- A Nettuno, un uomo ha aggredito i genitori con un martello, causando prognosi di 40 e 30 giorni.
- In Italia, 3 milioni affrontano problemi psicologici, ma 2 milioni non accedono alle cure.
- Maltrattamenti sui minori aumentati del 58% nell'ultimo decennio, con 113.892 vittime.
La cronaca recente riguardante un tentativo d’omicidio avvenuto a Nettuno, datata 8 luglio 2025, fa riaffiorare inquietanti interrogativi sull’aumento della violenza all’interno delle famiglie. Un uomo trentatreenne è stato arrestato in seguito a una spaventosa aggressione nei confronti dei suoi genitori settantatrenni; egli li ha colpiti incessantemente alla testa e al viso utilizzando un martello. In attesa degli esiti delle indagini ancora in corso, sembra che la brutalità sia esplosa da una normale controversia familiare. I due anziani sono riusciti a scappare verso casa di un vicino che ha subito contattato le autorità competenti. Dopo essere fuggito inizialmente dall’incidente, l’aggressore si è poi consegnato alle forze dell’ordine, i carabinieri, ammettendo immediatamente le proprie responsabilità. In seguito è stato condotto nel carcere situato a Velletri sotto l’accusa formale di tentativo d’omicidio. Gli agenti della polizia scientifica hanno recuperato il martello incriminante nel giardino del luogo dei fatti. Vittime traumatiche dell’evento violentissimo, rivelano significative lesioni; l’uomo presenta una prognosi stimata in quaranta giorni mentre per la donna si parla addirittura di trenta giorni.
Questo episodio, seppur isolato nella sua drammaticità, si inserisce in un contesto più ampio di violenza intrafamiliare che merita un’analisi approfondita, soprattutto in relazione ai fattori psicologici, sociali e familiari che possono innescare tali comportamenti. La violenza filiale, un tempo considerata un tabù, è oggi riconosciuta come una complessa problematica multifattoriale, le cui radici affondano in dinamiche relazionali, fragilità individuali e, non di rado, in disturbi psichici latenti o manifesti.

Le dinamiche della violenza filiale: un’analisi psicologica e sociale
La violenza filiale, che ha trovato una tragica manifestazione nell’episodio verificatosi a Nettuno, non deve essere considerata una mera anomalia; essa fa parte piuttosto di un insieme articolato che racchiude diversi aspetti della violenza intrafamiliare. Le origini del problema risiedono in elementi profondamente insiti sia sul piano psicologico sia su quello sociale e familiare. Sotto il profilo psicologico emerge frequentemente l’assenza delle necessarie competenze nella gestione dello stress unitamente all’incapacità d’esprimere emozioni nel modo appropriato: tali lacune sono alla base dei comportamenti aggressivi. In effetti, numerosi soggetti non riescono a elaborare strategie appropriate per contrastare stati d’animo quali frustrazione e ansia; ciò li porta inevitabilmente verso manifestazioni di aggressività. Inoltre, le difficoltà legate alla gestione delle emozioni – siano esse rancore o tristezza – si traducono spesso in reazioni esagerate quando ci si trova dinanzi a eventi ritenuti minacciosi o ingiusti. Ricerche recenti mostrano chiaramente che esperienze traumatiche passate, unite a periodi prolungati sotto forte stress, possono compromettere seriamente il controllo emotivo degli individui favorendo risposte più impulsive con ripercussioni violente sul contesto relazionale.
