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Ptsd nell’idf: l’escalation silenziosa che mina la resilienza dei soldati israeliani

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  • Dal 2023, oltre 10.000 membri dell'esercito mostrano segni di PTSD.
  • 3.769 soldati sono stati ufficialmente riconosciuti dall'idf come affetti da ptsd.
  • 21 suicidi registrati nel 2024, con previsioni di 17 nel 2025.

Il crescente flagello del PTSD tra le Forze di Difesa Israeliane (IDF)

L’intensificarsi del conflitto nella regione di Gaza ha rivelato non solo una drammatica crisi umanitaria ma ha anche sollevato preoccupazioni riguardanti l’emergere inquietante dell’ansia da stress post-traumatico (PTSD), particolarmente fra le fila delle Forze di Difesa Israeliane (IDF). I rapporti più recenti indicano che fino al mese di luglio 2025 la situazione si presenta critica con numerose implicazioni negative per la salute psichica dei soldati stessi; problematiche che protraggono le loro ricadute molto al di là della mera esperienza bellica. Questo disturbo si manifesta attraverso sintomi quali flashback disturbanti, sogni angosciosi associati alla guerra ed elevate forme d’ansia accompagnate da complicanze emotive significative; tale condizione emerge in modo pressoché certo in un ambiente contraddistinto dalla persistenza dei conflitti come quello attuale.
Diverse analisi indicate dal Ministero degli Affari Militari israeliano quantificano che circa 100.000 soldati israeliani sono vulnerabili allo sviluppo del PTSD in seguito alle ostilità nella striscia di Gaza. In aggiunta, a partire dall’ottobre 2023 con l’avvio della brutale offensiva genocida su Gaza, oltre 10.000 membri dell’esercito hanno cominciato a evidenziare segni marcati d’interferenza psicologica profonda legata al PTSD. Un numero significativo di questi, nello specifico 3.769 soldati, sono stati ufficialmente riconosciuti dall’IDF come affetti da PTSD. Questi individui sono ora sottoposti a cure e supporto da parte della divisione di riabilitazione delle IDF. È importante sottolineare che entro agosto 2025, quasi 80.000 soldati sono stati ricoverati per diverse patologie, di cui 26.000 per malattie mentali, evidenziando una chiara correlazione tra l’esposizione al conflitto e l’insorgenza di problemi psicologici.

Dallo scoppio della guerra tra Israele e Hamas, più di 1.100 soldati dell’IDF sono stati dimessi dal servizio a causa di PTSD, principalmente riservisti e soldati in servizio attivo [Mosaico].

Il Ministero degli Affari Militari prevede che entro due anni e mezzo, il numero complessivo di soldati feriti e disabili in Israele raggiungerà i 100.000, e si stima che almeno la metà di loro soffrirà di disturbi psicologici. Questo scenario è ulteriormente aggravato dal fatto che già oltre 12.000 soldati, sia in servizio attivo che riservisti, hanno abbandonato il servizio a causa dell’impatto psicologico della guerra, interrompendo anche le proprie attività nella vita privata. Le dimissioni dal servizio non indicano solamente una cessazione degli impegni militari, ma rappresentano spesso l’inizio di un lungo e arduo percorso di riabilitazione e reinserimento nella società civile, reso ancor più complesso dalla natura invisibile e spesso stigmatizzata del trauma psicologico.

Statistiche Rilevanti sui PTSD: I soldati israeliani colpiti da PTSD stanno affrontando livelli crescenti di ansia e sintomi psicologici, con 21 suicidi registrati nel 2024, un aumento significativo rispetto ai due anni precedenti, e con la previsione che altri 17 casi siano già stati riportati nel 2025 [Euronews].

La frequenza degli eventi traumatici, l’intensità delle esperienze vissute e la costante minaccia alla vita rendono i soldati particolarmente vulnerabili a questa patologia. Comprendere appieno la portata di questa crisi è fondamentale per sviluppare strategie efficaci di prevenzione, trattamento e supporto a lungo termine, garantendo che coloro che hanno servito il paese ricevano l’assistenza necessaria per guarire.
Soldato israeliano con accanto una figura in abiti civili e uno sfondo che raffigura edifici distrutti.

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  • È confortante vedere che l'IDF sta prendendo misure... 👍...
  • Questi numeri sono inaccettabili e dimostrano il fallimento... 😠...
  • Dovremmo chiederci se il servizio militare obbligatorio... 🤔...

