- Nel 2024, il 46,9% degli adulti italiani è in sovrappeso/obeso.
- Il 21,6% dei giovani nati dopo il 2000 è in sovrappeso.
- Campania: il 6% dei bambini soffre di obesità grave.
L’inquietante ascesa dell’obesità in Italia: un allarme sociale e sanitario
Il nostro Paese sta attraversando una crescente crisi sia sul piano sanitario che su quello sociale:
l’obesità ed il sovrappeso stanno assumendo proporzioni inquietanti. Le statistiche
attuali rivelano una situazione allarmante; l’aumento dell’incidenza riguarda non soltanto gli adulti
ma investe anche i segmenti giovanili della popolazione in maniera sorprendentemente rapida. Sulla
base delle ultime analisi fornite dall’Istat nel corso del 2024, si stima che
più di 23,3 milioni di adulti italiani – equivalenti a quasi il cinquanta per cento dei
cittadini over diciotto – siano affetti da problemi legati al peso. Questo trend ha registrato
una crescita evidente: tra il 2003* ed il 2024*, la percentuale delle persone obese è
aumentata dal **42,6%** fino al *46,9%, rivelando come l’obesità “reale” sia cresciuta del
30%, da un tasso dell’ 9% ad uno dell’ 11,8%. [Obesity Monitor,
2025]. Un dato particolarmente allarmante emerge dall’analisi generazionale: i nati nei
primi anni 2000 mostrano un rischio significativamente maggiore. Nella fascia d’età 20-24 anni, il
21,6% dei giovani nati dopo il 2000 è in eccesso di peso, un dato nettamente superiore al 13,4% dei
loro coetanei nati negli anni ’60. Questa disparità è ancora più evidente tra le donne, dove il
17,4% delle nate tra il 2000 e il 2004 risulta in sovrappeso, quasi il doppio rispetto al 9% delle
coetanee degli anni ’60.

Il World Obesity Day 2024 ha ribadito l’entità del problema, evidenziando che oltre 25
milioni di italiani, ovvero il 46% della popolazione, sono in eccesso di peso, con un preoccupante
26,3% che riguarda bambini e adolescenti, pari a circa 2,2 milioni di giovani. In alcune regioni,
come la Campania, i dati sono ancora più critici, con il 6% dei bambini in condizioni di obesità
grave, il 12,6% obesi e il 24,6% sovrappeso. Questi numeri non solo sottolineano la gravità
dell’obesità come malattia cronica, complessa e multifattoriale, ma evidenziano anche l’urgenza di
un “impegno politico tempestivo e concreto” per affrontare questa sfida sanitaria e
sociale. La consapevolezza, tuttavia, non è ancora diffusa come dovrebbe: una parte significativa
degli adulti obesi (11,1%) e in sovrappeso (54,6%) non riconosce la propria condizione come un
problema di salute, ostacolando l’adozione di misure preventive e terapeutiche.
- 25 milioni di italiani in sovrappeso (World Obesity Day 2024).
- Rischio di obesità grave in Campania: 6% bambini.
La crescente prevalenza dell’obesità è strettamente legata a un peggioramento delle abitudini
alimentari. Se nel 1994 il 94% degli italiani consumava frutta e verdura quotidianamente, nel 2024
questa percentuale è scesa al 78,2% [Dati Istat, 2024]. Parallelamente, sebbene si
registri un lento aumento nella pratica sportiva continuativa (dal 16,6% nel 1995 al 27,6% nel
2023), le forme più leggere di esercizio fisico sono in calo, e la sedentarietà rimane elevata,
attestandosi al 35,1%. Questa combinazione di dieta squilibrata e insufficiente attività fisica è
una delle forze motrici dietro l’epidemia di obesità, che non è semplicemente una questione di
responsabilità individuale, ma il risultato di un’interazione complessa di fattori genetici,
ambientali e socioeconomici.

