Allattamento e disturbi alimentari: quando il nutrimento diventa una sfida emotiva

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  • Uno studio USA non trova legami tra allattamento e disturbi alimentari in adolescenza.
  • Il 50-80% delle neomamme sperimenta il «maternity blues».
  • La depressione post-partum (DPP) colpisce il 10-15% delle donne occidentali.
  • L'ARFID è un disturbo riconosciuto nel DSM-5, senza preoccupazione per il peso.
  • La «kangaroo mother care» (KMC) migliora il benessere del neonato.

Studi recenti hanno sollevato interrogativi riguardo a una credenza consolidata nel tempo: l’allattamento al seno è sempre stato visto come un fattore protettivo universale contro i disturbi alimentari durante l’adolescenza. In contraddizione con le attese derivate dai comprovati vantaggi fisiologici dell’allattamento, un’indagine svolta su giovani negli Stati Uniti non ha trovato alcuna connessione rilevante fra la pratica dell’allattamento al seno (né rispetto alla sua durata) e il rischio di manifestare comportamenti bulimici o disordini alimentari riconosciuti clinicamente. Sebbene questo risultato possa presentare alcune limitazioni metodologiche legate allo studio stesso, esso suggerisce che il nesso tra esperienze nutritive precoci ed emergenza delle malattie legate all’alimentazione negli anni successivi risulti molto più articolato rispetto a quanto si fosse pensato fino ad ora. È cruciale ribadire però che i moltissimi vantaggi comprovati dall’allattamento materno per la salute fisica dei bambini continuano a costituire uno dei fondamenti principali della pediatria contemporanea e delle politiche sanitarie pubbliche, esortando quindi le madri a non lasciarsi influenzare da tali risultati particolari.

Recenti studi suggeriscono che l’allattamento al seno non è solo associato alla salute fisica, ma può anche influenzare il benessere psicologico. È stato osservato che l’allattamento al seno non provoca né protegge dai disturbi alimentari, ma svolge un ruolo significativo nella costruzione della relazione madre-bambino. Inoltre, la ricerca evidenzia anche che l’allattamento al seno potrebbe non offrire protezione contro le problematiche alimentari future.

La prima esperienza di nutrizione rappresenta una tappa cruciale per la costruzione di una relazione sana con il cibo e con il proprio corpo. Sebbene l’allattamento al seno offra un modello potenziale di autoregolazione basato sui segnali di fame e sazietà del neonato, il modo in cui l’esperienza viene vissuta e interpretata sia dalla madre che dal bambino può influenzare la successiva percezione del cibo. La predisposizione del genitore a interpretare correttamente i segni della fame e della sazietà nel bambino, differenziandoli dai bisogni emotivi quali il bisogno d’affetto o la noia stessa, è assolutamente fondamentale, senza distinzione riguardo al metodo nutritivo adottato (allattamento al seno oppure biberon). Risulta evidente che confondere la fame con esperienze emozionali, ad esempio utilizzando il cibo come strumento consolatorio o distraente, può costituire una pietra miliare nello sviluppo delle difficoltà alimentari nell’età adulta; problemi quali l’anoressia nervosa, la bulimia nervosa e il disturbo da binge-eating emergono frequentemente durante momenti delicati dello sviluppo individuale come quelli legati all’adolescenza.

Questa complessità invita a riflettere sull’urgenza di esaminare gli elementi precoci associati ai rischi per i disturbi dell’alimentazione: questi aspetti sembrano essere tuttora carenti sia in termini investigativi sia nella loro piena comprensione. In questo contesto, l’allattamento rappresenta un campo d’indagine privilegiato poiché racchiude dinamiche interazionali tra madre e bambino, nonché processi implicanti nella regolamentazione dei comportamenti alimentari; si rivela quindi essenziale identificare possibili indicatori che pongono in luce vulnerabilità oppure resilienza rispetto alle future difficoltà alimentari. Superato un approccio riduttivo all’allattamento considerandolo solamente come una prassi nutritiva, risulta necessario indagare le sue molteplici dimensioni psicologiche e interpersonali; queste ultime si rivelano cruciali nel plasmare lo sviluppo psichico infantile.

