- Il PTSD altera la memoria autobiografica, causando ricordi intrusivi.
- La NET mira a reintegrare i ricordi traumatici in una narrazione coerente.
- La NET aiuta a connettere la «memoria calda» con la «memoria fredda».
- La memoria collettiva può influenzare intere comunità.
- La terapia narrativa mira a ricucire la rottura della storia.
Il Disturbo da Stress Post-Traumatico (PTSD) rappresenta una condizione complessa che affligge profondamente
l’individuo, alterando la sua percezione del mondo e la sua capacità di elaborare le esperienze. Al centro di questa
patologia vi è una disorganizzazione della memoria, in particolare quella autobiografica, che si manifesta attraverso
ricordi intrusivi, frammentati e spesso carichi di un’intensa emotività. Questi ricordi non vengono elaborati come eventi
passati, bensì rivissuti in un loop continuo, come se l’evento traumatico stesse accadendo nel momento presente.
gioca un ruolo cruciale nell’integrazione delle esperienze traumatiche e nel mantenimento delle manifestazioni
cliniche come disturbi dissociativi e flashback.[Minerva Medica]
Questa caratteristica rende la memoria traumatica qualitativamente diversa da un semplice ricordo spiacevole,
trasformandola in una vera e propria esperienza in corso. Le ricerche suggeriscono che il PTSD deriva da una narrativa
interna frammentata, sostenuta da una memoria autobiografica distorta del trauma. Ciò significa che i ricordi non sono
integrati in una sequenza temporale e coerente, ma rimangono isolati e disorganizzati, innescando risposte fisiologiche e
psicologiche intense ogni volta che vengono riattivati. Scientificamente, il trauma non altera le strutture di memoria di
un individuo in modo permanente, ma piuttosto ne modifica la loro disponibilità e accessibilità.
L’individuo, di conseguenza, sviluppa una tendenza ad evitare qualsiasi stimolo, pensiero o situazione che possa attivare
il ricordo traumatico, alimentando un ciclo di evitamento e sofferenza. Inoltre, si osservano alterazioni nei livelli di
neurotrasmettitori che influenzano l’ippocampo, una regione cerebrale fondamentale per la memoria e
l’apprendimento, compromettendo ulteriormente la capacità di memoria e la reazione allo stress. Questi meccanismi
neurobiologici si intrecciano con la dimensione psicologica, dove l’incapacità di integrare la “memoria calda” (quella
emotiva e sensoriale vivida del trauma) con la “memoria fredda” (quella contestuale e narrativa) contribuisce al
mantenimento del PTSD.
La mente del traumatizzato, infatti, è costantemente in allerta, e l’esperienza dissociativa può manifestarsi come una
difesa al fine di proteggere l’individuo dall’impatto emotivo travolgente del ricordo. L’importanza di affrontare questa
disorganizzazione mnemonica è fondamentale per il percorso di guarigione. Diverse strategie terapeutiche mirano proprio
a ricostruire e riorganizzare queste memorie frammentate, consentendo all’individuo di elaborare il trauma in un
contesto di sicurezza e di integrarlo nella propria storia di vita. Comprenderne le radici e le manifestazioni è il primo
passo verso un trattamento efficace e un recupero duraturo.
La terapia dell’esposizione narrativa (NET) per l’elaborazione del trauma
In risposta alle gravose problematiche legate alla disorganizzazione mnemonica e alla segmentazione narrativo-emotiva
proprie del PTSD, si distingue la Terapia dell’Esposizione Narrativa (NET), un metodo terapeutico che si presenta come
conciso ed sottile, concepito specificatamente per affrontare esperienze traumatiche di elevata gravità. La sua
origine risale ai primi anni del ventunesimo secolo ed essa poggia sull’assunto centrale secondo cui tanto la
ricostruzione, quanto una dettagliata narrazione degli eventi traumatici all’interno di uno spazio protetto dal
punto di vista terapeutico rappresentano tappe indispensabili nell’elaborazione e integrazione delle memorie alterate.
Le ricerche recenti attestano come questa pratica non soltanto allevi i sintomi associati al PTSD ma offra altresì ai
soggetti colpiti strumenti utili a rivendicare una maggiore autonomia sulla propria storia personale, contribuendo a
mitigare sentimenti di impotenza.[Ipsico]. L’obiettivo primario della NET è reintegrare i ricordi intrusivi e
frammentati all’interno di una narrazione autobiografica coerente. Ciò si ottiene chiedendo al paziente di raccontare
ripetutamente, e con estrema ricchezza di dettagli, ogni evento traumatico, rivivendone le emozioni correlate sotto la
guida attenta del terapeuta.
