Tso e diritti del paziente: la sentenza che cambia le regole

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  • La Legge 180 ha segnato una svolta, chiudendo i manicomi.
  • La Corte Costituzionale (sentenza n. 76/2025) rafforza l'ascolto del paziente.
  • Tra il 25% e il 30% degli italiani ha disturbi mentali.
  • Nel 2023, i TSO sono stati 4.879, il 5,7% dei ricoveri.
  • L'articolo 32 della Costituzione sancisce il rispetto della persona.

L’argomento relativo ai diritti dei soggetti affetti da disturbi mentali si colloca al centro di una riflessione profonda sia sul piano etico che normativo. In Italia, l’evoluzione delle norme legislative ha visto interventi cruciali mirati alla salvaguardia della dignità individuale, cominciando dalla storica Legge n. 180/1978, la quale segnò l’abolizione degli OSPEDALI PSICHIATRICI nella volontà di favorire modelli assistenziali alternativi orientati verso la riabilitazione e integrazione sociale.

A questo punto temporale va riconosciuto come successive disposizioni abbiano ulteriormente rafforzato il quadro regolamentare esistente, ponendo l’accento su valori chiave quali il rispetto della persona e il diritto alla salute mentale. Si rivela quindi cruciale assicurarsi che le istituzioni sanitarie osservino le indicazioni legislative volte ad arginare violazioni nella sfera personale dei degenti trattati dal Servizio Sanitario Nazionale.

La tutela dei diritti dei pazienti psichiatrici in Italia è il risultato di un lungo e tortuoso percorso legislativo, scandito da riforme fondamentali che hanno cercato di bilanciare la necessità di cura con il rispetto dell’autonomia individuale. Capisaldi di questa evoluzione sono la Legge 180 del 1978, la cosiddetta “Legge Basaglia”, e successivamente la Legge 6 del 2004, che ha introdotto la figura dell’Amministratore di Sostegno. Queste normative hanno segnato un passaggio da un modello custodialistico, caratterizzato dall’isolamento e dalla coercizione dei pazienti negli istituti manicomiali, a un approccio più centrato sulla persona, che promuove il reinserimento sociale e la minimizzazione delle restrizioni alla libertà individuale.

Precedentemente alla Legge Basaglia, la condizione dei malati psichiatrici era spesso caratterizzata da una profonda violazione dei diritti umani. I manicomi erano luoghi di segregazione, dove le decisioni sulle cure venivano prese senza alcun coinvolgimento del paziente, spesso privo della capacità di esprimere validamente il proprio consenso o dissenso. La Legge 180 si configura come un’autentica rivoluzione culturale, ponendo fine all’era dei manicomi e promuovendo l’istituzione di servizi locali dedicati alla salute mentale. Questo provvedimento legislativo ha sancito per la prima volta l’importanza della salute mentale oltre la semplice assenza della patologia; esso definisce tale stato anche in termini di equilibrio psicofisico e integrazione sociale. In questo modo sono stati ampliati i diritti previsti dalla Costituzione a favore delle categorie più vulnerabili all’interno della popolazione. La finalità principale era quella di assicurare forme assistenziali orientate verso modelli riabilitativi piuttosto che su pratiche repressive legate al confinamento.

Tuttavia, anche con progressi significativi nella cura psichiatrica contemporanea, le metodologie terapeutiche non coercitive continuano a rivestire un ruolo cruciale nel dibattito pubblico odierno. Situazioni cliniche complesse possono esigere interventi sanitari obbligatori (TSO), secondo quanto stabilito dalla Legge 833 del ’78 che ha dato vita al Servizio Sanitario Nazionale italiano. È importante sottolineare che l’applicazione del TSO deve rimanere intesa come una misura eccezionale ed emergenziale, da attivare esclusivamente nei momenti critici dell’evoluzione patologica; queste circostanze richiedono attenzione poiché qualsiasi omissione terapeutica potrebbe risultare dannosa per la salubrità del paziente stesso ed escludere alternative che potrebbero essere adottate lontano dal setting ospedaliero.

