- Quasi il 40% degli adulti con dolore cronico mostra segni di depressione o ansia.
- Il 39% dei pazienti con dolore cronico presenta sintomi clinici di depressione.
- La kinesiofobia induce ad adottare strategie protettive che diminuiscono la mobilità.
La relazione fra le lesioni corporee e i problemi legati alla sfera psichica rappresenta uno degli aspetti più affascinanti del dibattito contemporaneo nell’ambito medico-psicologico. Un esempio emblematico emerge nell’analisi delle condizioni croniche o ricorrenti, quali l’instabilità della spalla; qui si evidenziano fenomeni quali difficoltà nel gestire doli persistenti, accompagnati da una notevole sconfitto funzionale, i quali esercitano una notevole pressione sul benessere mentale dell’individuo colpito. Gli effetti risultanti da incidenti oppure affezioni muscolo-scheletriche sono tali da travalicare il semplice discomfort fisico: ciò pone in evidenza una realtà in cui avviene costantemente una sottile interrelazione tra dimensione corporea ed emozionale; appunto questo vissuto doloroso può facilmente diventare impulso nella comparsa o nel peggioramento dei disordini mentali. Varie ricerche documentano che stati d’animo come l’ansia e l’depressione sono comuni tra coloro che affrontano situazioni caratterizzate dalla persistenza del dolore cronico, compreso quello associato alle problematiche della spalla. Un’analisi che ha coinvolto un totale di 375 studi ha rivelato una sorprendente connessione tra il dono persistente e il disagio a livello psicologico. È stato sottolineato che quasi il 40% degli adulti affetti da dolore cronico mostra manifestazioni cliniche significative di depressione o ansia. [Johns Hopkins Medicine]. Soggetti che sembrano essere più inclini a sperimentare queste difficoltà psicologiche includono donne, giovani e individui con fibromialgia.
- Il 39% dei pazienti con dolore cronico evidenziava sintomi clinici di depressione.
- Il 40% presentava evidenze cliniche di ansia.
- Il 37% soddisfaceva i criteri diagnostici per il disturbo depressivo maggiore.
- Un disturbo d’ansia generalizzato era presente nel 17% dei casi.
La costante preoccupazione per il dolore, la paura di compiere movimenti che potrebbero scatenare una recidiva di instabilità o una nuova lussazione, e la frustrazione legata all’impossibilità di partecipare ad attività prima considerate normali, creano un terreno fertile per l’insorgenza di stati ansiosi. Questa ansia può manifestarsi in vari modi, dalla preoccupazione eccessiva per la propria condizione fisica fino a veri e propri attacchi di panico. Parallelamente, la limitazione delle attività, l’isolamento sociale che ne può derivare e la percezione di una perdita di controllo sulla propria vita possono condurre a sentimenti di tristezza, demotivazione e, in alcuni casi, a un quadro depressivo conclamato. L’individuo si trova nell’impossibilità di eseguire le proprie mansioni lavorative così come anche le attività ludiche oppure le elementari azioni quotidiane senza provare un senso acuto di sofferenza o apprensione.
Tale condizione porta a una condizione di dipendenza nei confronti degli altri e alla perdita dell’autonomia personale, che erode profondamente la stima in se stessi e la propria immagine corporea; ciò facilita l’insorgere di stati depressivi. Occorre quindi riconoscere che il dolore cronico trascende la mera dimensione fisica: esso rappresenta piuttosto una realtà sfaccettata plasmata da elementi biologici, psicologici ed ecosociali. La sua cronicità può intaccare le reti neurali coinvolte nel processo del dolore, aumentandone la sensibilità attraverso meccanismi del sistema nervoso centrale; questo genera una spirale negativa dove il medesimo dolore risulta maggiormente evocabile ed estremamente complicato da affrontare. Si tratta del fenomeno chiamato sensibilizzazione centrale, utile per chiarire taluni aspetti nei quali la percezione dolorosa appare esageratamente alta rispetto all’effettiva lesione tessutale subita dai pazienti; nondimeno, sono evidenti anche gli impatti significativi dei vari aspetti psichici sulla gestione della situazione dolente. [State of Mind].
Definizione di dolere cronico: Secondo l’IASP, il dolore cronico è un’esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole associata o meno a danno tessutale, che perdura per più di tre mesi dall’evento scatenante. Questa condizione può alterare le abitudini di vita e portare a comorbilità con sintomi ansioso-depressivi.
