. Un sistema che non riesce a offrire un supporto precoce e non coercitivo ai minori in difficoltà rischia di consolidare schemi disfunzionali e reattivi, rendendo più complessa e onerosa ogni futura riabilitazione.

Dal punto di vista della psicologia comportamentale, l’esposizione a ambienti giudiziari rigidi in contesti di disagio può generare rinforzi negativi, portando il minore a sviluppare comportamenti di evitamento o opposizione che ostacolano qualsiasi sforzo terapeutico. Un approccio più umano e collaborativo, che ponga al centro il benessere del minore, può invece favorire l’acquisizione di nuove strategie di coping e la riscoperta di risorse personali. A un livello più avanzato, la psicologia dei traumi ci insegna che le esperienze avverse vissute in età infantile e adolescenziale – spesso presenti nei percorsi di minori che entrano nel sistema giudiziario, come citato dagli studi che rilevano tassi elevati di disturbi mentali e esperienze infantili avverse – influenzano profondamente lo sviluppo neurologico e psicologico. Il sistema legale, se non attentamente calibrato, può diventare una fonte ulteriore di trauma o riattivazione traumatica, piuttosto che un meccanismo di protezione. È fondamentale che ogni interazione, ogni valutazione e ogni intervento siano improntati a una sensibilità traumatologica, cercando di contenere il danno e promuovere la resilienza. L’obiettivo non deve essere semplicemente “giudicare” un comportamento, ma comprendere le sue radici profonde, spesso ancorate a storie di sofferenza e disagio. Questo richiede un cambiamento di paradigma: passare da un modello esclusivamente punitivo a uno che integri giustizia riparativa, cura e supporto psicosociale, con l’autentico consenso del minore e della sua famiglia come pilastro inamovibile. Solo così potremo garantire che i giovani ricevano le cure più appropriate in un ambiente non stigmatizzante, proteggendo i loro diritti e promuovendo una reale ripresa.

Dati dell’UNICEF: Circa 11 milioni di bambini e ragazzi residenti nell’Unione Europea soffrono di disturbi psichici, con un’incidenza di ansia del 8% e depressione del 4% tra i 15 e i 19 anni. [UNICEF]
Glossario:
  • Giudiziarizzazione: Processo con cui problematiche che potrebbero essere trattate nel contesto sanitario vengono portate nell’ambito giudiziario.
  • Neuropsichiatria: Settore della medicina dedicato allo studio e alla cura delle alterazioni mentali e neurologiche.
  • Consenso informato: È l’autorizzazione rilasciata da un soggetto dopo aver ricevuto informazioni complete sui vari aspetti legati a un trattamento, incluse le possibili conseguenze positive e negative.

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