- Nel 2023, oltre 854.000 persone hanno ricevuto assistenza per problemi psichiatrici.
- Le terapie online registrano un aumento del 35% grazie alla riduzione dello stigma.
- Il 36% delle persone si vergognerebbe di avere un disturbo mentale.
Lo stigma legato alla salute mentale: una sfida persistente
La salute mentale è un tema di crescente importanza nel dibattito pubblico e scientifico, ma nonostante gli sforzi di sensibilizzazione, lo stigma ad essa associato rimane una delle sfide più significative da affrontare. Già nel 2021, diverse analisi evidenziavano come la stigmatizzazione fosse un serio ostacolo all’accesso alle cure e alla piena integrazione sociale delle persone con disturbi mentali. Una di queste ricerche, risalente all’8 ottobre 2021, sottolineava come la stigmatizzazione generi ritardi o assenze nella ricerca di trattamenti, compromettendo gravemente la qualità della vita degli individui. Questo viene ulteriormente confermato da un articolo del 28 ottobre 2021, che, pur focalizzandosi sugli strumenti digitali per il benessere psicologico aziendale, ne riconosce il potenziale nel ridurre lo stigma sociale, suggerendo che tale fenomeno è ampiamente presente in diversi contesti della vita quotidiana.
La definizione di stigma, come proposta da Goffman nel 1963, descrive un attributo che porta a un profondo discredito, declassando l’individuo da “persona completa” a “persona segnata e screditata”. Il concetto in questione può assumere forme diverse come elementi di tipo fisico difettoso o imperfezioni comportamentali (inclusi i disturbi mentali), così come stigmi legati a fattori tribali quali etnia, genere ed età; questa tematica ha ricevuto un’ampia attenzione accademica. Secondo quanto rilevato da Crisp et al. nel 2005*, insieme ai contributi di Link et al. del 1999, la prevalenza della stigmatizzazione risulta essere largamente diffusa tra il pubblico generale, ma varia significativamente in base alle singole dimensioni esaminate. Le conseguenze negative attribuibili allo stigma risultano essere complesse e gravose: l’individuo potrebbe subire ritardi o addirittura rinunce nella ricerca di trattamenti medici ed esperire una significativa diminuzione della qualità della vita, possibilità occupazionali ridotte, solitudine aumentata, ostacoli all’accesso all’alloggio unitamente a una diminuzione dell’autoefficacia personale. È fondamentale notare che tali effetti non ricadono soltanto sugli individui colpiti dallo stigma; anche le loro famiglie e i caregiver vivranno tali ripercussioni, come testimoniato dai risultati riportati da Muralidharan et al., pubblicati nel 2016. Un elemento cruciale per mantenere vivo lo stigma riguarda il livello ridotto di conoscenza sui disturbi mentali stessi—un aspetto definito dagli studiosi Jorm et al. attraverso il termine tecnico di durante il suo lavoro svolto nel 1997. La salute mentale alfabetica (MHL) si riferisce alla competenza necessaria per identificare le problematiche psicologiche, raccogliere informazioni pertinenti ed analizzare elementi di rischio che possono essere sia biomedici che psicosociali. È fondamentale possedere un livello elevato di MHL affinché si possa incoraggiare l’identificazione tempestiva delle malattie mentali nonché l’inizio precoce delle terapie; questo approccio contribuisce a conseguire risultati significativamente migliori sul lungo termine. Tali affermazioni sono state sostenute da Jorm nell’anno 2000, seguite dall’evidenza presentata da Wright et al. nel 2005. Nel corso di un’indagine condotta da Serra et al. nel 2013 tra adolescenti frequentanti istituti scolastici secondari in Italia, è stata rivelata l’esistenza di una netta correlazione positiva: gli studenti dotati di una buona preparazione sulle patologie mentali manifestavano anche maggiore disponibilità all’aiuto reciproco ed esprimevano attitudini più favorevoli nei confronti degli individui affetti da psicosi. Tuttavia, nonostante questa competenza relativamente alta dimostrata dagli studenti riguardo alle nozioni sui disturbi psicologici generali, molti continuavano a nutrire dubbi circa l’efficacia dei vari interventi terapeutici disponibili o sulla concreta opportunità reale del recupero dalla malattia stessa. Risaltante però, si evidenziava che il sesso femminile aveva generalmente manifestato livelli superiori nella valutazione della MHL rispetto ai colleghi maschi, insieme a un’attitudine maggiormente proattiva nell’offrire sostegno. In aggiunta, il contatto diretto con la psicosi ha dimostrato di poter significativamente sminuire lo stigma negli individui che hanno vissuto esperienze familiari legate a questa condizione.