“memoria fredda” – il contesto, la sequenza temporale e gli elementi cognitivi che danno un senso all’evento.[State
of Mind]
Uno degli strumenti centrali della NET è la “linea della vita”, una tecnica che aiuta il paziente a visualizzare e
collocare gli eventi traumatici e le risorse positive lungo il proprio percorso esistenziale. In questo processo narrativo
ben delineato nel tempo, terapeuta e paziente cooperano nella creazione di una biografia esaustiva che abbraccia tutta
l’esistenza del paziente – dalla giovinezza fino all’età adulta – comprensiva tanto delle esperienze traumatiche quanto
delle prove di resilienza, oltre alle conquiste personali.
Tale progressione metodica non solo facilita un’efficace rielaborazione degli eventi traumatici, ma fornisce anche al
paziente strumenti utili per guardare avanti con fiducia crescente nell’affrontare ciò che verrà. La Neuro-Emotional
Therapy (NET) risulta particolarmente indicata in situazioni in cui i soggetti hanno subito ferite molteplici o complesse;
questo è spesso vero per chi ha subito abusi fisici o emotivi, profughi oppure individui segnati da conflitti persistenti.
Per esempio, nei casi dei migranti è possibile osservare come la NET proponga un approccio organizzato volto alla
comprensione delle esperienze devastanti vissute nei luoghi d’origine e lungo tutto il percorso migratorio stesso; tutto
ciò contribuisce sostanzialmente all’assimilazione nel nuovo ambiente.
Nonostante alcuni studi indichino come in determinate circostanze questa forma terapeutica possa risultare meno efficace
rispetto ad altre varianti basate sulla terapia cognitiva focalizzata sul PTSD o su modelli comportamentali cognitivi
specifici, tuttavia essa possiede intrinsecamente un carattere trauma-focale, insieme a una spiccata attenzione verso la
riabilitazione psicologica: tali qualità ne accrescono considerevolmente il valore nel panorama terapeutico rivolto agli
individui affetti dal Disturbo da Stress Post-Traumatico (PTSD), permettendo così ai sopravvissuti non soltanto di
riconquistare la propria narrazione personale, ma altresì reimpostando dignità e identità perdute.
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L’influenza del contesto culturale e sociale sulla memoria del trauma
Il trauma, pur essendo un’esperienza intrinsecamente individuale, non esiste in un vuoto, ma è profondamente
influenzato e modellato dal contesto culturale e sociale in cui si manifesta e viene elaborato. La maniera in cui un
individuo ricorda un evento traumatico, lo narra e ne cerca la guarigione è intrisa delle norme, dei valori e delle credenze
della sua comunità. Ad esempio, la trasmissione intergenerazionale del trauma, un fenomeno studiato attraverso
l’epigenetica, suggerisce che gli effetti di un trauma possano alterare l’espressione dei geni, tramandandosi di
generazione in generazione.
influenzare intere comunità e generarne l’eredità in chi non ha vissuto direttamente l’evento traumatico. La memoria
collettiva del trauma è diversa dalla memoria individuale, poiché persiste anche al di là della vita dei sopravvissuti
diretti.[Formazione Continua in Psicologia]
Questo significa che le esperienze traumatiche dei nostri antenati possono influenzare la nostra predisposizione al PTSD
o le nostre risposte allo stress, a livello biologico e psicologico, anche senza che noi ne abbiamo un ricordo diretto o
consapevole. Il concetto qui analizzato si estende ben oltre una mera trasmissione culturale legata a storie o memorie;
mette in risalto come le ferite emotive possano imprimere un dettaglio indelebile, sia a livello biologico che cognitivo
all’interno delle strutture sociali.
In aggiunta a ciò, è cruciale osservare che le modalità con cui una cultura interpreta ed affronta elementi quali
difficoltà emotiva, sofferenza personale ed esposizione alla vulnerabilità possono influenzare notevolmente
l’inclinazione degli individui a chiedere sostegno o manifestare esperienze traumatizzanti. Diverse culture potrebbero
mettere al bando gli aspetti legati alla salute mentale oppure glorificare tratti come resilienza estrema o riservatezza;
queste dinamiche rischiano così di ostacolare adeguate forme narrative riguardanti traumi vissuti, rendendo ciclica quella
condizione dolorosa. Contrapposta è invece l’esperienza in ambienti dove ci si impegna attivamente per favorire dialoghi
aperti ed inclusivi: questi scenari sono più propensi ad incoraggiare processi d’elaborazione psicologica necessari per
ottenere maggiore stabilità interiore.
