- L'Imperial College di Londra rivela che il 60% dei giocatori sperimenta un miglior benessere.
- L'organizzazione mondiale della sanità (oms) riconosce il gaming disorder.
- Studio del 2014 mostra alterazioni cerebrali legate al controllo degli impulsi.
Il mondo dei videogiochi, da tempo riconosciuto come una forma dominante di intrattenimento, rivela un lato meno esplorato e potenzialmente problematico: l’impatto psicologico degli “insuccessi” digitali. Lungi dall’essere mere frustrazioni passeggere, eventi come lo spegnimento improvviso della console durante una partita cruciale, sconfitte ripetute e significative, o l’incontro inaspettato con bug e glitch che compromettono l’esperienza ludica, possono innescare reazioni emotive intense e, in alcuni casi, durature. Questi episodi, che potremmo definire “traumi digitali”, meritano un’attenzione particolare nel panorama della psicologia cognitiva e comportamentale.
Le conseguenze di tali eventi non si limitano a un momentaneo dispiacere. In individui predisposti, ovvero coloro che già presentano una certa vulnerabilità psicologica o che sperimentano livelli elevati di stress nella vita reale, le frustrazioni videoludiche possono fungere da catalizzatori, esacerbando disturbi d’ansia preesistenti o contribuendo allo sviluppo di nuovi stati ansiosi. L’incapacità di raggiungere un obiettivo nel gioco, la perdita di progressi faticosamente accumulati, o l’impossibilità di controllare un sistema che dovrebbe essere fonte di svago, possono generare un senso di impotenza e fallimento che trascende il confine virtuale, riverberandosi sulla sfera emotiva dell’individuo.
È interessante notare che, contrariamente a quanto si possa pensare, diversi studi evidenziano anche l’aspetto positivo dei videogiochi. **Un’indagine realizzata all’Imperial College di Londra ha mostrato che il 60% dei giocatori sperimenta un accresciuto benessere psicologico grazie al gioco**. In particolare, i videogiochi open world, come la celebre serie “The Legend of Zelda”, sono risultati efficaci nel fornire un senso di evasione e significato [NeuroNews24]. Gli studi suggeriscono che tali giochi possano migliorare il benessere emotivo degli utenti, facilitando l’esplorazione delle proprie abilità e fornendo supporto in momenti di stress.
I videogiochi open world offrono esperienze di evasione cognitiva, spesso portando a una diminuzione di stress e sintomi depressivi.
Il legame tra frustrazione e disturbi dell’umore è un terreno fertile per l’indagine psicologica. Quando la delusione ripetuta nel contesto videoludico si trasforma in un sentimento persistente di inadeguatezza o tristezza, si apre la strada a problematiche più complesse. I meccanismi di coping, ovvero le strategie cognitive e comportamentali che gli individui sviluppano per gestire situazioni stressanti, giocano un ruolo cruciale nel determinare l’esito di queste esperienze. Un coping disadattivo, caratterizzato magari dal ritiro sociale, dalla negazione del problema, o dall’incapacità di elaborare le emozioni negative, può amplificare l’impatto dei “traumi digitali”, creando un circolo vizioso in cui la sofferenza emotiva spinge a rifugiarsi ulteriormente nel mondo virtuale, in un disperato tentativo di recuperare un senso di controllo o gratificazione. In questo scenario si profila l’evoluzione potenziale delle dipendenze comportamentali con particolare riferimento al gaming disorder. Nonostante i videogiochi siano considerati generalmente strumenti ricreativi – alcuni studi indicano anche benefici per la salute mentale dei più giovani –, un utilizzo smodato e indiscriminato, spinto spesso dal desiderio di sfuggire a esperienze negative (incluse quelle virtuali), potrebbe dar luogo a una progressiva perdita di autocontrollo. Questo fenomeno si traduce nell’attribuire sempre maggiore importanza ai giochi rispetto ad altre attività fondamentali della vita quotidiana; vi è inoltre la tendenza a proseguire nel loro utilizzo malgrado le ripercussioni dannose su aspetti quali la salute fisica e psicologica individuale o sull’ambito sociale. Una ricerca condotta in Australia poco meno di un anno e mezzo fa ha rivelato come questa forma di dipendenza sia capace di generare effetti collaterali fisici deleteri; ciò evidenzia l’influenza concreta che il panorama digitale esercita sul benessere globale dell’essere umano.
