Trauma inatteso: perché la mente si dissocia per proteggersi?

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  • La dissociazione è una disconnessione da aspetti di identità, memoria, o coscienza.
  • Eventi improvvisi possono innescare reazioni dissociative e portare al PTSD.
  • L'ipotrofia dell'ippocampo compromette la contestualizzazione spazio-temporale dei ricordi.

La mente umana, di fronte a un evento traumatico, adotta meccanismi di difesa complessi per proteggersi dall’impatto emotivo devastante. Tra questi, la dissociazione emerge come una strategia particolarmente significativa. Essa si manifesta come una disconnessione dagli aspetti della propria identità, dalla memoria o dalla coscienza, un’integrazione incompiuta che può scaturire da esperienze non elaborate. La ricerca indica una forte correlazione tra la dissociazione e il trauma, in particolare quando l’evento traumatico è accompagnato da una genitorialità non responsiva o da un attaccamento insicuro nelle figure genitoriali, fattori che aumentano la vulnerabilità ai sintomi post-traumatici gravi. La dissociazione funge da scudo, permettendo all’individuo di estraniare la realtà, quasi fosse un osservatore esterno del proprio corpo e delle circostanze, una strategia analoga a quella del “fingersi morto” osservata negli animali di fronte a un pericolo imminente. Nei contesti di abuso, questa “morte apparente” a livello psicologico è una risposta comune, un tentativo estremo di sopravvivenza mentale.

Tali strategie protettive, sebbene immediate e istintive, possono generare conseguenze a lungo termine. Un trauma non adeguatamente elaborato può condurre allo sviluppo del disturbo da stress post-traumatico (PTSD), e in alcuni casi, al suo sottotipo dissociativo. Quest’ultimo si caratterizza per una profonda alterazione della percezione della realtà, con episodi di depersonalizzazione (sentirsi distaccati dal proprio corpo e processi mentali) e derealizzazione (percepire il mondo esterno come irreale o distorto). Eventi improvvisi e non anticipati sensorialmente, ovvero quei traumi per i quali il cervello non ha avuto il tempo di preparare una risposta difensiva cosciente, possono innescare con maggiore probabilità queste reazioni dissociative. La ricerca sul trauma ha dimostrato che la dissociazione non è solo un sintomo, ma un processo psicopatologico che può scomporre la memoria degli eventi traumatici nelle sue componenti più disparate: somatica, sensoriale, cognitiva ed emotiva, rendendone l’elaborazione ancora più complessa e frammentata.

Ricerche recenti: Secondo uno studio di Lanius e Frewen “La cura del sé traumatizzato”, i sintomi dissociativi sono complessi e possono manifestarsi in vari gradi; la dissociazione può manifestarsi in diverse dimensioni: temporale, cognitiva, corporea ed emotiva. [State of Mind].

Meccanismi di difesa: attacco, fuga, congelamento e morte apparente

Di fronte a una minaccia, il sistema nervoso autonomo mette in atto una serie di risposte primarie, definite dalla teoria polivagale. Questi meccanismi sono volti alla sopravvivenza e sono profondamente radicati nella nostra biologia. Le quattro strategie principali identificate sono: attacco (affrontare direttamente il pericolo), fuga (allontanarsi dal pericolo), paralisi o congelamento (rimanere immobili, pur essendo consapevoli dell’ambiente circostante, incapaci di agire o parlare), e la morte apparente. Quest’ultima, particolarmente rilevante nel contesto della dissociazione traumatica, è una difesa estrema in cui l’individuo si “fingere morto”, sperimentando un profondo distacco dal proprio corpo e dalla situazione traumatica. È una sorta di estraneamento dalla realtà, come se si osservasse la scena dall’esterno, senza viverla pienamente.

Neurobiologia della dissociazione: I meccanismi di stress e difesa sono fondamentali nel contesto della dissociazione, che si attiva per proteggere l’individuo da esperienze insopportabili. Si attivano circuiti autonomi in risposta a situazioni percepite come pericolose, portando a stati di immobilità o disconnessione emotiva [Fondazione Patrizio Paoletti].
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Il trauma e l’elaborazione emotiva: l’impatto sul cervello

La capacità di elaborare un evento traumatico è fondamentale per il benessere psicologico a lungo termine. Quando un trauma rimane “accantonato” senza un’adeguata elaborazione emotiva, anche a distanza di tempo, uno stimolo esterno apparentemente insignificante può riattivare il ricordo con una forza tale da far rivivere l’esperienza come se fosse attuale e presente. Le persone in questa situazione descrivono ricordi vividi, con una ricchezza di dettagli sensoriali – colori, odori, sapori – che li proiettano indietro nel tempo. Questa permanenza del passato nel presente indica che la ferita psicologica non è stata sanata.