“Soldati dimessi o suicidi: un bilancio umano drammatico”

L’impatto psicologico devastante generato dalla guerra non si limita esclusivamente alla comparsa di diagnosi relative al PTSD o ai casi di abbandono dai reparti; esso culmina anche in una drammatica escalation dei suicidi tra i membri delle forze armate israeliane. Questi eventi tragici costituiscono il vertice visibile di una crisi ben più profonda fatta di sofferenza latente e disperazione sfrenata; pertanto viene messa a nudo la serietà delle esperienze traumatiche affrontate dai soldati così come diventa evidente l’urgenza di misure riparative realmente efficaci. Le recenti stime fotografano una situazione allarmante: le cifre continuano ad aumentare mettendo in risalto come molti soldati trovino estremamente arduo ristabilire un equilibrio psichico dopo aver subito gli effetti nefasti degli eventi bellici. Il benessere mentale degli ex combattenti emerge come fattore determinante per comprendere le ramificazioni invisibili ma durature che il conflitto porta con sé, spesso oscurate dall’attenzione rivolta alle operazioni militari immediate.
A seguito dell’inizio delle ostilità fra Israele e Hamas, oltre 1.100 membri dell’IDF hanno cessato il loro servizio a causa del Disturbo da Stress Post-Traumatico, secondo quanto riportato da fonti ufficiali ricavate dal portale d’informazione israeliano Walla. Questi numeri, riferiti al periodo tra il 7 ottobre 2023 e il luglio 2025, includono soldati in servizio attivo, riservisti e soldati di carriera. Questo significa che 1.135 militari sono stati rimossi dai loro incarichi a causa di traumi psicologici derivanti dal combattimento. Le previsioni indicano che il 2025 vedrà un aumento ancora maggiore dei soldati con problemi psicologici, e la necessità di cure crescerà ulteriormente una volta cessate le ostilità o raggiunto un cessate il fuoco. Gli esperti ritengono che, durante il combattimento, i soldati godano di una relativa “immunità psicologica”, ma al ritorno alla vita normale, i ricordi riaffiorano, scatenando crisi psicologiche ritardate. Questo fenomeno evidenzia la complessità del trauma di guerra, che non si esaurisce con la fine delle operazioni militari, ma continua a ripercuotersi sulla vita degli individui per anni.

Aumento dei Suicidi: 21 soldati si sono tolti la vita nel 2024, il numero più alto in oltre un decennio. Nel corso del 2025, l’incremento dei casi di suicidio si è rivelato preoccupante: sono stati conteggiati ulteriori 17 episodi. In aggiunta a ciò, si distingue un periodo critico nel quale si sono verificati ben tre suicidi in un intervallo di soli dieci giorni[Euronews]. Il fenomeno più allarmante è rappresentato dall’aumento esponenziale dei casi di suicidio tra i militari. Secondo quanto comunicato dall’IDF, nel corso del 2024 ben 21 soldati hanno scelto di togliersi la vita; un triste primato in oltre dieci anni. Avanzando verso luglio del 2025 si registrano già ulteriori almeno 17 nuovi episodi tragici; gran parte delle persone coinvolte è composta da riservisti rientranti dalle operazioni belliche. Diverse testate israeliane come Israel Hayom e Haaretz segnalano una crescita inquietante nei tassi di suicidio fra le forze armate sin dal cominciamento della crisi nella striscia di Gaza. In modo particolare, Haaretz pubblicava dati riguardanti maggio del 2025, dove affermava chiaramente che dall’inizio della catastrofe umanitaria a Gaza ben 42 militari hanno deciso per questa soluzione estrema. Successivamente, fonti attendibili aggiornate fino al mese scorso (luglio), parlavano addirittura della morte per suicidio divenuta inevitabile per ben 43 altri militari dal periodo antecedente ad ottobre dell’anno passato. Ultimissimi aggiornamenti provenienti da un articolo pubblicato il 29 luglio del 2025 portano tale cifra incredibile ancor sopra: ora infatti diventerebbero complessivamente 54 i sopravvissuti all’intervento psicosociale; out-aderenti perché ventidue dei novanta non troveranno mai pace ed anche sedici di essi avranno optato subito! I numeri presentano grande gravità anche poiché non costituiscono semplicemente cifre senza volto, ma rimandano invece al costante lutto nelle famiglie interessate dalla tragedia – raccontando storie profonde delle conseguenze devastanti lasciate sul terreno dal conflitto stesso! L’urgenza dell’intervento per contrastare questa epidemia silenziosa si rivela ormai improrogabile; è essenziale assicurarsi che ogni singolo soldato abbia accesso al supporto psicologico e medico fondamentale per far fronte alla propria condizione critica.
Il caso tragico riguardante Daniel Edri, un giovane combattente deceduto dopo una lotta estenuante contro i devastanti effetti dei traumi da conflitto armato, ha riacceso la discussione su sconvolgenti riforme necessarie nell’ambito dell’assistenza ai veterani. Ciò sottolinea come questo sia un problema radicato nel sistema anziché limitarsi a mere cifre statistiche; gli attuali meccanismi predisposti al supporto risultano insufficienti a fronteggiare l’immane dolore psichico che affligge molti uomini in divisa. È imperativo quindi unire gli sforzi della comunità internazionale assieme alle organizzazioni senza scopo di lucro e agli apparati statali nel perseguimento del dovere etico verso queste vite martoriate: dare priorità alla salute mentale delle forze armate deve prescindere dai vari contesti politici relativi ai conflitti stessi. Solo in questo modo sarà possibile attenuare le drammatiche ripercussioni delle guerre e onorare degnamente chi ha pagato il tributo più alto sul campo.

