Infanzia tradita, amore ferito: come i traumi infantili plasmano le relazioni adulte

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  • La connessione tra abusi infantili e relazioni disfunzionali è significativa.
  • Nel 2016, uno studio ha evidenziato un ippocampo ridotto nei bambini traumatizzati.
  • L'attaccamento disorganizzato aumenta i sintomi dissociativi in età adulta.

Le esperienze infantili rivestono una centralità fondamentale nel plasmare non solo il carattere individuale ma anche le modalità relazionali che emergono nell’età adulta; particolarmente rilevanti risultano quelle caratterizzate da situazioni traumatiche. Studi recenti condotti nel campo della psicologia comportamentale rivelano chiaramente come esista una significativa connessione fra il vissuto d’abuso o abbandono nei primi anni d’esistenza e la propensione a entrare in rapporti amorosi disfunzionali o persino violenti negli anni successivi. Tale associazione trova fondamento nella teoria dell’attaccamento elaborata da Bowlby; essa sottolinea quanto sia imprescindibile instaurare un legame affettivo stabile con le figure caregiver primarie affinché possa realizzarsi uno stato durevole di benessere emotivo e psicologico.

Secondo il postulato proposto da Bowlby già nel 1969, sussiste un meccanismo innato noto come sistema d’attaccamento; esso è concepito come strumento evolutivo deputato alla salvaguardia della continuazione della specie umana. Allorquando ci si trovi davanti a situazioni minacciose, questo meccanismo entra subito in azione costringendo ogni individuo – sin dal momento stesso del parto – ad avvicinarsi ed assicurarsi rifugio presso la figura cui è legato affettivamente: tipicamente quella materna. Un ambiente sicuro e responsivo permette al sistema di attaccamento di “dormire”, ma in situazioni di minaccia, comportamenti come il pianto, l’aggrapparsi e la ricerca di prossimità si manifestano al fine di ripristinare uno stato di sicurezza.

Quando le interazioni precoci tra bambino e caregiver sono distorte o carenti, in particolare in presenza di traumi, il modello di attaccamento che si sviluppa può essere insicuro. Questo accade quando il bambino sperimenta una ferita nel rapporto con chi si prende cura di lui, non permettendo la costruzione di un legame di fiducia. Le conseguenze di un attaccamento insicuro si manifestano in una serie di difficoltà nelle relazioni adulte. In particolare, chi ha vissuto esperienze di violenza o abbandono potrebbe essere più incline a scegliere partner che ripropongono dinamiche simili a quelle vissute nell’infanzia, entrando in cicli ripetitivi di sofferenza.

Le ricerche condotte nel corso degli anni hanno dimostrato come l’attaccamento insicuro sia spesso associato a una serie di psicopatologie in età adulta, riflettendo le strategie di adattamento sviluppate dal bambino per fronteggiare relazioni di attaccamento disfunzionali. Queste strategie, sebbene utili in un contesto infantile problematico, diventano disadattive nelle relazioni sentimentali e interpersonali da adulti.

Nel 2016, uno studio condotto da Teicher ha messo in evidenza che i bambini esposti a traumi precoci mostrano un ippocampo ridotto rispetto ai loro coetanei, il che può influenzare negativamente le loro capacità di apprendimento e regolazione emotiva
[Centro di Psicoterapia]. È essenziale avere una chiara comprensione di tali meccanismi, poiché questa conoscenza si rivela cruciale nel promuovere interventi efficaci capaci di interrompere il ricorrente ciclo della sofferenza, che frequentemente accompagna l’esistenza degli individui vittime di traumi infantili.

Gli stili di attaccamento insicuro e le loro manifestazioni nelle relazioni

L’ambito della teoria dell’attaccamento identifica molteplici stili insicuri, ognuno caratterizzato da distintive manifestazioni sia nel comportamento che nelle relazioni interpersonali. Queste modalità possono estendersi dall’infanzia fino alla vita adulta, rendendo essenziale una loro comprensione per poter individuare modelli disfunzionali e intraprendere adeguati percorsi terapeutici.

Il tipo insicuro-evitante, noto anche come “distaccato” nell’età adulta, emerge quando il bambino vive l’assenza della figura d’attaccamento come una presenza fredda o persino ostile durante momenti critici. Tale sensazione porta il fanciullo ad apprendere l’arte della negazione dei suoi istinti emotivi fondamentali; egli giunge così ad elaborare una concezione personale secondo cui non è degno d’affetto e comincia a contare esclusivamente sulle proprie forze. Nell’età matura, queste persone presentano spesso un comportamento scarsamente empatico nelle relazioni amorose, facendo emergere delle notevoli difficoltà nell’esprimere le proprie necessità emotive. Talvolta appaiono inclini all’aggressività oppure possono vivere in isolamento sociale; nei casi più estremi potrebbero rivelarsi predisposti allo sviluppo di condotte antisociali o delinquenziali. Le disfunzioni correlate all’attaccamento caratterizzato da un approccio evitante si manifestano attraverso una serie variegata di problematiche comprendenti disturbi emotivi, problematiche psicosomatiche, anomalie comportamentali nonché disordini collegati al deficit d’attenzione accompagnati dall’iperattività; tra i quali si distingue l’anoressia restrittiva. Ricerche effettuate su giovani pazienti ricoverati a causa di difficoltà psichiatriche hanno rivelato un legame significativo tra tale forma d’attaccamento e il verificarsi di condizioni afflitte dalla negazione del disagio psicologico – come la dipendenza da sostanze stupefacenti oppure i disordini della personalità aventi tendenze narcisistiche o antisociali.

