- L'OMS definisce l'ospedale Nasser come «unico, gigantesco reparto di traumi».
- Attacchi hanno causato «decine di morti e feriti» all'ospedale un mese fa.
- A marzo 2024 soldati israeliani hanno fatto irruzione nell'ospedale Nasser.
- «Due bambini su tre» a Gaza sono gravemente traumatizzati.
- Dieci ospedali colpiti in «sette giorni», vulnerabilità infrastrutture mediche.
- Il 3 giugno 2025 bombardamento all'ospedale Nasser: 59 morti e 200 feriti.
La situazione all’ospedale Nasser di Khan Younis è stata definita dall’OMS come quella di un “unico, gigantesco reparto di traumi”. Questa descrizione, rilasciata ventidue ore fa, sottolinea la portata della crisi umanitaria che sta colpendo la Striscia di Gaza, con un afflusso incessante di pazienti che necessitano di cure urgenti a causa delle violenze.
L’ospedale, una delle principali strutture sanitarie nel sud dell’enclave, è divenuto un simbolo delle difficili condizioni in cui opera il personale medico e della sofferenza dei civili. Solo un mese fa, raid e attacchi circostanti avevano già causato vittime e danni significativi all’interno e nelle vicinanze della struttura, come riportato da diverse fonti di stampa. Si parla di decine di morti e feriti in episodi distinti, evidenziando la pericolosità dell’ambiente operativo per chi cerca riparo e assistenza medica. L’IDF un mese fa aveva ordinato evacuazioni immediate da aree vicine, complicando ulteriormente l’accesso e la sicurezza per l’ospedale Nasser e per la popolazione in generale. La dimensione del trauma è tale che l’ospedale sta lottando per far fronte al carico di lavoro e alla gravità delle ferite, trasformandosi di fatto in un centro di gestione delle emergenze su scala massiccia. Questa pressione costante sul sistema sanitario ha conseguenze devastanti, non solo dal punto di vista fisico per i pazienti, ma anche per la tenuta stessa delle strutture e del personale, come sottolineato in occasione di attacchi avvenuti diversi mesi fa.
L’attacco all’ospedale Nasser diversi mesi fa, secondo l’OMS, ha esacerbato la crisi del sistema sanitario, già fragile. Le notizie di raid e bombardamenti nelle aree limitrofe, con un alto numero di vittime civili, inclusi donne e bambini, come accaduto circa un mese fa a una famiglia a Khan Younis dove nove bambini sono stati uccisi, dipingono un quadro di distruzione diffusa che impatta direttamente sulla funzionalità delle strutture mediche.
Le conseguenze psicologiche del trauma continuo
La guerra a Gaza ha un impatto inimmaginabile sulla salute mentale, specialmente sui bambini, come documentato da diverse organizzazioni. Questa non è una condizione “post-traumatica”, ma un “trauma cronico”, costante e ininterrotto. Le esperienze di violenza, sfollamento, perdita e insicurezza lasciano cicatrici profonde. All’ospedale Nasser, in particolare, l’afflusso continuo di feriti gravi e la precarietà della situazione creano un ambiente altamente stressante per pazienti, familiari e personale medico.
Medici e volontari, che operano in condizioni estreme, sono esposti quotidianamente a scene di grande sofferenza, mettendo a dura prova la loro resilienza psicologica. L’evacuazione o l’assedio dell’ospedale Nasser, avvenuti mesi fa, avrebbero e hanno avuto conseguenze devastanti, non solo da un punto di vista medico ma anche psicologico, interrompendo l’accesso alle cure e al supporto in un momento di estrema necessità. È stato riportato che a marzo 2024, soldati israeliani hanno fatto irruzione nell’ospedale Nasser, arrestando personale medico, un’azione che amplifica il senso di insicurezza e vulnerabilità per tutti coloro che dipendono dall’ospedale.
La perdita, come quella straziante di nove figli da parte di una pediatra dell’ospedale Nasser in un raid aereo diversi mesi fa, è un esempio lampante del tributo umano e psicologico pagato in questo conflitto. L’impatto sulla salute mentale dei bambini è particolarmente grave: secondo alcune stime, ben due bambini su tre sono gravemente traumatizzati dalle esperienze vissute e dal continuo timore di nuove violenze. Questo danno alla salute mentale è descritto come “collettivo, continuo e intergenerazionale”, sottolineando come il trauma si trasmetta e si insedi profondamente all’interno della comunità. La richiesta di riabilitazione e supporto psicologico è crescente, ma le risorse sono estremamente limitate in un contesto di distruzione e assedio.
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- 🤔 Ma se guardassimo la situazione da un altro punto di vista......