Il gaming disorder nel panorama clinico e le prospettive neuroscientifiche
L’Organizzazione Mondiale della Sanità, circa otto anni orsono, ha preso la storica decisione di riconoscere il gaming disorder come disturbo ufficiale nella sfera della salute mentale. Tale scelta rappresenta senza dubbio un momento cruciale nel contesto contemporaneo dell’assistenza psichiatrica poiché pone sotto i riflettori l’utilizzo problematico dei videogame, considerato ora come un fenomeno clinico meritevole dell’approfondimento necessario dal punto di vista diagnostico e terapeutico. In base alle linee guida emanate dall’OMS, gaming disorder “si identifica attraverso un comportamento ludico “persistente o ricorrente” che si distingue per tre aspetti fondamentali: innanzitutto la svalutazione del controllo sulle sessioni ludiche, seguita dalla crescente priorità accordata al gioco in confronto ad altre attività quotidiane ed infine dalla perpetuazione o dall’aumento delle pratiche videoludiche anche quando emergono ripercussioni negative tangibili. Per poter procedere con una diagnosi formale è indispensabile che tale condotta assuma rilevanza tale da compromettere significativamente diverse dimensioni vitali—sia esse personali che familiari, sociali, o lavorative—ed è richiesto che queste manifestazioni siano presenti per almeno 12 mesi consecutivi. Le neuroscienze rivelano una prospettiva intrigante riguardo ai correlati neurali legati al fenomeno del gaming disorder. Svariati studi dimostrano che gli individui con Internet Gaming Disorder presentano alterazioni fisiologiche in regioni cerebrali associate al controllo degli impulsi, così come a varie funzioni cognitive. Un’indagine condotta da Sun e colleghi nel 2014 ha evidenziato una riduzione della massa di materia grigia nelle aree cerebrali coinvolte nel governare l’impulsività e le capacità cognitive, suggerendo dunque che un uso assiduo dei videogiochi potrebbe compromettere in maniera rilevante la funzionalità cerebrale. [State of Mind].
L’indagine neuroscientifica si concentra anche sull’impatto a lungo termine dell’uso eccessivo di videogiochi sulla struttura e sul funzionamento del cervello. Una review del 2017 ha evidenziato come i videogiochi possano modificare il funzionamento e la struttura cerebrale, ma ha anche sottolineato che l’uso eccessivo può portare allo sviluppo di dipendenze. È fondamentale distinguere tra l’impatto generale dei videogiochi sul cervello (che può essere anche positivo in termini di capacità cognitive e di problem-solving) e le alterazioni associate all’uso patologico, che si configurano come disfunzioni che compromettono il benessere dell’individuo.
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Strategie di intervento e percorsi di cura
Alla luce dell’emergente fenomeno del gaming disorder e dei suoi possibili effetti negativi sulla salute mentale degli individui interessati, è imperativo adottare un approccio multidisciplinare. Questo implica la cooperazione di esperti quali psicologi, neuroscienziati e altri professionisti della salute. Il primo fondamentale passo consiste nel riconoscimento di tale problematica; un processo spesso complicato tanto per chi ne soffre quanto per i familiari stessi: questi ultimi sono frequentemente inclini a ridurre la gravità di simili comportamenti. Tra i segnali premonitori da tenere in considerazione vi sono: una notevole crescita nelle ore spese a giocare; manifestazioni di isolamento sociale; cali nelle prestazioni accademiche o lavorative; difficoltà nel sonno; stati di irritabilità o ansia in assenza della possibilità di giocare; infine un’inclinazione verso il gioco come mezzo per evitare emozioni negative.
Dopo aver identificato la presenza del disturbo sorge quindi la necessità di intraprendere percorsi terapeutici efficaci insieme ad appropriate strategie interventistiche. I centri specializzati nella gestione delle dipendenze tecnologiche – menzionati dalla Fondazione Veronesi – forniscono supporto essenziale attraverso terapie individualizzate nonché gruppi familiari e comunitari. Lo scopo principale consiste nell’assistere gli individui affinché sviluppino modalità più salutari di affrontare le proprie difficoltà emotive ed ottimizzino l’equilibrio tra tempo trascorso nel mondo videoludico e altre dimensioni della propria vita quotidiana. Inoltre, risulta cruciale costruire una rete sociale solida che consenta interazioni significative anche oltre lo spazio virtuale.
La Terapia Cognitivo Comportamentale (TCC) si è dimostrata efficace nel trattamento del gaming disorder, aiutando gli individui a identificare e modificare pensieri distorti legati al gioco e a sviluppare abilità di problem-solving.