L’architettura cognitiva riconducibile a questo specifico modo d’interagire presenta associazioni con patologie tipologicamente proiettive; ad esempio: situazioni caratterizzate dalla paranoia oppure disordini dal profilo narcisistico affliggono gli individui inclini a un consumo patologico alimentare improntato sull’anoressia tanto nei più giovani quanto negli adulti emergenti. Costoro spesso ricorrono all’inibizione delle loro emozioni quale meccanismo inconscio utile per creare uno spazio emotivo fra sé stessi e coloro che sono visti come fonti d’affetto potenzialmente poco affidabili. Va sottolineato che sebbene quest’inibizione possa apparire utile nella prima infanzia al fine dell’autoprotezione, essa risulta poi controproducente nel facilitare esperienze relazionali significative durante il percorso verso l’età adulta.

Lo stile di attaccamento insicuro-ambivalente, o invischiato in età adulta, deriva da esperienze con una figura di accudimento imprevedibile e la strategia inconsapevole di cercare di controllare questa figura. I bambini con questo stile mostrano ansia da separazione intensa, fobie e disturbi psicosomatici che richiamano l’attenzione degli adulti, come coliche o attacchi d’asma. Sono spesso impulsivi, tesi, timorosi e difficilmente consolabili. Da adulti, tendono a essere gelosi e possessivi nelle relazioni sentimentali. Le patologie associate all’attaccamento ambivalente includono disordini affettivi, disturbi istrionici e di personalità borderline. I disturbi alimentari come l’anoressia purgativa e la bulimia sono stati associati a modelli di attaccamento invischiato/preoccupato. Queste manifestazioni riflettono la costante ricerca di controllo e l’elevato livello di distress emotivo che caratterizza gli individui con questo stile di attaccamento.

Studi recenti dimostrano che il pattern di attaccamento disorganizzato aumenta la probabilità di sviluppare sintomi dissociativi e problemi di regolazione emotiva durante l’età adulta
[Psiche Santagostino].

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L’attaccamento disorganizzato e le sue gravi conseguenze

Il tipo d’attaccamento disorganizzato, conosciuto sotto l’appellativo di attaccamento non risolto/disorganizzato durante l’età adulta, rappresenta indubbiamente la forma più critica tra quelle relative agli stili d’attaccamento insicuri. Esso origina prevalentemente da esperienze traumatiche come abuso o maltrattamenti nella fanciullezza o da rapporti problematici con figure parentali incapaci di elaborare le proprie sofferenze emotive. Quello che contraddistingue questa forma è una contraddittoria compresenza nel bambino della volontà sia d’avvicinarsi all’adulto sia quella oppositiva a sottrarsi al suo affetto. Tale ambiguità genera profonda confusione nel soggetto e compromette seriamente l’instaurazione delle dinamiche fiduciarie nelle relazioni interpersonali. Un soggetto che presenta tale modalità comportamentale nell’infanzia può crescere per diventare un adulto intricato in rapporti carichi d’intensità ed inevitabilmente conflittuali; lo studio ha identificato questo modello quale rilevante indicatore predittivo dello sviluppo del disturbo borderline di personalità.

La manifestazione dei comportamenti disorganizzati diventa evidente sin dai primissimi anni; essi non si limitano ai momentanei stati critici, ma influenzano significativamente il benessere psicologico a lungo termine dell’individuo, potenzialmente conducendo alla comparsa di fenomeni dissociativi ed episodi autoipnotici nella vita adulta. Esposti ripetutamente alla situazione paradossale di cercare conforto da una figura che li maltratta o li spaventa, i bambini con attaccamento disorganizzato sviluppano strategie di “cut-off” per limitare il sovraccarico sensoriale ed emotivo. Queste strategie, come chiudere gli occhi o distogliere lo sguardo in situazioni di stress, possono nel tempo manifestarsi anche a livello mentale, limitando i pensieri ansiogeni e causando una riduzione o perdita della capacità integratrice della mente.