Inoltre, la paura del movimento, o cinesiofobia, è un aspetto centrale nel mantenimento del dolore e dell’instabilità. I pazienti, per evitare il dolore o il rischio di nuove lesioni, tendono a limitare l’uso del braccio e della spalla, creando schemi motori disfunzionali che, a lungo termine, possono peggiorare la condizione muscolo-scheletrica e aumentare la rigidità. Questa evitazione del movimento è spesso alimentata dall’ansia e dalla convinzione, a volte errata, che il movimento sia dannoso. Rompere questo circolo vizioso richiede un approccio che non si limiti alla terapia fisica, ma che includa anche strategie per affrontare la paura e ripristinare la fiducia nel proprio corpo.
La kinesiofobia rappresenta una forma estrema e illogica di timore associata all’esecuzione di qualsiasi movimento. Questa condizione potrebbe indurre gli individui a adottare strategie protettive che, nel tempo, risultano in una diminuzione della propria mobilità e in un’inevitabile compromissione della qualità della vita. [FisioScience]. La valutazione e il trattamento di questa paura devono essere considerati parte integrante del percorso riabilitativo.
Cosa include il trattamento della kinesiofobia? L’intervento prevede esposizioni graduali a movimenti temuti, il lavoro sulla rappresentazione cognitiva del dolore, e l’insegnamento di tecniche di rilassamento. Queste strategie mirano a ridurre la paura e facilitare il ritorno ad attività quotidiane senza ansia.
Le evidenze suggeriscono una significativa correlazione tra la presenza di disturbi del sonno e l’esperienza del dolore cronico. L’insonnia o un sonno disturbato possono amplificare la percezione del dolore e peggiorare l’umore, contribuendo ulteriormente al deterioramento della salute mentale. Questo evidenzia l’importanza di considerare la persona nella sua interezza, riconoscendo come i diversi aspetti della sua esperienza siano strettamente interconnessi e influenzino reciprocamente.
L’approccio integrato: fisioterapia e psicologia in sinergia
Di fronte a questa complessa interazione tra lesione fisica e disagio psicologico, emerge la necessità di un approccio terapeutico olistico e integrato che veda la stretta collaborazione tra diverse figure professionali. In particolare, per condizioni come l’instabilità della spalla, un percorso che combini la fisioterapia con il supporto psicologico rappresenta la strada più efficace per un recupero completo e duraturo.
Obiettivi della fisioterapia:
– Ripristinare la funzionalità articolare.
– Rinforzare la muscolatura stabilizzatrice della spalla. – Migliorare la propriocezione e ridurre il dolore.
Il fisioterapista ha il compito fondamentale di ristabilire il normale controllo motorio della spalla, insegnando al paziente come muoversi in sicurezza e gradualmente aumentare il carico e il range di movimento. Tuttavia, la riabilitazione fisica da sola potrebbe non essere sufficiente se non vengono affrontati anche gli aspetti psicologici correlati. È qui che entra in gioco la figura dello psicologo, e in particolare di uno psicologo esperto nella gestione del dolore cronico e dei disturbi d’ansia e depressivi.
Terapia Cognitivo-Comportamentale (TCC): Un approccio particolarmente efficace per aiutare i pazienti a ristrutturare le convinzioni negative sul dolore e sulle proprie capacità, a sviluppare strategie di coping più adattive e a ridurre la paura del movimento.
Attraverso la TCC, i pazienti imparano a riconoscere il legame tra pensieri, emozioni e sensazioni fisiche e a utilizzare tecniche di rilassamento e gestione dello stress per ridurre l’intenzità del dolore e dell’ansia. Vengono insegnate abilità per affrontare le situazioni difficili, gestire le ricadute del dolore e mantenere un livello di attività adeguato, superando la cinesiofobia.
Un esempio concreto di questa integrazione è l’uso di tecniche di biofeedback, che possono essere utilizzate sia dai fisioterapisti che dagli psicologi. La pratica del biofeedback consente ai soggetti coinvolti di osservare in tempo reale specifiche funzioni fisiologiche (quali la tensione dei muscoli oppure la frequenza cardiaca) e apprendere modalità per regolarle in modo volontario al fine di alleviare il dolore e lo stress accumulati. Questo metodo si presenta come uno strumento significativo attraverso il quale il paziente può sviluppare una sensazione più solida di controllo su sé stesso e sulla sua condizione sanitaria.