La dimensione della memoria collettiva relativa al trauma si distingue nettamente da quella personale; essa supera infatti
i confini delle esistenze individuali per radicarsi nel cosiddetto ‘tessuto’ della società tramite ritualità condivise,
monumentazioni commemorative nonché racconti storici pertinenti uniti ad abitudini tradizionali comuni. Tale
reminiscenza comune ha potenzialità ambivalenti: può divenire una fonte essenziale nella riscoperta della guarigione
apportando senso appartenente – confronto amicale alle fatiche personali – ma altre volte purtroppo potrebbe riproporre
ciclicamente quelle stesse ferite generazionali indotte da eventi sconvolgenti, ritrasformandole sempre nuovamente nel
dramma iniziale. La comprensione di queste dinamiche culturali è essenziale per sviluppare interventi terapeutici che
siano sensibili e adattati alle specificità dei singoli contesti.
culturale delle loro esperienze traumatiche, oltre alla narrazione del trauma individuale.
In sintesi, l’influenza culturale sul trauma è multiforme: modella la percezione dell’evento, la sua espressione, la sua
trasmissione intergenerazionale e le risorse disponibili per la guarigione. I professionisti della salute mentale devono
quindi adottare un approccio olistico e culturalmente informato, riconoscendo che il percorso verso la resilienza e la
guarigione è profondamente intrecciato con la matrice sociale e culturale dell’individuo.
Oltre il trauma: la via della narrazione e della riflessione
Il percorso di guarigione dal trauma, in particolare dal Disturbo da Stress Post-Traumatico (PTSD), ci insegna una
lezione fondamentale sulla natura della mente umana e sulla sua straordinaria capacità di recupero. Una nozione
basilare della psicologia cognitiva ci ricorda che il cervello umano non è una semplice cassetta di registrazione che
archivia gli eventi in modo immutabile; al contrario, la memoria è un processo dinamico e ricreativo. Ogni volta che
ricordiamo un evento, lo ricostruiamo, e questa ricostruzione può essere influenzata da elementi esterni, dal nostro
stato emotivo e dalle nostre aspettative.
psicologicamente traumatizzato, attraverso la riscrittura di storie personali.[Teoria dell’Elaborazione Emotiva]
Questa malleabilità, che in contesti di trauma può portare a distorsioni e frammentazioni del ricordo, è al contempo una
risorsa immensa per la guarigione. La capacità di rimodellare e reintegrare i ricordi traumatici in una narrazione coerente
non è un atto di negazione, ma un potente esercizio di riappropriazione della propria storia, un modo per dare un senso a
ciò che in un primo momento sembrava insensato e distruttivo.
Volendo approfondire una nozione più avanzata, possiamo riflettere sul concetto di trauma come rottura narrativa. Il
trauma non è solo un evento doloroso, ma un’esperienza che spezza il filo della vita di una persona, interrompendo la
continuità della propria storia autobiografica. È come se una pagina del libro della propria esistenza venisse strappata o
resa illeggibile. La terapia narrativa, e in particolare la NET, non si limita a “curare” il sintomo, ma mira a
ricucire questa rottura, aiutando l’individuo a riscrivere la sua storia, integrando il capitolo del trauma non come la
fine, ma come una parte dolorosa, ma gestibile, di un racconto più ampio fatto di resilienza, crescita e speranza.
Questa prospettiva ci invita a considerare la guarigione non come una cancellazione del passato, ma come la capacità di
trasformare un ricordo paralizzante in un’esperienza che, pur rimanendo dolorosa, non determina più il presente e il
futuro. La narrazione diventa così un ponte, un sentiero che conduce dalla frammentazione all’integrazione, dalla
sofferenza muta alla possibilità di un nuovo significato. Questo processo non è facile, richiede coraggio e
l’accompagnamento di un professionista, ma porta a una profonda trasformazione interiore.
Riflettiamo su questo: qual è la storia che stiamo raccontando a noi stessi? E in che modo questa storia influenza il
nostro benessere? La consapevolezza che la narrazione ha il potere di plasmare la nostra esperienza del mondo e del nostro
passato è un passo fondamentale verso una maggiore autodeterminazione e resilienza. Non si tratta di cancellare il
dolore, ma di imparare a danzare con esso, integrandolo nella sinfonia complessa e unica della nostra esistenza.
-
Memoria autobiografica: Tipo di memoria che consente di ricordare esperienze personali e significative,
essenziale per sviluppare un senso di identità. -
PTSD: Il Disturbo da Stress Post-Traumatico, che comunemente viene identificato come PTSD,
rappresenta una problematica psicologica insorgente dopo aver vissuto o assistito a situazioni di trauma. -
Terapia dell’Esposizione Narrativa (NET): Questo approccio terapeutico è stato progettato
specificamente per supportare le persone nel processo di elaborazione dei propri traumi, favorendo la riflessione
attraverso la narrazione delle loro esperienze.