Le recenti indagini scientifiche cominciano a penetrare nelle sottili sfumature delle prime interazioni legate all’alimentazione, rivelando come tali meccanismi possano influenzare la futura relazione con il cibo stesso. In particolare, l’allattamento al seno presenta una variabile di minore misurabilità riguardo all’assunzione nutritiva rispetto alla somministrazione tramite biberon; quest’ultimo consente infatti alla madre di ottenere dati più precisi su quanto viene ingerito dal bambino. La disparità nella percezione del controllo esercitato dai genitori potrebbe riflettersi sulle loro reazioni ai segnali trasmessi dal piccolo e guidarne così l’apprendimento della capacità d’autoregolamentazione nell’alimentazione. Investigare questi fattori diviene quindi cruciale per formulare piani preventivi efficaci che non si limitino alla promozione generale dell’allattamento materno, ma mirino ad esaminare anche i processi relazionali e psicologici fondamentali durante le primissime fasi dello svezzamento.

Salute mentale materna e allattamento: un binomio delicato

Il legame tra salute mentale materna e allattamento al seno è un tema di crescente rilevanza, riconosciuto da importanti organizzazioni sanitarie internazionali come l’OMS e l’UNICEF. Il periodo perinatale, che abbraccia la gravidanza e i primi anni di vita del bambino, rappresenta un momento di profonda trasformazione e vulnerabilità per la donna. In questa fase, non solo si affrontano cambiamenti fisici e ormonali significativi, ma si ridefiniscono i ruoli all’interno della famiglia e si sviluppa una nuova identità come genitrice. Questa transizione, sebbene potenzialmente arricchente, può anche essere fonte di stress e disagio emotivo, con un rischio stimato che una donna su cinque sviluppi un problema di salute mentale in questo periodo.

Il “maternity blues”, una condizione transitoria caratterizzata da tristezza, irritabilità, disturbi del sonno e dell’appetito, colpisce una percentuale considerevole di neomamme (50-80%) e, sebbene solitamente si risolva spontaneamente, aumenta di tre volte il rischio di sviluppare una depressione post-partum (DPP). Il Disturbo Post Partum (DPP) colpisce circa il 10-15% delle donne nei paesi occidentali; solitamente si manifesta nel 75%% dei casi entro i primi sei mesi dopo il parto. Le sue conseguenze possono essere estremamente influenti sull’equilibrio sia psicologico che fisico delle madri; ciò si riflette sulle relazioni interpersonali all’interno della coppia così come nello sviluppo complessivo del neonato. Eppure, nonostante questa condizione emerga come clinicamente significativa, è frequentemente trascurata o non trattata efficacemente a causa dello stigma sociale inerente ai problemi mentali. Questa situazione evidenzia l’assoluta necessità di inserire lo screening per la DPP insieme alla valutazione dei fattori psicosociali durante le visite prenatali così come quelle postnatali.

In modo sorprendente, ricevere una diagnosi riguardante disturbi psichiatrici nella madre non implica automaticamente il divieto all’allattamento al seno. Infatti, l’Organizzazione Mondiale della Sanità consiglia fortemente che l’allattamento può comportare benefici significativi per la salute mentale delle madri ed andrebbe incentivato anche in presenza di storie pregresse legate a depressione o ansia; questo vale anche per le neomamme che soffrono di DPP purché siano seguite adeguatamente da professionisti qualificati e abbiano sostegno familiare. La relazione tra allattamento e salute mentale materna presenta una dinamica reciproca: mentre l’allattamento potrebbe apportare vantaggi sul piano dell’umore della madre, le difficoltà riscontrate nell’avvio o nel mantenimento dell’allattamento stesso – insieme alla deprivazione del sonno correlata e al mancato soddisfacimento delle aspettative personali riguardo alla maternità – possono aggravare i sintomi depressivi già esistenti. L’approccio migliore in questi casi si basa sul dialogo aperto con la madre e su un supporto multidisciplinare che coinvolga il partner e altri caregiver. È essenziale che i professionisti sanitari che operano nel percorso nascita siano adeguatamente formati per riconoscere i sintomi della DPP e distinguere le alterazioni fisiologiche dello stato emotivo da una vera e propria patologia, offrendo un ascolto attivo e non giudicante.