La rilevanza dell’approccio multidisciplinare risulta evidente considerando che la riabilitazione da un trauma complesso come quello legato all’instabilità della spalla trascende la mera guarigione tissutale o il rafforzamento muscolare; include inoltre un fondamentale percorso verso la riconquista della fiducia corporea e la restaurazione delle abilità necessarie per ritornare alle proprie attività quotidiane senza timori. In questa cornice, l’apporto sociale assume una funzione determinante: i familiari, gli amici e i gruppi solidali formati da individui affetti da patologie simili contribuiscono a creare un ambiente empatico e incoraggiante, essenziale affinché ciascun individuo possa sperimentarsi al meglio durante tale sfida personale.

La riabilitazione psicologica, intesa come parte integrante del percorso riabilitativo, si concentra sull’aiutare il paziente a ricostruire la propria identità e il proprio ruolo sociale al di là della condizione fisica. Questo include il lavoro sulla motivazione, sulla capacità di stabilire obiettivi realistici e sul superamento delle barriere psicologiche che ostacolano il ritorno alle attività. Per i pazienti con instabilità di spalla che sono anche sportivi, questo aspetto è particolarmente critico, poiché il timore di una nuova lesione può impedire il ritorno all’attività agonistica o ricreativa. Insegnare tecniche di visualizzazione, gestione dell’ansia pre-gara e strategie per affrontare la pressione può fare la differenza tra un ritorno di successo allo sport e l’abbandono dell’attività.
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Il ruolo del supporto sociale e della riabilitazione psicologica
Il percorso di recupero da una condizione come l’instabilità della spalla, soprattutto quando accompagnata da dolore cronico e turbolenze psicologiche, non può prescindere dal sostegno del contesto sociale e da una mirata riabilitazione psicologica. L’individuo affetto da questa patologia si trova spesso ad affrontare non solo il disagio fisico, ma anche una serie di sfide emotive e sociali che possono ostacolare il processo di guarigione e il ritorno a una vita piena e attiva.
Il supporto sociale è vitale: La rete di relazioni con familiari, amici, colleghi e la comunità in generale fornisce un ambiente di comprensione, accettazione e incoraggiamento, riducendo il senso di isolamento.
I familiari e gli amici possono fornire un aiuto pratico nella vita di tutti i giorni, ma soprattutto un sostegno emotivo inestimabile. La loro comprensione e pazienza di fronte alle difficoltà del paziente contribuiscono a ridurre lo stress e a rafforzare la sua riserva psicologica. Esistono anche gruppi di supporto specifici per persone con dolore cronico o patologie muscolo-scheletriche, dove è possibile confrontarsi con chi vive esperienze simili, scambiare consigli, imparare strategie di gestione e sentirsi parte di una comunità. La partecipazione a questi gruppi può infondere coraggio, ridurre il senso di stigma e fornire modelli positivi di adattamento alla condizione.
Accanto al supporto sociale informale, la riabilitazione psicologica strutturata rappresenta un pilastro del percorso terapeutico integrato. Questa non si limita a fornire un sostegno emotivo generico, ma si concentra su interventi mirati volti a migliorare l’atteggiamento del paziente nei confronti del dolore e della propria condizione, a sviluppare nuove strategie di coping e a promuovere un ritorno graduale e sicuro alle attività.
Obiettivi della riabilitazione psicologica:
– Affrontare i pensieri e le emozioni negative legate alla lesione.
– Fornire strumenti per affrontare l’ansia e alleviare lo stress.
– Aumentare l’interazione sociale e le capacità funzionali del paziente.
Il processo di riabilitazione psicologica può includere sia incontri singoli che sessioni collettive condotte da uno specialista in psicologia. Durante queste interazioni, gli individui hanno modo di confrontarsi con i sentimenti negativi derivanti dalla loro condizione fisica; ciò comprende paure legate al movimento stesso, frustrazioni per le limitazioni dovute alla patologia o un profondo dolore associato all’abbandono dei propri ruoli socialmente attivi.
Un aspetto chiave della riabilitazione cognitiva si focalizza sull’autoefficacia, intendendola come quella convinzione personale nella capacità di affrontare situazioni avverse. Persone caratterizzate da una forte autoefficacia sono spesso maggiormente inclini a prendere parte attivamente al proprio processo guaritivo; ciò implica anche una costante adesione alle linee guida della terapia fisioterapica ma porta anche a esiti più soddisfacenti rispetto ai risultati desiderati. Il ruolo dello psicologo consiste nell’accompagnare ciascun soggetto nella scoperta delle proprie risorse personali; oltre a questo compito c’è quello fondamentale di impostare traguardi praticabili nonché festeggiare ogni piccolo risultato conquistato lungo questo sentiero terapeutico ben definito dal concetto stesso di autoefficacia. L’ambito della riabilitazione psicologica comprende anche l’affrontare la paura delle recidive. Tale timore emerge con particolare insistenza nei casi di instabilità dell’articolazione scapolare; infatti, l’incidenza di un nuovo episodio lesivo, quali una lussazione o una sublussazione, risulta avere ripercussioni significative sia sul piano fisico che su quello emotivo. Mediante metodologie come l’esposizione progressiva, il paziente viene guidato ad affrontare quei movimenti e quelle attività da cui è afflitto in un contesto protetto e controllato, favorendo così un processo di recupero della fiducia nella stabilità articolare.