Di recente, la Corte Costituzionale ha emesso un’importante sentenza (n. 76/2025) che rafforza i diritti dei pazienti psichiatrici, stabilendo che ogni paziente deve essere ascoltato durante il procedimento di convalida del TSO. Questo segna un allontanamento dall’approccio precedente, in cui il paziente era spesso considerato incapace di intendere e volere durante tali procedure.

La Costituzione italiana, all’articolo 32, stabilisce che “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La violazione dei limiti imposti dal rispetto della persona umana è categoricamente vietata dalla legge in ogni circostanza”. Questo principio sottolinea l’importanza del consenso informato e della dignità del paziente, anche in situazioni di malattia mentale grave. La figura del Garante del paziente psichiatrico, come proposto nella PDL 919, riflette la continua attenzione verso la protezione di questi diritti. Il Garante sarebbe un’istituzione dedicata a rappresentare i diritti del paziente, fornendo un ulteriore livello di tutela e advocacy, specialmente in contesti dove la vulnerabilità potrebbe portare a una perdita di autonomia e riconoscimento.

L’amministratore di Sostegno: uno strumento flessibile per la tutela del paziente

Con l’emanazione della Legge 6 datata 9 gennaio 2004 si è assistito all’emergere dell’Amministratore di Sostegno (AdS), il quale ha rappresentato un notevole progresso nel campo della salvaguardia delle persone carenti totalmente o parzialmente nel loro senso d’autonomia. Questa legge ha apportato modifiche al Titolo XII del Libro I del codice civile e si va a sommare agli strumenti già esistenti quali l’interdizione e l’inabilitazione; tuttavia presenta una finalità diversa e più agile: qui non si tratta tanto della salvaguardia dei patrimoni materiali quanto dal rafforzamento delle tutele personali evitando così limitazioni eccessive alla capacità decisionale.

Il fine perseguito dalla Legge 6/2004 è stato quello di introdurre uno strumento legale altamente personalizzabile ed elastico per meglio soddisfare le esigenze individuali dei beneficiari stessi. Contrariamente all’interdizione – tipicamente vista come soluzione ultima che limita fortemente – l’Amministratore di Sostegno offre possibilità diverse suggerendo interventi graduati secondo il livello reale d’indipendenza individuale. Un approccio particolarmente rilevante soprattutto nei casi relativi ai pazienti psichiatrici: spesso tali individui sono perfettamente capaci nella gestione autonoma degli aspetti ordinari quotidiani ma possono incorrere in difficoltà significative quando devono occuparsi di cure mirate o affrontare circostanze complesse dovute alla scarsità di coscienza circa la propria condizione clinica. Un rapporto redatto nel 2023 rivela che una percentuale compresa tra il 25% e il 30% della popolazione in Italia ha avuto a che fare con un disturbo mentale, mettendo in luce una crescita notevole nei casi di ansia e depressione. Questo scenario sottolinea l’urgenza di avere figure professionali quali l’Amministratore di Sostegno, i cui compiti sono essenziali per assicurare sia l’accessibilità alle cure richieste, sia la tutela dei diritti degli individui affetti da tali patologie. [Mind Health Report 2023].

L’AdS può essere nominato dal giudice tutelare su richiesta del beneficiario stesso, dei familiari, o di altri soggetti indicati dalla legge. Il suo ruolo fondamentale è quello di garantire gli interessi e la cura della persona, inclusa la tutela della salute. L’articolo 408 del codice civile, al primo comma, recita infatti che “La scelta dell’Amministratore di Sostegno avviene con esclusivo riguardo alla cura e agli interessi della persona del beneficiario”. Questo significa che l’AdS può supportare il paziente nel prendere decisioni riguardo ai trattamenti sanitari, specialmente quando la patologia psichiatrica compromette la capacità di esprimere un valido consenso informato, come nei casi di schizofrenia, disturbo bipolare grave, o demenza.

Un esempio concreto del ruolo dell’AdS è la sua capacità di intervenire quando il paziente rifiuta l’adesione a cure che sono vitali per la sua salute, al di fuori di situazioni che richiedano il TSO. In questi casi, l’Amministratore può esprimere il consenso informato ai trattamenti proposti dai medici, agendo “in nome e per conto del beneficiario”, come dimostrato da un provvedimento del Giudice Tutelare del Tribunale di Modena del 2004. Questo provvedimento ha evidenziato come il sostegno alla persona non si limiti alla sfera economico-patrimoniale, ma comprenda anche il diritto-dovere di esprimere il consenso informato a terapie mediche.