La salute mentale materna durante l’allattamento è fondamentale. Come evidenziato dalla Società Italiana di Pediatria, l’allattamento non è controindicato nemmeno in caso di disturbi psichiatrici, a patto che vi sia un adeguato supporto.
Cosa ne pensi?
  • Questo articolo è davvero illuminante! Finalmente si sfata il mito......
  • Non sono d'accordo con l'enfasi sull'allattamento. Ci sono madri che......
  • 💡 Interessante il parallelismo tra allattamento e le prime 'lezioni di vita'......

ARFID e alimentazione infantile: una questione di evitamento e restrizione

Nell’ambito dei disturbi della nutrizione e dell’alimentazione, una categoria emergente e meritevole di attenzione è il Disturbo Evitante/Restrittivo dell’Assunzione di Cibo (ARFID), ufficialmente riconosciuto nel DSM-5. L’ARFID non è semplicemente una “schizzinoseria” tipica di alcune fasi dello sviluppo infantile, ma si configura come un disturbo clinico che può avere conseguenze significative sulla crescita e sul benessere psicosociale del bambino. Questo disturbo è caratterizzato da un persistente fallimento nel soddisfare adeguati bisogni nutrizionali o energetici, manifestato da una o più delle seguenti caratteristiche: significativa perdita di peso (o mancato raggiungimento del peso previsto per l’età), significativa carenza nutritiva, dipendenza dalla nutrizione enterale o da integratori orali, marcata interferenza con il funzionamento psicosociale.

A differenza dell’anoressia nervosa o della bulimia nervosa, nell’ARFID non vi è una preoccupazione per il peso o la forma del corpo. L’evitamento o la restrizione alimentare possono essere determinati da una serie di fattori, tra cui la sensibilità sensoriale esasperata (ad esempio, avversione a determinate consistenze, odori o sapori), la mancanza di interesse per il cibo o il mangiare, o la paura di conseguenze avverse legate all’alimentazione (ad esempio, paura di soffocare, vomitare o avere dolore addominale). Questi timori o avversioni possono derivare da esperienze negative pregresse legate all’alimentazione, come episodi di soffocamento, reazioni allergiche o problematiche gastrointestinali.

ARFID è stato riconosciuto come un disturbo alimentare specifico nel DSM-5. Recenti ricerche mostrano che l’ARFID può essere associato a specifiche esperienze sensoriali negative e può differire dalla comune schizzinosità infantile.

L’identificazione e l’intervento precoce nell’ARFID sono fondamentali per prevenire complicanze a lungo termine sulla crescita fisica, sullo sviluppo cognitivo e sulla salute mentale del bambino. Affrontare l’ARFID implica necessariamente una strategia integrata che riunisce figure professionali quali pediatri, nutrizionisti e psicologi; talvolta si rende necessaria la presenza di terapisti occupazionali esperti in questioni relative alla deglutizione e all’integrazione sensoriale. Il fulcro delle tecniche terapeutiche è rappresentato dalla costruzione di uno spazio culinario sano ed accogliente, oltre alla desensibilizzazione progressiva verso gli alimenti percepiti come minacciosi; si pone altresì attenzione all’acquisizione di nuove abitudini nell’alimentazione e alla gestione delle paure o delle ansie ad esse correlate. Fondamentale nella cura è il coinvolgimento attivo dei genitori: il loro apporto è determinante per plasmare le esperienze gastronomiche vissute dal proprio figlio ed offrire quel prezioso supporto emotivo. Pur essendo classificato come disturbo autonomo rispetto ad altri disordini alimentari, l’approccio iniziale verso il cibo durante l’allattamento può influenzare significativamente le scelte nutritive future. In effetti, una connessione precocemente compromessa caratterizzata da insicurezze o reazioni non adeguate agli stimoli della fame o della sazietà può accentuare i rischi per il piccolo nello sviluppo di difficoltà legate all’alimentazione, comprendenti condotte sia restrittive che evasive. Un’attenta analisi riguardo ai fattori di rischio e ai sistemi che ne determinano lo sviluppo, specialmente connessi alle prime interazioni alimentari, risulta fondamentale per attuare strategie preventive mirate. Questo approccio contribuisce a ottimizzare i risultati clinici nei bambini che soffrono del disturbo ARFID.