Le terapie cognitivo-comportamentali (CBT) si sono dimostrate efficaci nel trattamento del gaming disorder, aiutando gli individui a identificare e modificare pensieri distorti legati al gioco, a sviluppare abilità di problem-solving e a resistere alle pulsioni compulsive. In alcuni casi, l’approccio terapeutico può includere anche l’uso di terapie digitali, come EndeavorRX, un videogioco approvato dalla FDA come trattamento per il deficit di attenzione nei bambini, a testimonianza del potenziale (ancorché agli albori) dei videogiochi stessi come strumenti terapeutici, seppur in contesti clinici e sotto supervisione medica. Questo ribadisce la complessità del rapporto tra videogiochi e salute mentale, che non è unidirezionale né esclusivamente negativo.
L’importanza della prevenzione è un altro aspetto fondamentale. Sensibilizzare genitori ed educatori sui segnali d’allarme, promuovere un uso consapevole e moderato della tecnologia, e incoraggiare lo sviluppo di interessi e attività alternative, sono passi cruciali per ridurre il rischio di dipendenza.
Riflessioni sul nostro rapporto con il digitale
Navigare nel contemporaneo, intessuto di fili digitali, ci pone dinnanzi a nuove inquietudini. Il confine tra svago e compulsione, tra il piacere effimero di un successo virtuale e il peso reale di una sofferenza silenziosa, si fa labile, quasi diafano. L’esperienza del “trauma digitale”, per quanto possa suonare insolita, ci invita a una riflessione profonda sul nostro rapporto non solo con i videogiochi, ma con la tecnologia in generale. Non si tratta di demonizzare uno strumento, ricco peraltro di potenzialità positive, ma di riconoscerne la forza e, di conseguenza, la necessità di un uso consapevole e misurato.
Una nozione base di psicologia cognitiva ci insegna che il nostro cervello, nella sua incessante ricerca di pattern e gratificazioni, può facilmente aggrapparsi a stimoli che offrono ricompense prevedibili e immediate. Nel contesto dei videogiochi, questo si traduce nella tentazione di perseverare in un’attività che ci promette un rapido riconoscimento, un senso di maestria, o la fuga da un’ansia latente. Esiste una funzione primordiale insita nella nostra natura biologica che ci induce a ripetere esperienze piacevoli o almeno tollerabili.
Ad approfondire questo aspetto troviamo una nozione sofisticata proveniente dalla psicologia comportamentale: il rinforzo intermittente. Nel momento in cui otteniamo riconoscimenti (che siano vittorie nel gioco oppure elementi rari acquisiti) non con regolarità ogni volta che agiamo, ma in modo aleatorio e imprevisto, il nostro comportamento – legato al videogioco – diviene particolarmente resistente all’estinzione. Qui si presenta uno dei grandi paradossi: invece di scoraggiarci, l’incertezza stimola la nostra determinazione, rendendo arduo interrompere questa attività ludica. Un approccio metodico verso questo meccanismo, integrato sapientemente nello sviluppo di vari videogame, potrebbe rivelarsi utile per chiarire le ragioni per cui talvolta sembriamo presi in trappola da cicli interminabili di svago.
Tuttavia, riflettere su questa situazione non equivale ad accusare i giocatori; piuttosto, dovrebbe guidarci a scoprire come operano tali dinamiche ed eventualmente ricercare supporto se ne avvertiamo la necessità. La salvaguardia della nostra salute mentale costituisce qualcosa di estremamente importante e, nell’attuale contesto digitale, essa richiede nuove forme d’attenzione nei confronti degli ambienti tanto reali quanto virtuali nei quali viviamo quotidianamente. La possibilità che un videogioco possa diventare uno strumento di cura, come nel caso del deficit di attenzione, ci suggerisce un percorso di integrazione, dove la tecnologia, se usata con saggezza e sotto guida esperta, può diventare un alleato per il nostro benessere. È un invito a un dialogo aperto, a un confronto onesto con noi stessi e con chi ci sta accanto, per navigare insieme le sfide e le opportunità che il mondo digitale ci offre.
- Gaming Disorder: Disturbo da gioco caratterizzato da un modello di comportamento di gioco persistente o ricorrente che compromette il funzionamento personale e sociale.
- Terapia Cognitivo Comportamentale (TCC): Approccio terapeutico efficace per trattare disturbi comportamentali e emotivi.
- Imperial College di Londra: Università di ricerca nota per i suoi studi nel campo della scienza e della tecnologia.
- DSM-5: Il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali rappresenta una fonte autorevole che delinea le norme necessarie per diagnosticare i disturbi della sfera psicologica.