Legge 6/2004: Introduzione dell’Amministratore di Sostegno; Obiettivi: protezione della persona e minimizzazione delle limitazioni alla capacità di agire.

Il rapporto tra l’Amministratore di Sostegno e l’équipe curante del Dipartimento di Salute Mentale è cruciale. L’AdS funge da interlocutore privilegiato, compartecipe del beneficiario al progetto terapeutico, sostenendolo nel consenso alle cure ma anche vigilando critico sui trattamenti proposti. In caso di conflitto, è il Giudice Tutelare a garantire i legittimi interessi di tutela del paziente. L’AdS, quindi, non si sostituisce completamente alla volontà del paziente, ma la supporta e la integra, garantendo una continuità delle cure che spesso è essenziale per evitare ricadute e migliorare la qualità della vita.

Consensualità e trattamento sanitario obbligatorio: un equilibrio delicato

Il tema della consensualità nei trattamenti sanitari, in particolare quelli relativi alla salute mentale, è un punto nevralgico che interseca profondamente il diritto all’autodeterminazione con il dovere di tutela della salute. La Costituzione italiana, con l’articolo 32, stabilisce chiaramente l’inviolabilità della persona e la necessità di una disposizione di legge per qualsiasi trattamento sanitario obbligatorio, evidenziando il limite imprescindibile del “rispetto della persona umana”. Questo articolo rappresenta la base fondamentale per la disciplina dei Trattamenti Sanitari Obbligatori (TSO) e degli Accertamenti Sanitari Obbligatori (ASO).

La Convenzione di Oviedo del 1997, sulla Protezione dei Diritti dell’Uomo e della Dignità dell’Essere Umano nell’Applicazione della Biomedicina, all’articolo 7, specifica che “La persona affetta da un disturbo mentale grave non può essere sottoposta, senza il suo consenso, ad un trattamento che abbia per oggetto la cura del disturbo, se non quando il mancato trattamento rischi di essere gravemente pregiudizievole per la sua salute e con la riserva delle garanzie previste dalla Legge”. Questo principio è recepito anche nell’articolo 35 del codice di deontologia medica, che impone al medico di intervenire “in scienza e coscienza” anche in assenza di un consenso valido, quando il mancato trattamento può essere gravemente pregiudizievole.

Nel 2023, in Italia sono stati registrati 4.879 trattamenti sanitari obbligatori, rappresentando il 5,7% dei ricoveri avvenuti nei reparti psichiatrici pubblici, indicando quindi un’attenzione crescente sul tema della salute mentale [Dati Ministero della Salute]. La normativa delineata dalla Legge 833/1978 negli articoli 33, 34 e 35 tratta specificamente delle procedure riguardanti il TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio) e l’ASO (Affidamento Socio-Sanitario Obbligatorio). In particolare, l’articolo 33 enuncia diversi principi direttivi imprescindibili: è prassi che accertamenti clinici e trattamenti siano in genere attuabili su base volontaria; qualora siano necessari provvedimenti coatti, questi debbano essere eseguiti minimizzando l’invasività dell’intervento stesso ed osservando i diritti civili nonché politici degli interessati. È previsto che tali misure vengano adottate dal sindaco a fronte di una proposta articolata da un professionista della salute; inoltre è richiesto che ogni azione sia accompagnata da sforzi diretti a ottenere o migliorare il consenso informato dell’individuo coinvolto. Inoltre si sottolinea che sia il TSO sia l’ASO vengono considerati come una soluzione straordinaria, con l’impegno delle strutture sanitarie locali verso strategie atte a prevenire tale ricorso.