Le risposte dell’IDF alla crisi della salute mentale

A fronte dell’accentuarsi del problema legato alla saldatura mentale, le Forze Armate Israeliane (IDF) insieme al Ministero della Difesa hanno intrapreso una serie articolata di interventi tesi a far fronte a una realtà sempre più sfidante. L’intensa sollecitazione sul sistema dedicato al supporto psicologico è indicativa dell’urgenza nel mettere in atto strategie strutturate ed incrementare le risorse disponibili, sia umane che infrastrutturali. Anche se questi interventi giungono tardivamente per alcuni osservatori critici, costituiscono pur sempre un passo deciso verso la soluzione di questioni cruciali che rischiano non solo il benessere degli individui all’interno delle fila militari ma anche la loro capacità operativa nelle contingenze future.
Pertanto, per affrontare tale crisi crescente, il Servizio Sanitario Militare assieme alla Sezione Tecnologica e Logistica dell’IDF ha provveduto a espandere significativamente l’offerta dei servizi psicologici esistenti. Stando ai dati riportati al Ministro della Difesa Israel Katz, appare chiaro come circa l’85% dei militari sottoposti a trattamento precoce per sintomi gravi legati allo stress da combattimento siano stati reintegrati con successo nel servizio attivo. Questo dato, sebbene incoraggiante, pone l’accento sull’importanza dell’intervento tempestivo e sulla necessità di superare una delle principali barriere: la stigmatizzazione. Un ufficiale riservista ha sottolineato che “Una delle questioni più difficili relative al disturbo da stress post-traumatico è la vergogna… Combattenti e comandanti manifestano sintomi a vari livelli, ma hanno paura di chiedere aiuto”. Questo problema radicato nella cultura militare e sociale rende ancora più complesso l’accesso alle cure e il riconoscimento delle patologie.

Risposte strutturali dell’IDF: Tra le iniziative attuate ci sono la creazione delle cliniche Ta’atzumot, cliniche specializzate in salute mentale, e una hotline per la salute mentale operativa 24 ore su 24 [Mosaico]. Per contrastare il fenomeno dello stigma sociale e garantire supporto adeguato ai soldati colpiti da esperienze traumatiche sul campo di battaglia, sono state messe in atto varie iniziative. In primis spicca l’apertura delle cliniche Ta’atzumot, specificamente concepite per il trattamento degli appartenenti alle forze armate attivi nelle operazioni militari. Un’altra misura cruciale è rappresentata dalla creazione di una hotline dedicata alla salute mentale sempre accessibile, operativa h24 durante tutto l’anno non solo per i soldati ma anche per le loro famiglie. Gli ex militari hanno la possibilità di contattare direttamente l’Unità dedicata alla gestione dello stress legato agli eventi bellici; chi invece è impegnato nella carriera militare può richiedere assistenza presso il Family Institute for Career Soldiers, riservato appunto ai professionisti veterani dopo almeno tre anni d’incarico. Coordinata dall’IDF insieme al Ministero della Difesa di Israele, è prevista anche un’espansione dell’Unità responsabile dello stress post-bellico: nuove sedi verranno inaugurate sia nel nord che nel sud del paese, accompagnate dall’apertura imminente di un centro nazionale innovativo pensato esclusivamente per il sostegno dei soldati impegnati professionalmente nei ranghi armati assieme alle rispettive famiglie; questo garantirà interventi completi sotto profili sia psicologici che medici. Un piano articolato come questo si propone dunque di incanalarsi verso un numero maggiormente esteso possibile di utenti ed ottimizzare così la fruizione dei servizi distribuiti territorialmente fra varie categorie facenti parte dell’apparato difensivo nazionale. Un fenomeno significativo è emerso riguardo al numero crescente di riservisti in cerca di supporto psicologico: si è passati da circa 270 richieste annuali nel periodo preconflitto a ben 3.000 ogni anno. Tale incremento – oltre dieci volte maggiore – mette in luce non soltanto l’intensificazione degli scontri bellici ma anche una progressiva attenuazione dello stigma legato alla richiesta d’aiuto, secondo quanto rilevato dagli specialisti nel campo della salute mentale. In tale contesto, il governo ha formato un comitato speciale, sotto la direzione del Maggiore Generale Moti Almoz; questo gruppo è stato incaricato della revisione dell’attuale sistema destinato al sostegno psichico dei militari sia attivi che in pensione. La composizione del comitato include psicologi militari insieme a esperti legali e ufficiali provenienti dal Ministero della Difesa; il loro scopo principale è quello di facilitare il riconoscimento dei segnali indicativi dello stress derivante dai combattimenti ed ottimizzare le modalità d’accessibilità alle cure sanitarie tempestive. A livello operativo, invece, l’IDF ha messo in atto strategie più efficaci per garantire una reazione immediata; ciò implica che i soldati ricevano assistenza sanitaria psichica entro 24 ore dall’emergere di sintomi come ansia, insonnia o disconnessione emotiva. Tali iniziative, benché di rilevante importanza, si troveranno a dover gestire le sfide connesse alla multiforme natura del trauma bellico, oltre all’urgenza di fornire un’assistenza costante e su misura a ciascun individuo che ha subito le conseguenze dirette di queste esperienze devastanti.