Il sistema sanitario sotto assedio
L’ospedale Nasser non è un caso isolato; si inserisce in un contesto più ampio in cui le strutture sanitarie di Gaza sono costantemente sotto minaccia. Un mese fa, è stato documentato come dieci ospedali fossero stati colpiti in soli sette giorni, a dimostrazione della sistematica vulnerabilità delle infrastrutture mediche. L’area dell’ospedale Nasser, la più grande struttura sanitaria nel sud della Striscia, è stata in diverse occasioni oggetto di bombardamenti e incursioni.
L’Osservatore Romano ha riportato come gli attacchi da parte israeliana sugli ospedali della Striscia di Gaza non abbiano sosta, descrivendo uno “stillicidio quotidiano di notizie”.
Data | Tipo di attacco | Ospedali colpiti | Numero di vittime |
---|---|---|---|
3 Giugno 2025 | Bombardamento | OSP. Nasser | 59 morti e 200 feriti |
10 Maggio 2025 | Attacco aereo | Al Aqsa | Non specificato |
Questo assedio continuo ha portato in passato al “fuori servizio” di strutture vitali come l’ospedale Nasser, un evento che risale a diversi mesi fa, quando il Ministero della Sanità palestinese aveva lanciato un appello urgente alla comunità internazionale per salvare pazienti e medici. Il KHAN YOUNIS HOSPITAL, recentemente definito come l’unica ancora di salvezza per curare i feriti nel meridione della Striscia un mese fa, rappresenta attualmente un vero e proprio epicentro della crisi. Medici Senza Frontiere ha documentato ripetutamente la drammatica condizione dell’OSPEDALE NASSER, evidenziando sia l’impossibilità che le severe limitazioni degli accessi e delle uscite dalla struttura.
Affrontare il trauma in un contesto di crisi continua
La situazione a Gaza mette in luce la crudele realtà del trauma continuo e cumulativo. Contrariamente al concetto di disturbo “post”-traumatico, a Gaza il trauma è incessante e inestricabile dalla vita quotidiana. Questa condizione richiede un approccio diverso dalla terapia tradizionale, che presuppone una fase di recupero “dopo” l’evento traumatico. La salute mentale a Gaza è profondamente compromessa, e la violenza genera altra violenza, creando un ciclo difficile da spezzare.
La comunità internazionale è chiamata ad intervenire per prevenire ulteriori tragedie, ma le azioni concrete per fornire supporto psicosociale su vasta scala rimangono una sfida immane. La resistenza psichica in Palestina diventa una forma di adattamento in un contesto in cui il “post” non esiste, e il trauma non può essere rappresentato o elaborato secondo modelli convenzionali. La pratica terapeutica per la pace in questo contesto deve tenere conto delle asimmetrie di potere e dei traumi collettivi che allontanano le comunità, cercando di costruire percorsi di resilienza anche in assenza di una risoluzione immediata del conflitto.
Glossario:
- Trauma cronico: trauma che persiste nel tempo, senza un periodo di recupero definito.
- Resilienza: capacità di affrontare e superare le difficoltà.
- PSP: supporto psicosociale, fondamentale in situazioni di crisi umanitaria.
Il danno alla salute mentale, in particolare quello dei bambini, è considerato irreparabile, e richiede un impegno a lungo termine per la riabilitazione e il sostegno psicologico.
Il trauma continuo che si vive a Gaza, e che si manifesta in tutta la sua crudezza all’interno dell’ospedale Nasser, ci offre una prospettiva dolorosa ma cruciale sulla mente umana. Una nozione base della psicologia comportamentale ci dice che gli esseri umani apprendono e si adattano agli stimoli ambientali. In un ambiente dove il pericolo è costante, la mente si configura per rispondere a minacce immediate, sviluppando meccanismi di sopravvivenza, anche a costo di profondo stress e paura. Questo apprendimento adattivo, seppur utile nell’immediato, può avere conseguenze durature sulla capacità di gestire le emozioni e sviluppare relazioni sicure. Andando più a fondo con una nozione avanzata di psicologia cognitiva, possiamo riflettere sul concetto di “dissociazione”, un meccanismo di difesa che permette alla mente di “staccarsi” da un’esperienza troppo dolorosa per essere pienamente elaborata. In un contesto di trauma continuo, la dissociazione può diventare una modalità di esistenza quasi permanente, alterando la percezione di sé e del mondo circostante. Pensare a queste realtà ci spinge a interrogarci sulla nostra stessa resilienza e sulla capacità di empatia di fronte a sofferenze così distanti. Come possiamo mantenere la nostra umanità e offrire un supporto significativo quando siamo confrontati con orrori che sembrano trascendere la comprensione?
Forse, il primo passo è riconoscere la profonda connessione tra il trauma individuale e quello collettivo, e comprendere che il benessere mentale di chi vive in un luogo come Gaza è intrinsecamente legato alla stabilità e alla sicurezza del suo intero tessuto sociale. Questa affermazione sollecita una profonda riflessione riguardo al nostro contributo, per quanto possa apparire minimo, nell’agevolare la pace e il rispetto della dignità umana, indipendentemente dal contesto.