Tuttavia, il grado di stigmatizzazione presenta una variabilità in base alla natura del disturbo stesso. Le affezioni gravi quali la schizofrenia ed episodi psicotici tendono ad avere un carico stigmatico assai elevato (Angermeyer & Matschinger, 1997; Norman et al., 2008), conducendo inevitabilmente a forme accentuate di emarginazione sociale, oltre a discriminazioni evidenti (Buizza et al., 2007). In particolare si riscontra che i disturbi dovuti all’abuso di sostanze generano livelli massimi di stigmatizzazione; gli individui colpiti da queste problematiche vengono frequentemente visti come persone meno forti o responsabili dei propri problemi, soprattutto se paragonati ai pazienti affetti da schizofrenia o depressione. Un fattore cruciale nello sviluppo dello stigma è quella che viene definita pericolosità percepita, poiché essa agisce da mediatrice del pregiudizio collettivo avvalendosi delle emozioni umane per generare sentimenti negativi rappresentati nel rifiuto sociale e una marcata distanza interpersonale. Questo timore derivante dall’evitamento potenzia lo stigma interiorizzato mentre contemporaneamente riduce drasticamente le possibilità d’accesso alle terapie mediche, dal momento che gli interessati temono le reazioni negative dei propri cari o delle relazioni socialmente significative nella loro vita quotidiana (Angermeyer & Matschinger, 2003; Thornicroft, 2008). L’uso di farmaci psichiatrici è spesso percepito come un segno di debolezza emotiva, come nel caso degli antidepressivi (Jenkins & Carpenter-Song, 2009; Sorsdahl & Stein, 2010; Castaldelli-Maia et al., 2011). È stato dimostrato che lo stigma influenza negativamente il decorso e l’esito del trattamento (Van Zelst, 2009) e la volontà dei giovani di cercare aiuto (Fröjd et al., 2007; Mukolo et al., 2010; Pescosolido et al., 2008; Quinn et al., 2009; Yap & Jorm, 2011), in particolare i giovani maschi (Eisenberg et al., 2009; Gonzalez et al., 2005).

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Interventi di psicologia comportamentale per la riduzione dello stigma
L’approccio della psicologia comportamentale emerge quale preziosa alleata nella lotta allo stigma che circonda la salute mentale, elaborando e implementando misure mirate a trasformare le percezioni e i comportamenti sfavorevoli. Come indicato da Thornicroft, Rose, Kassam e Sartorius nel 2007, l’intento primario di queste iniziative non si limita all’aumento delle conoscenze o al miglioramento degli atteggiamenti (in una prospettiva di riduzione del pregiudizio); ciò che è davvero cruciale è il fine ultimo di rendere più efficace il comportamento reale, con conseguente diminuzione della discriminazione.
Un esempio emblematico dell’efficacia di questi metodi si riscontra nell’espansione delle terapie online. Un articolo pubblicato l’11 luglio 2025 sottolinea come tali terapie stiano veramente sconvolgendo l’accesso alla cura psicologica; infatti registrano un incremento del 35% nelle richieste di supporto, grazie proprio all’attenuazione dello stigma sociale. L’ambiente digitale fornisce un’opzione discreta e facilmente fruibile per abbattere le barriere legate alla paura del giudizio sociale, incentivando così molte persone a intraprendere la ricerca di aiuto. È fondamentale notare come il tema del ritardo o dell’assenza, in merito alla ricerca terapeutica, sia uno degli effetti più dannosi legati allo stigma sociale; questa problematica era già stata sottolineata nelle ricerche svolte nel corso del 2021.
Le azioni mirate all’aumento della consapevolezza e alla divulgazione delle informazioni sulle questioni sanitarie assumono una dimensione rilevante, oltre all’impiego degli strumenti digitali. In particolare si segnala l’articolo apparso su Il Post il 9 luglio 2024—sottolineando quanto siano aumentati i livelli di consapevolezza riguardanti le problematiche legate alla salute mentale attraverso i social network. Tali sforzi hanno contribuito ad abbattere lo stigma esistente, ma al contempo possono anche condurre a una tendenza pericolosa: quella di porre troppo accento su determinati aspetti. Di qui nasce l’importanza assoluta di raggiungere una giusta misura fra visibilità ed elevata qualità informativa per veicolare messaggi equilibrati. Tra gli eventi significativi dedicati a queste tematiche vi è senz’altro la Giornata Mondiale della Salute Mentale, che ha luogo ogni anno il 10 ottobre sotto gli auspici della Federazione Mondiale della Salute Mentale. In occasione dell’edizione del 24 settembre 2024, a Bergamo si sono tenute sessioni gratuite in cui è stato possibile ricevere consulti gratuiti, coinvolgendo tutta la comunità nell’incentivare pratiche orientate al benessere psichico—cosa evidenziata in un resoconto prodotto da Humanitas Medical Care. Analogamente, il 9 ottobre 2023, Men’s Health segnalava iniziative come gli “Studi Aperti” degli psicologi dello sport, focalizzate sul benessere psicofisico e sulla promozione della salute mentale.