A livello familiare, dinamiche disfunzionali giocano un ruolo cruciale. La violenza psicologica in famiglia, per esempio, si manifesta attraverso offese, accuse, atti denigratori e minacce, creando un ambiente emotivamente tossico. L’indifferenza, sebbene meno visibile, può essere una forma di violenza psicologica altrettanto devastante, alimentando sentimenti di dubbio, confusione, solitudine e un profondo senso di vuoto nei figli. Queste condotte lesive compromettono lo sviluppo dell’identità affettiva dei ragazzi, basata su un rapporto fisico e diretto con gli altri. In un contesto dove i genitori faticano a far rispettare le regole, spesso per mancanza di tempo o per evitare conflitti, si tende a una eccessiva permissività. Questo, paradossalmente, può portare i figli a sentirsi meno supportati e meno sicuri, sviluppando un forte senso di frustrazione che può manifestarsi in comportamenti irrispettosi e aggressivi. Tale dinamica, definita “violenza filiale” o “aggressione dei figli verso i genitori”, è un segnale di un profondo malessere relazionale. Nel contesto sociale, l’attuale “società fluida”, dove i punti di riferimento sono meno definiti e le scelte si sono moltiplicate, contribuisce a un aumento dell’ansia e dello smarrimento, soprattutto tra le nuove generazioni. La realtà virtuale che ha in gran parte sostituito la realtà fisica e il costante bombardamento di informazioni e stimoli provenienti dai dispositivi digitali possono avere un impatto significativo sulla personalità dei giovani. L’identità, costruita su una “gamba cognitiva” (la capacità di elaborare informazioni complesse) e una “gamba emotivo-affettiva” (la capacità di vivere le relazioni e le emozioni), ne risente. Mentre i ragazzi sviluppano competenze cognitive elevate grazie all’accesso a numerose informazioni, spesso si trovano in difficoltà nel gestire le proprie emozioni nella vita di tutti i giorni. Questa discrepanza tra competenze cognitive e affettive può generare frustrazione e, in alcuni casi, sfociare in comportamenti aggressivi o autolesionisti, culminando in episodi tragici come il suicidio. Il timore verso il futuro, una sensazione che nelle generazioni precedenti risultava meno comune fra i giovani, si manifesta oggi come un fenomeno ampiamente condiviso. Tale condizione porta con sé una crescente percezione di isolamento e chiusura.
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La violenza filiale in Italia: dati e impatto sulla salute mentale
L’importanza del fenomeno relativo alla violenza filiale e alla violenza intrafamiliare trova una netta conferma nei dati italiani che delineano un contesto emergenziale riguardante la salute mentale dei cittadini; ciò risulta particolarmente preoccupante nel caso delle fasce più giovani della popolazione. Le stime indicano che circa tre milioni di individui in Italia si trovano a dover affrontare problematiche psicologiche; paradossalmente però ben due milioni non riescono ad accedere alle cure appropriate. Tale carenza è incisivamente avvertita soprattutto dalle nuove generazioni che frequentemente si ritrovano abbandonate a confrontarsi con ansie crescenti e stati d’animo complessi senza alcun sostegno adeguato. La celebrazione della Giornata Mondiale della Salute Mentale il 10 ottobre ha riportato alla ribalta queste tematiche critiche; i Dipartimenti di Salute Mentale hanno sottolineato l’urgenza dell’attribuzione di ulteriori risorse umane ed economiche al fine di aumentare la disponibilità degli specialisti.
Con riferimento ai bisogni emergenti tra i giovanissimi emerge un’evidente crescita nei disturbi alimentari così come nei disturbi della personalità e dello spettro autistico; contemporaneamente assistiamo a una dilagante diffusione delle dipendenze legate all’abuso sia di sostanze stupefacenti sia alcoliche. Questi scenari richiedono approcci innovativi unitamente a competenze altamente specializzate; meritevole inoltre sarebbe concentrare l’attenzione su interventi preventivi già durante il periodo prenatale così come sull’identificazione tempestiva delle problematiche legate allo sviluppo neuro-psicologico—fenomeno quest’ultimo radicalmente ancorato all’infanzia poiché identificabile nel 50% dei casi dall’età prenatale stessa. Dati recenti mostrano quanto il fenomeno sia preoccupante:
- 113.892 minori vittime di maltrattamenti, con un aumento del 58% rispetto al precedente quinquennio.
- La forma più comune di maltrattamento è la negligenza (37%) seguita dalla violenza assistita (34%).
La violenza intrafamiliare, sebbene non sempre esplicitamente classificata come “violenza filiale” nei dati generali, è un terreno fertile per lo sviluppo di tali comportamenti. I dati Istat mostrano che la violenza fisica è più frequente tra le straniere (25,7% contro 19,6%), mentre quella sessuale è più diffusa tra le italiane (21,5% contro 16,2%). In generale, emerge un persistente quadro di violenza di genere, con un numero elevatissimo di vittime. Per esempio, nel primo semestre del 2024, si è registrata una diminuzione degli atti persecutori (da 9.359 a 8.592, con un calo dell’8%) e delle violenze sessuali (da 2.991 a 2.923, con un calo del 2%), ma il fenomeno rimane comunque di vaste proporzioni. Il 90% degli stupri commessi in Italia è attribuibile a italiani, e il rischio maggiore di violenza si annida proprio nell’ambito domestico, confermando la centralità della famiglia come luogo di potenziale rischio.