Oltre la lesione: costruire resilienza e benessere
La gestione dell’instabilità della spalla e del dolore cronico ad essa associato offre una prospettiva privilegiata per riflettere sul legame indissolubile tra corpo e mente e sull’importanza di un approccio terapeutico che guardi alla persona nella sua interezza. Al di là delle terapie specifiche per la lesione fisica e del supporto psicologico per affrontare il disagio emotivo, l’esperienza di convivere con una condizione cronica può diventare un’opportunità per sviluppare resilienza e rafforzare il proprio benessere psicologico a lungo termine.
Nella psicologia cognitiva, una nozione fondamentale è che la nostra interpretazione degli eventi influenza profondamente le nostre emozioni e i nostri comportamenti. Di fronte al dolore o alla limitazione fisica, i nostri pensieri su ciò che sta accadendo, sul suo significato per il nostro futuro e sulla nostra capacità di affrontarlo, plasmano la nostra esperienza.
Esempi di pensieri costruttivi: – “Anche se ho questa difficoltà, posso trovare nuovi modi per essere attivo e realizzare i miei scopi”.
La terapia cognitivo-comportamentale applicata al dolore cronico lavora proprio su questo: identificare e modificare quei modelli di pensiero disfunzionali che intrappolano l’individuo in un ciclo di sofferenza e passività.
Un aspetto più avanzato, eppure accessibile alla nostra riflessione quotidiana, della psicologia cognitiva è il concetto di mindfulness e la sua applicazione nella gestione del dolore. La mindfulness ci invita a portare l’attenzione al momento presente, osservando le nostre sensazioni fisiche, i pensieri e le emozioni con un atteggiamento di accettazione e non giudizio. Non si tratta di negare il dolore, ma di imparare a relazionarsi con esso in modo diverso, riconoscendo che è una sensazione transitoria che non definisce la nostra intera esistenza. Attraverso la pratica della mindfulness, si può sviluppare una maggiore consapevolezza dei segnali del proprio corpo, imparare a distinguere tra il dolore “puro” della sensazione e la sofferenza che deriva dalla nostra reazione ad esso (paura, rabbia, tristezza), e acquisire una maggiore capacità di “stare” con il disagio senza esserne sopraffatti. Questa capacità può essere incredibilmente liberatoria per chi convive con dolore cronico.
Importanza di un approccio integrato: “L’attenzione deve essere rivolta non solo alla lesione ma anche il supporto psicologico per gestire l’ansia e il dolore è cruciale per il recupero.”
[Il Sole 24 Ore]
Riflettere su questi concetti ci porta a considerare che, anche di fronte a sfide fisiche significative, abbiamo una capacità intrinseca di influenzare la nostra esperienza interiore. Non possiamo sempre eliminare la causa del dolore o ripristinare completamente la funzionalità di un’articolazione danneggiata, ma possiamo lavorare sulla nostra relazione con la sofferenza, sulla nostra percezione delle nostre capacità e sulla nostra apertura a trovare gioia e significato in nuove forme.
Glossario:
- Dolore cronico: dolore che persiste per più di tre mesi, che può non essere direttamente collegato a un danno tissutale.
- Cinesiofobia: paura intensa e irrazionale del movimento, spesso associata a dolore fisico.
- Terapia cognitivo-comportamentale (TCC): un approccio psicoterapeutico che si concentra sulla modifica di pensieri disfunzionali e promuove strategie di coping efficaci.
- Mindfulness: pratica di consapevolezza che implica portare attenzione al momento presente con un atteggiamento di accettazione non giudicante.


L’esperienza dell’instabilità della spalla, con le sue limitazioni e le sue paure, può così trasformarsi da una fonte di disperazione in un catalizzatore per una maggiore consapevolezza di sé, una maggiore resilienza e un approfondimento della comprensione di cosa significhi veramente vivere pienamente, al di là delle sfide fisiche.