Implicazioni cliniche: L’attaccamento disorganizzato ha implicazioni serie, inclusa la predisposizione a disturbi come il disturbo borderline di personalità e disturbi dell’umore come la depressione maggiore. Gli adulti con questo stile di attaccamento possono avere difficoltà a mantenere relazioni emotive stabili e possono mostrare segni di instabilità emotiva e comportamenti autolesivi
[Disorganizzazione dell’attaccamento]. La presenza di alcune patologie è frequentemente correlata all’attaccamento disorganizzato/non risolto. In particolare, emergono come significative le psicopatologie borderline, nonché il comportamento suicidario assieme a certi disturbi alimentari, con una particolare attenzione ai disturbi bulimici. Le gravose implicazioni che ne derivano evidenziano quanto sia fondamentale individuare e trattare in modo adeguato i traumi dell’infanzia insieme ai modelli di attaccamento disfunzionale, dal momento che tali elementi possono avere ripercussioni catastrofiche sulla salute psicologica degli individui coinvolti. Vista la complessità insita nell’attaccamento disorganizzato ed espressioni correlate, è indispensabile pianificare interventi terapeutici ad hoc capaci di ristabilire una sana integrazione emotiva, oltre a favorire relazioni caratterizzate da maggiore sicurezza funzionale. All’interno di tale panorama clinico, l’importanza della psicoterapia si rivela assolutamente centrale.

Il ruolo della psicoterapia e la speranza di guarigione

Sebbene i legami di attaccamento insicuri rappresentino un importante fattore di rischio per problemi psicopatologici e socio-emotivi, è fondamentale sottolineare che non tutti i bambini che crescono con un attaccamento ansioso svilupperanno necessariamente disturbi mentali in età adulta. La qualità dell’attaccamento è correlata a sintomi, ma non è un destino ineluttabile. Fattori sociali e il sostegno ricevuto giocano un ruolo significativo nella traiettoria evolutiva di un individuo. Ad esempio, la disponibilità dei genitori a rispondere ai segnali di aiuto e conforto dei figli è influenzata dalle condizioni sociali in cui la famiglia vive.

La psicoterapia offre una via fondamentale per affrontare le conseguenze dei traumi infantili e degli attaccamenti insicuri. Attraverso l’instaurazione di un clima di fiducia tra paziente e terapeuta, è possibile sentirsi accolti e iniziare un percorso di ascolto dei propri stati interni. L’obiettivo primario è quello di creare un “filo rosso” che ricongiunga corpo e mente, ovvero il mondo delle emozioni con il mondo delle parole. Le persone che hanno subito traumi spesso hanno difficoltà a comprendere i segnali del proprio corpo, reagiscono in modo disfunzionale alla frustrazione e possono manifestare rabbia eccessiva o distacco. La psicoterapia consente di riconnettersi con queste sensazioni, strutturare una capacità autoprotettiva e imparare a ricercare conforto in relazioni sane.

Una nozione fondamentale della psicologia cognitiva applicabile a questo tema è quella dei modelli operativi interni (IWM). Questi modelli mentali, sviluppati sulla base delle interazioni precoci, influenzano profondamente la percezione di sé e degli altri, e quindi il modo in cui affrontiamo le relazioni. Intervenire su questi modelli, attraverso la psicoterapia, permette di modificare le aspettative irrealistiche o negative riguardo a sé stessi e agli altri, aprendo la strada a interazioni più sane.

Neuroplasticità: Recenti scoperte indicano che il cervello mantiene una capacità di cambiamento anche dopo traumi infantili grazie alla neuroplasticità, un fenomeno che permette la riorganizzazione delle connessioni neurali. Attraverso la psicoterapia si possono attivare meccanismi di neuroplasticità che alterano l’elaborazione delle informazioni emotive e relazionali nel cervello. Questo apre a nuove prospettive, consentendo agli individui di sviluppare legami più stabili e gratificanti nell’età adulta
. [La teoria dell’attaccamento].

Riflettendo su questi concetti, siamo portati a considerare quanto le nostre esperienze più precoci plasmino il nostro modo di amare e di essere amati. Forse, osservando le dinamiche nelle nostre relazioni, possiamo trovare degli indizi sulle ferite non sanate del passato. Riconoscere queste ferite è il primo passo verso la guarigione. E la consapevolezza che il cambiamento è possibile, grazie alla plasticità del nostro cervello e al potere curativo delle relazioni empatiche, ci offre una speranza concreta per un futuro di relazioni più sane e appaganti. Non è un percorso semplice, ma è un percorso che vale la pena intraprendere.

Glossario:
  • Attaccamento disorganizzato: uno stile di attaccamento in cui il bambino presenta comportamenti conflittuali verso il caregiver, riscontrabile in situazioni di abuso o maltrattamento.
  • Modelli Operativi Interni (IWM): rappresentazioni mentali costruite dall’individuo basate sulle esperienze di attaccamento nella prima infanzia, che influenzano come percepiamo noi stessi e le relazioni future.
  • Neuroplasticità: la capacità del cervello di modificarsi e adattarsi in risposta a nuove esperienze o traumi, facilitando così cambiamenti positivi anche in età adulta.


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