Riflessioni sulla resilienza e il costo umano del conflitto

Il Disturbo da Stress Post-Traumatico, come abbiamo visto, è una reazione complessa e profondamente radicata a eventi particolarmente traumatici. Nel suo aspetto più elementare, a livello di psicologia cognitiva e comportamentale, si manifesta attraverso sintomi come l’ipervigilanza, i flash-back intrusivi, l’evitamento e le alterazioni negative dell’umore o del pensiero. Queste risposte, sebbene disfunzionali nel contesto della vita quotidiana, sono meccanismi di sopravvivenza che il nostro cervello attiva di fronte a minacce estreme, cercando di elaborare e “archiviare” l’esperienza traumatica. Tuttavia, in molti casi, questo processo non avviene in maniera adattiva, portando a una persistenza dei sintomi e a una significativa compromissione della qualità della vita.
Approfondendo la prospettiva della psicologia avanzata, il PTSD può essere compreso anche attraverso la lente della sensibilizzazione centrale e della disregolazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA). Ciò significa che l’esposizione prolungata o intensa a eventi stressanti può alterare i circuiti cerebrali responsabili della risposta al pericolo, rendendo il sistema nervoso ipersensibile a stimoli anche minimi. Di conseguenza, il corpo rimane in uno stato di “allarme rosso” costante, con un’elevata produzione di ormoni dello stress come il cortisolo, anche in assenza di una minaccia reale. Questa disregolazione non solo contribuisce ai sintomi emotivi del PTSD, ma può anche avere effetti negativi a lungo termine sulla salute fisica, inclusi problemi cardiovascolari, disfunzioni immunitarie e disturbi metabolici. Si tratta di un’interconnessione tra mente e corpo che va ben oltre la semplice esperienza psicologica, influenzando la biologia stessa dell’individuo.
Di fronte a questi dati e a queste comprensioni, emerge una riflessione personale ineludibile: quale prezzo umano siamo disposti a pagare per il conflitto? Vedere che soldati, spesso molto giovani, tornano da esperienze così estreme e finiscono per togliersi la vita o vivere con un peso psicologico insormontabile, ci impone un esame di coscienza collettivo. Ogni cifra di PTSD, ogni tentativo di suicidio, ogni vita spezzata, non è solo una statistica nel contesto della guerra; è una storia individuale di sofferenza inimmaginabile, di sogni infranti e di famiglie distrutte. Questi “orrori che il mondo non potrà mai comprendere veramente” — come è stato detto — non rimangono confinati ai campi di battaglia, ma si riversano nelle società, nelle case, nella psiche di intere generazioni. Non possiamo permetterci di ignorare questa epidemia silenziosa che consuma le menti di chi, spesso convinto di combattere per una giusta causa, si trova poi a fronteggiare fantasmi che nessun nemico visibile può eguagliare. È un richiamo potente alla necessità di una pace duratura e a un investimento prioritario nella salute mentale, non solo per chi ha indossato un’uniforme, ma per ogni essere umano che vive le conseguenze di contesti così brutali.

Glossario:
  • PTSD: Disturbo da Stress Post-Traumatico, una condizione di salute mentale che può verificarsi dopo aver vissuto o assistito a un evento traumatico.
  • IDF: Si fa riferimento alle Forze Armate Israeliane, comunemente note come l’esercito dello Stato di Israele.

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