Tipo di violenza | Percentuale |
---|---|
Violenza fisica | 12,9% (partner attuale) |
Violenza sessuale | 21,5% (italiane) |
Stalking | 21,5% delle donne |
Nonostante non ci siano statistiche specifiche sulla sola violenza filiale, un dato significativo viene dal Cismai (Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso all’Infanzia), che riporta 401.766 bambini e ragazzi presi in carico dai servizi sociali in Italia, di cui 77. A ben 493 risultano le persone vittime di abusi. Il tipo più diffuso di abuso è la negligenza, rappresentando il 37% dei casi, seguito da una significativa percentuale relativa alla sperimentazione della violenza assistita, che costituisce il 34%. Tali cifre, afferenti all’anno 2025, rivelano una preoccupante crescita del 58% nell’incidenza dei maltrattamenti sui minori nel corso dell’ultimo decennio; si segnala anche un incremento straordinario degli episodi abusivi all’interno delle mura domestiche. Inoltre, stando ai report della polizia criminale registrati nel 2020, emerge una crescita dell’11%, concernente le aggressioni rivolte a familiari o conviventi minorenni. Le statistiche presentate evidenziano dunque la necessità urgente di implementare strategie efficaci destinate a fornire supporto alle famiglie e ai giovani al fine di contrastare l’incremento della violenza e migliorare lo stato psico-emotivo generale.
Prevenzione e Intervento: una riflessione sulla salute della comunità
La violenza filiale, un tema complesso e doloroso, ci invita a una profonda riflessione sulla salute mentale della nostra società. Partendo da una nozione base di psicologia, il comportamentismo ci insegna che i comportamenti sono appresi e influenzati dall’ambiente. Nell’ambito familiare, questo significa che le dinamiche interattive, le reazioni dei genitori, il modo in cui vengono gestiti i conflitti e le emozioni, tutto contribuisce a modellare il comportamento dei figli. Se un giovane apprende che la violenza è un mezzo efficace per ottenere ciò che desidera, o per esprimere la sua frustrazione, è probabile che ricorra a tali meccanismi.
Andando più in profondità, con un’ottica rivolta alla psicologia cognitiva e ai traumi, comprendiamo che le esperienze emotive e le interpretazioni che i figli danno al comportamento dei genitori possono produrre “schemi cognitivi disfunzionali”. Un trauma infantile, ad esempio una violenza assistita o un maltrattamento, può lasciare cicatrici profonde, alterando la percezione di sé, degli altri e del mondo. Questi schemi possono manifestarsi in età adulta con difficoltà relazionali, impulsività e, nei casi più gravi, violenza. La frustrazione, la rabbia, la paura del futuro che vivono molti giovani, come evidenziato dai dati sulla salute mentale in Italia, non sono da sottovalutare: sono campanelli d’allarme, espressioni di un disagio profondo che, se ignorato, può degenerare in forme di aggressione verso gli altri o verso sé stessi.
- Violenza filiale: qualsiasi forma di aggressione esercitata dai figli sui genitori.
- Cismai: Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso all’Infanzia.
- Comportamentismo: teoria psicologica che postula che i comportamenti umani sono appresi dall’ambiente.
La nostra identità, pur plasmata dalle esperienze uniche e irripetibili della vita, trova la sua forza nelle relazioni autentiche. Il bombardamento di stimoli digitali e la “società liquida” non devono farci dimenticare l’importanza del contatto umano, dell’empatia e della condivisione emotiva. I genitori, e con essi tutte le istituzioni, hanno il compito di “essere presenti” in modo discreto ma concreto, offrendo un sostegno emotivo e valoriale. Educare significa anche insegnare la fatica, il valore del lavoro, e la capacità di accettare e superare la frustrazione, elementi cruciali per costruire resilienza. L’alleanza tra famiglia, scuola e sanità è fondamentale per affrontare i cambiamenti radicali della nostra epoca e prevenire un collasso sociale, promuovendo una cultura del benessere mentale che supporti i giovani nel costruire una vita ricca di relazioni significative e di strumenti per affrontare le sfide future.