Le moderne tecniche di neuroimaging hanno gettato luce sui meccanismi cerebrali coinvolti nell’elaborazione del trauma. Si è scoperto che l’emotività legata ai ricordi traumatici “dolorosi e vividi” risiede principalmente nell’emisfero destro del cervello. L’ippocampo, una struttura cruciale per la memoria e la contestualizzazione dei ricordi, gioca un ruolo chiave. Nelle persone che hanno subito traumi significativi, si è osservata un’ipotrofia dell’ippocampo, ovvero una sua dimensione ridotta. Questo comporta un’incapacità di attribuire un contesto temporale e spaziale al ricordo disturbante, facendolo percepire come sempre presente e attuale. Le ferite della psiche, quindi, non sono solo esperienze emotive, ma veri e propri traumi neurofisiologici che alterano la struttura e la funzione cerebrale. La psicoterapia centrata sul trauma ha l’obiettivo di favorire un processo di autoguarigione, consentendo alla persona di rielaborare il trauma irrisolto e di uscire da uno stato di blocco e stallo, ripristinando la capacità dell’ippocampo di contestualizzare gli eventi e permettendo al passato di rimanere tale.

Recenti studi sul PTSD: Recenti ricerche meta-analitiche hanno dimostrato l’efficacia della psicoterapia, in particolare l’EMDR e la terapia cognitivo-comportamentale, nel trattamento del PTSD anche nei casi di esposizione a molteplici eventi traumatici, mostrando risultati simili per soggetti con traumi singoli e multipli [State of Mind].

Oltre ciò che gli occhi vedono: la natura ambigua del trauma

Il trauma, la “ferita dell’anima” che la psicologia definisce con un termine derivato dal greco, non si manifesta sempre con segni evidenti e prevedibili. A volte, l’assenza di un trauma fisico visibile, unita alla natura improvvisa e scioccante dell’evento, può complicare ulteriormente il processo di elaborazione. Questo è un concetto cruciale nel panorama della psicologia cognitiva e comportamentale moderna. Gli eventi che non permettono azioni difensive o non vengono anticipati sensorialmente possono disorganizzare la mente in modi imprevisti, portando a esperienze dissociative o al PTSD. Tale ambiguità è particolarmente perturbante perché ribalta l’aspettativa di un correlato fisico alla sofferenza mentale, rendendo arduo il riconoscimento e l’accettazione della gravità del trauma, sia per chi lo subisce sia per chi ne è testimone. La discrepanza tra un evento potenzialmente mortale e l’assenza di lesioni corporee tangibili può rendere i sentimenti di paura, vulnerabilità e orrore ancora più invalidanti, poiché manca un punto di riferimento concreto per il dolore.

La nozione base, che pervade la psicologia cognitiva e comportamentale moderna, è che la nostra percezione della realtà è una costruzione attiva della mente, non una semplice ricezione di stimoli esterni. In questo contesto, anche l’assenza di un danno fisico evidente può essere “processata” come un trauma, specialmente se l’evento è inatteso e privo di controllabilità. Questo ci porta a una nozione più avanzata: la teoria polivagale di Stephen Porges. Questa teoria postula che la nostra risposta allo stress non è solo “attacco o fuga”, ma include anche strategie più primitive e complesse mediate dal nervo vago, come il congelamento o la dissociazione. In situazioni di pericolo, il sistema nervoso autonomo può determinare risposte che vanno oltre la nostra consapevolezza cosciente, influenzando profondamente il nostro stato emotivo e fisiologico. Comprendere questi meccanismi ci invita a riflettere su quanto la mente sia potente nel proteggersi e, al contempo, su quanto sia fragile e bisognosa di supporto professionale quando queste difese, pur essenziali, diventano disfunzionali nel lungo termine. Il trauma, invisibile o palese, richiede un riconoscimento profondo e un percorso di cura attento, che non si limiti alla superficie, ma esplori le complesse interconnessioni tra mente, corpo ed esperienza vissuta.

Teoria Polivagale: La teoria polivagale ha rivoluzionato la comprensione delle risposte del sistema nervoso autonomo. Si distingue per i suoi tre circuiti principali e introduce il concetto di neurocezione, fondamentale nell’identificazione delle reazioni di sicurezza o minaccia dell’organismo [Fondazione Patrizio Paoletti].

Glossario

Glossario:
  • Dissociazione: Processo psicologico che comporta una disconnessione di pensieri, identità, memoria o coscienza.
  • Teoria Polivagale: Modello proposto da Stephen Porges che descrive come il sistema nervoso autonomo regola le emozioni e le risposte comportamentali.
  • PTSD: Disturbo Post-Traumatico da Stress, una condizione mentale provocata da eventi traumatici.

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