La relazione tra nutrizione precoce e benessere psicosociale: una prospettiva integrata

Il periodo che va dal concepimento ai primi due anni di vita, noto come i “primi 1000 giorni”, è un momento cruciale non solo per lo sviluppo fisico del bambino, ma anche per il suo sviluppo neuropsicologico e la costruzione delle fondamenta del benessere psicosociale. In questa fase, l’ambiente in cui il bambino cresce, le cure ricevute e la qualità delle relazioni interpersonali giocano un ruolo determinante nel modellare la sua traiettoria di sviluppo. L’alimentazione, e in particolare l’allattamento, non è solo una fonte di nutrimento essenziale, ma si configura anche come una delle prime e più intime esperienze relazionali tra madre e bambino. Attraverso il contatto fisico, lo sguardo e le risposte ai segnali del piccolo, l’allattamento contribuisce a creare un legame affettivo sicuro e a promuovere lo sviluppo cognitivo ed emotivo.

Il concetto di “Nurturing Care Framework”, o “cure che nutrono”, sottolinea l’importanza di fornire ai bambini nei primi 1000 giorni un ambiente sicuro, protettivo e amorevole, stimoli adeguati e nutrizione responsabile. In questo contesto, l’allattamento al seno non è solo una pratica nutrizionale ottimale, ma un’opportunità per rinforzare il legame madre-bambino e promuovere un sano sviluppo psicosociale. Il contatto precoce pelle a pelle, come quello promosso dalla “Kangaroo Mother Care” (KMC), ha dimostrato di migliorare il benessere immediato del neonato, ridurre la mortalità e la morbosità nei prematuri e aumentare il benessere materno. Questi risultati evidenziano il profondo impatto che la relazione e il contatto fisico durante l’alimentazione precoce possono avere sullo sviluppo complessivo del bambino.

Recenti ricerche mostrano che i legami affettivi sono potenziati attraverso pratiche come la Kangaroo Mother Care, evidenziando l’importanza del supporto nella prima infanzia per la salute mentale e fisica.

La promozione di una genitorialità responsiva, che implica la capacità di cogliere e rispondere in modo adeguato ai bisogni del bambino, è un elemento chiave per favorire un sano sviluppo psicosociale. In questo contesto emerge l’importanza cruciale della distinzione tra i segnali corporei provenienti dal nostro organismo che indicano fame o sazietà, rispetto alle esigenze emozionali individuali. Il partner maschile – soprattutto nella figura paterna – riveste una funzione vitale nel sostenimento dell’armonia tra madre e bambino; non solo contribuisce a facilitare pratiche come l’allattamento o le cure quotidiane rivolte al neonato, ma si fa promotore attivo nella creazione di uno stretto legame affettivo ed empatico. Progetti innovativi quali 4E-PARENT d’ispirazione europea hanno lo scopo preciso di incentivare fin dalla fase prenatale una concreta partecipazione paterna: questa evoluzione rappresenta un passo decisivo verso l’abbandono degli stereotipi tradizionali inerenti ai generi e alla realizzazione di una genitorialità paritaria che apporta benefici a tutti i componenti familiari. È importante riconoscere che esiste una connessione profonda tra il benessere psicologico delle madri e il corretto sviluppo dei bambini. Condizioni patologiche quali la depressione, così come stati ansiosi da parte della madre stessa, possono compromettere notevolmente le sue reazioni ai richiami del piccolo; ciò si ripercuote negativamente sulla crescita sociale ed emotiva dell’infante. Parallelamente è necessario garantire supporto qualificato riguardante gli aspetti psicologici femminili: tale assistenza deve includere strategie efficaci per affrontare situazioni stressanti o problemi potenzialmente collegati all’allattamento al fine di salvaguardarne lo stato psicofisico e tutelarne un sano percorso evolutivo nei propri figli. Rappresenta una necessità imprescindibile la cooperazione tra i professionisti della sanità al fine di garantire un supporto integrato alle famiglie, promuovendo sia l’allattamento, sia il benessere psicosociale di madri e bambini. Per raggiungere questo obiettivo è necessario adottare una strategia multidisciplinare che prenda in esame la molteplicità degli aspetti biologici, psicologici e sociali, i quali esercitano un’influenza significativa sul legame esistente tra la nutrizione nella prima infanzia e le implicazioni relative alla salute mentale nel lungo periodo.