Per affrontare lo stigma, è fondamentale intervenire su diverse dimensioni. Il documento “Salute mentale: promuovere i diritti, combattere lo stigma” di AIFO (senza una data specifica, ma collocato nel 2020) evidenzia l’importanza di ridurre lo stigma e la discriminazione verso le persone con disabilità psicosociale e di facilitare l’accesso a interventi di tipo medico, psicologico e sociale. Allo stesso modo, l’OMS, con il suo rapporto e il MOSAIC toolkit pubblicato il 28 agosto 2024, sottolinea l’importanza di porre fine alla discriminazione e allo stigma.
In riferimento agli sforzi contro questo fenomeno stigmatizzante, è interessante notare che i gruppi psicoeducazionali, secondo quanto riportato in uno studio realizzato nel 2020 da M. Lanfredi, mostrano potenzialità notevoli nell’attenuare le credenze negative riguardo alla malattia mentale e nell’ottimizzare la gestione dello stigma (ovvero l’abilità nel fronteggiare tali pregiudizi), oltre a favorire un’assistenza al recupero degna di nota. Questa osservazione sottolinea l’importanza cruciale dell’approccio educativo volto al sostegno individuale come strumento efficace nella mitigazione delle complicanze legate ai disturbi mentali.
Un aspetto significativo merita attenzione: quello del welfare psicologico all’interno delle organizzazioni aziendali. Secondo quanto riportato da d’agenda digitale edito su ottobre con data risalente al 28/10/21 rispetto ad strumenti innovativi attraverso piattaforme digitalizzate. Perché questa integrazione tecnologica per salvaguardarne quindi il benessere totale dei collaboratori abbia la duplice funzione sia di diminuire le situazioni stigmatizzanti verificabili all’esterno, che sia anzitutto determinata ad ottimizzare gli output lavorativi. La constatazione prova vividamente indicativa quindi quanto mai esista una sinergia indiscutibile riguardo alle applicazioni della psicologia comportamentale al diffuso orizzonte professionale, non limiti più agli ambiti sanitari ma inseguito tale efficacia tipica coinvolgente costrutti socialmente affermati. Gli sforzi per contrastare lo stigma devono quindi passare attraverso molteplici canali, dalla diffusione della conoscenza all’implementazione di politiche e pratiche inclusive, fino alla promozione di strumenti innovativi come le terapie digitali.

Il 30 giugno 2023, Sogni e Bisogni ha pubblicato un articolo intitolato “A che punto siamo con la lotta allo stigma in salute mentale?”, in cui si fornisce un lungo elenco di possibili interventi anche contro lo stigma internalizzato, ovvero l’auto-stigma, che affligge le persone con disturbi mentali. Quest’analisi congiunta di ricerca e applicazione pratica sottolinea la necessità di un approccio olistico e integrato, che impieghi la psicologia per costruire una società più consapevole e meno discriminatoria.
Il ruolo della consapevolezza e del linguaggio
Un aspetto cardine per edificare una società realmente inclusiva ed esente da stigmi riguardo alla salute mentale è senza dubbio la consapevolezza. È indispensabile che si inizi a trattare il tema della salute mentale con l’identica disinvoltura riservata alle malattie fisiche; questo atto rappresenta un passo cruciale verso l’abbattimento dei miti e delle etichette negative. Recentemente, un articolo firmato da Save the Children, datato sette giorni orsono (ottobre 2025), evidenzia come per poter contrastare lo stigma sia fondamentale incrementare innanzitutto la consapevolezza, incentivando conversazioni aperte esenti da preconcetti. La necessità di educazione si estende alla totalità della popolazione, dando particolare importanza all’ambiente scolastico; ciò trova supporto nella ricerca condotta da Serra et al., nel 2013, sui giovani studenti italiani: essa ha messo in luce come una migliore informazione sui disturbi mentali favorisca non solo un’apertura nel voler offrire aiuto ma anche attitudini significativamente positive.
In tale contesto, riveste un ruolo chiave il linguaggio. Adottando terminologie appropriate e cariche di sensibilità è possibile distinguere tra alimentazione degli stereotipi nocivi ed evoluzione verso comprendere in modo empatico queste problematiche sociali complesse. Evitare etichette denigratorie e focalizzarsi sulla persona piuttosto che sul disturbo è un principio guida. La rappresentazione mediatica, ad esempio, dovrebbe evitare di collegare i disturbi mentali a immagini di pericolosità o imprevedibilità, che, come abbiamo visto, sono mediatori significativi della stigmatizzazione. La pericolosità percepita, infatti, rafforza il rifiuto e la distanza sociale, aumentando la discriminazione e l’emarginazione. La discriminazione può essere di due tipi: pubblica, manifestandosi in interazioni interpersonali e attraverso stereotipi negativi nei media, e strutturale, dove istituzioni pubbliche e private limitano intenzionalmente o involontariamente le opportunità delle persone con disturbi mentali. Un esempio di questa discriminazione è la difficoltà nel trovare alloggio o opportunità lavorative, come evidenziato da Corrigan e colleghi nel 2004.