L’articolo successivo al punto precedente fa luce sui contesti relativi ai TSO e ASO quando ci si confronta con la malattia mentale: viene definito come opportuno soltanto nei casi residuali in cui convergano tre fattori specifici: la presenza di alterazioni psichiche significative necessitanti immediato intervento terapeutico urgente, la negazione del paziente a ricevere le cure proposte ed infine l’impossibilità di implementare adeguate soluzioni al di fuori dell’ambiente ospedaliero. La procedura per l’internamento coatto nel contesto del Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO) si svolge all’interno dei reparti psichiatrici dedicati alla diagnosi e cura (SPDC), situati negli ospedali generali. Tale iniziativa deve essere proposta da un professionista sanitario e successivamente validata da un altro componente dell’unità sanitaria locale.

Nell’ambito delle disposizioni normative dettagliate nell’articolo 35, viene stabilito che dopo aver ricevuto la validazione dal medico competente, il sindaco dispone entro quarantotto ore dall’approvazione per emettere il decreto d’internamento. Successivamente, dopo ulteriori quarantotto ore dall’ingresso in struttura, è obbligatoria la notifica al giudice tutelare. Quest’ultimo ha a sua disposizione altre quarantotto ore per confermare o rifiutare quanto disposto dal sindaco stesso. Questo intervallo temporale—che può arrivare fino a una limitazione massima di novantasei ore in assenza di verifica legale immediata—è stato aspramente criticato poiché potrebbe ledere i diritti garantiti dall’articolo 13 della Costituzione italiana, concernente l’inviolabilità della libertà individuale salvo diversa disposizione giuridizionale. La questione rimane aperta al dibattito tra esperti legali e accademici poiché cercano vie d’uscita equilibrate attuabili sia nella salvaguardia dello stato di salute pubblica sia nel massimo rispetto dei diritti umani essenziali.

Oltre la norma: la sfida dell’autonomia e del benessere psicosociale

La legislazione italiana relativa alla salute mentale ha fatto registrare progressi rilevanti; tuttavia, la sfida primaria rimane ancorata all’effettiva applicazione dei principi dell’autonomia individuale e del benessere psicosociale in contesti reali. Sebbene il legislatore abbia tracciato un valido riferimento normativo, l’effettivo rispetto della dignità umana, oltre che del livello qualitativo delle esistenze, si concretizza nei rapporti quotidiani fra il paziente stesso e i suoi familiari con gli operatori sanitari coinvolti.

Analizzando il fenomeno dal prisma della psicologia cognitiva, diviene essenziale comprendere come ogni persona colpita da disturbi psichiatrici conservi – nei limiti del possibile – una certa capacità d’elaborazione cognitiva delle informazioni così come nel processo decisionale. Anche se questa facoltà può risultare influenzata dall’evoluzione patologica in atto, non deve assolutamente negarsi all’individuo il suo senso identitario. Integrando elementi tratti dalla psicologia comportamentale all’interno dell’intervento terapeutico, si potrebbe raggiungere una più profonda compliance alle terapie tramite meccanismi motivazionali quali i rinforzi positivi unitamente a tecniche autodeterminate quando appropriate.

Ad esempio, la creazione di piani di crisi condivisi, in cui il paziente, quando è in una fase di lucidità, esprime le proprie preferenze per futuri trattamenti, rientra in un’ottica di rispetto dell’autonomia anche in previsione di future alterazioni della capacità di intendere e di volere.

Un trauma, sia esso causato da esperienze di vita difficili o dalla stessa patologia e dai suoi trattamenti coercitivi, può avere un impatto significativo sulla salute mentale e sulla fiducia nel sistema curante. La medicina correlata alla salute mentale, quindi, non può limitarsi alla somministrazione di farmaci o alla mera gestione dei sintomi, ma deve abbracciare un approccio olistico che includa il supporto psicologico e la riabilitazione sociale.

La nozione avanzata della psicologia cognitiva introduce il concetto di “recupero basato sull’empowerment”, che si concentra sul rafforzamento delle risorse interiori del paziente, sulla sua capacità di autodeterminarsi e di partecipare attivamente al proprio percorso di cura. Tale situazione richiede un incessante adattamento dei piani terapeutici, sostenuto da una comunicazione attiva fra l’ équipe curante, il paziente, l’ Amministratore di Sostegno e i familiari. Ciò è fondamentale per agevolare


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