Riflessioni sul futuro: dalla biologia alla relazione

Abbiamo indagato la complessa relazione tra l’allattamento al seno, i disturbi alimentari emergenti e la salute psicologica delle madri; ciò pone l’accento sulla necessità di considerare aspetti oltre quelli puramente biologici o nutrizionali. L’allattamento avviene all’interno di un quadro relazionale ed emotivo significativo capace di influenzare poi i futuri rapporti individuali col cibo e con sé stessi. Questa osservazione sollecita una profonda meditazione su quanto il cibo trascenda semplicemente il suo ruolo nutritivo per diventare un amalgama di emozioni prima vissute unitamente alle esperienze relazionali fondanti. Le scoperte nel campo della psicologia cognitiva suggeriscono infatti come le primissime esperienze generino dei modelli mentali capaci di orientare le modalità d’interpretazione della realtà circostante. In ambito alimentare tali interazioni iniziali hanno potere nel determinare visioni relative alla fame o alla sazietà; pertanto anche nell’attribuzione al cibo del significato sia confortante sia ansiogeno può risiedere una chiave interpretativa fondamentale. Se sin dalla giovane età un individuo assimila l’idea secondo cui gli impulsi verso il nutrimento siano risposta a sofferenze interiori piuttosto che necessità corporee autentiche, questo processo potrebbe dare origine a pattern comportamentali scorretti rispetto all’alimentazione man mano che cresce.

A un livello più avanzato, possiamo considerare la Teoria dell’Attaccamento. La qualità del legame di attaccamento tra madre e bambino, che si costruisce anche attraverso momenti quotidiani come l’allattamento, influenza la capacità del bambino di autoregolare le proprie emozioni e di sviluppare un senso di sicurezza. Un attaccamento insicuro potrebbe rendere il bambino più vulnerabile in futuro, anche in relazione alla gestione dello stress e delle emozioni attraverso il cibo. È come se le prime interazioni di cura, incluso l’atto di nutrire, creassero un “modello operativo interno” del modo in cui i bisogni vengono riconosciuti e soddisfatti. Se questo modello è distorto, a causa di risposte genitoriali incoerenti o inadeguate, le conseguenze possono manifestarsi su diversi livelli, inclusa la relazione con il cibo nell’adolescenza e oltre.

Riconoscere la profonda interconnessione tra biologia, psicologia e relazioni precoci è fondamentale per promuovere una salute alimentare davvero integrata, oltre i confini della semplice nutrizione.

Questo quadro ci invita a una riflessione personale profonda. Quanto siamo consapevoli delle prime esperienze nutrizionali e del loro potenziale impatto sul nostro rapporto con il cibo oggi? Pensare all’allattamento o alle prime pappe non solo come momenti di nutrimento, ma come prime lezioni di vita sul riconoscimento dei bisogni, sull’autoregolazione e sulla gestione delle emozioni, può illuminare aspetti del nostro comportamento alimentare che altrimenti rimarrebbero in ombra. Forse è proprio in quelle prime interazioni che risiedono le radici di alcune delle sfide che affrontiamo oggi nel nostro rapporto con il cibo e con il nostro corpo. Questa consapevolezza non è un giudizio, ma un invito a guardare con maggiore comprensione e compassione verso noi stessi e verso le dinamiche complesse che ci hanno plasmato.

La profonda interconnessione tra biologia, psicologia e relazioni precoci richiama l’attenzione sull’importanza di pratiche nutrizionali integrate che si occupano delle radici emotive del rapporto con il cibo.
Glossario:
  • ARFID: Disturbo Evitante/Restrittivo dell’Assunzione di Cibo, disturbo alimentare ben definito nel DSM-5 caratterizzato da una mancata assunzione nutritiva adeguata, spesso senza preoccupazione per il peso.
  • DPP: Depressione Post-Partum, una condizione che colpisce un’alta percentuale di neomamme e che può influenzare negativamente il benessere del bambino.
  • Kangaroo Mother Care (KMC): Approccio di cura neonatale che incoraggia il contatto pelle a pelle tra il neonato e la madre, dimostrando chiari benefici per la salute.

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