L’obesità accresce drasticamente il rischio di sviluppare patologie gravi, tra cui diabete di tipo
2, ipertensione, dislipidemia, apnea ostruttiva del sonno, osteoartrite e, in modo preminente,
malattie cardiovascolari, che rappresentano la principale causa di morte tra le persone obese. Il
legame tra l’indice di massa corporea (BMI) e il rischio di infarto del miocardio, ictus e
scompenso cardiaco è chiaro e inequivocabile. Secondo il presidente della IBDO Foundation, Paolo
Sbraccia,
“L’obesità è una malattia cronica complessa e multifattoriale”
, sottolineando l’importanza di un approccio sistemico nella gestione di questo problema. Il
settimo Italian Obesity Barometer Forum del luglio 2025 ha ribadito la necessità di riconoscere
l’obesità come vera e propria malattia e di combattere lo stigma ad essa associato, promuovendo
strategie mirate per una gestione efficace della patologia e un miglioramento della qualità di
vita.
Italia dal 2003.
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Il trauma infantile come substrato: gli ACEs e l’obesità
A prescindere dalle cause apparenti collegate a stili di vita non salutari e predisposizioni
genetiche già note, ricerche recenti si stanno focalizzando su una questione fondamentale e
frequentemente sottovalutata: il nesso esistente tra i traumi vissuti durante
l’infanzia—conosciuti come Adverse Childhood Experiences (ACEs)—e la manifestazione
dell’obesità. Queste esperienze sfavorevoli comprendono eventi traumatici quali abusi fisici,
psicologici o sessuali; negligenza; violenza domestica; oppure condizioni familiari caratterizzate
da disturbi psichiatrici o dall’uso problematico di sostanze. Esse rappresentano un rilevante
fattore predisponente all’obesità non soltanto in età adulta ma anche nella popolazione pediatrica.
È comune che i bambini che affrontano tali situazioni difficili cerchino rifugio nel cibo per
gestire le loro emozioni negative o le pressioni esterne, sviluppando pertanto propensioni
all’alimentazione emotiva.
Tale meccanismo può dar origine a un circolo vizioso dove il cibo si trasforma in uno strumento
per far fronte al dolore interiore oppure allo stress stesso—condotta che spesso culmina in sbalzi
alimentari significativi con conseguenze dirette sull’aumento ponderale del soggetto. La ricerca ha
dimostrato una correlazione diretta tra un punteggio ACE più elevato (indicativo di un maggior
numero di esperienze traumatiche) e un aumentato rischio di sviluppare obesità, diabete e altre
patologie croniche.
“Un’importante proporzione di donne con disturbi dell’alimentazione ha riportato esperienze di
abuso sessuale infantile”
[Becker & Grilo, 2011]. Il meccanismo attraverso cui i traumi infantili
influenzano il peso corporeo è multifattoriale e coinvolge profonde alterazioni neurobiologiche. Le
ACEs possono di fatto alterare lo sviluppo del cervello, colpendo in particolare il sistema di
ricompensa e i circuiti di gestione dello stress. Il sistema mesolimbico dopaminergico, cruciale
nella codifica del piacere e della gratificazione, risponde in modo alterato agli stimoli,
compresi quelli legati al cibo. In condizioni di stress cronico o trauma, il rilascio di dopamina
nel nucleo accumbens può essere compromesso o disregolato, portando a una ricerca compulsiva di
stimoli esterni, tra cui cibi altamente palatabili, per ottenere la gratificazione che in altre
circostanze sarebbe fornita da stimoli naturali. Questo può generare una vera e propria
food addiction, una condizione clinicamente riconosciuta che si manifesta con un impulso
irrefrenabile verso il cibo, simile a quello che caratterizza altre dipendenze.

Il trauma infantile, influenzando la neurobiologia della ricompensa, può quindi predisporre
l’individuo a una maggiore vulnerabilità a comportamenti alimentari disfunzionali, come l’eccesso
di cibo o la ricerca di “comfort food”, che attivano fortemente il sistema della ricompensa. È
essenziale adottare una prospettiva che riconosca questa complessa interazione, altrimenti si
rischia di ridurre l’obesità a una mera questione di volontà personale, trascurando le radici
profonde che affondano in esperienze traumatiche e nelle loro conseguenze neurobiologiche a lungo
termine.
- Recente ricerca ha collegato ACEs all’obesità e ai disturbi alimentari.
- Le esperienze traumatiche infantili possono indurre comportamenti di alimentazione disfunzionale.
- Un ciclo vizioso di stress e alimentazione emotiva è frequentemente osservato.
Approccio terapeutico centrato sul trauma: la via per una cura olistica
Considerando la crescente evidenza del legame tra traumi infantili e obesità, è imperativo che gli
interventi terapeutici si evolvano verso un approccio trauma-informed. Questo tipo di approccio si
distingue per la sua visione olistica, che non si limita a trattare i sintomi dell’obesità, come
l’eccesso di peso, ma si concentra sulla persona nella sua interezza, riconoscendo e affrontando le
sofferenze causate da eventi traumatici pregressi. L’obesità, spesso liquidata come una semplice
scelta o mancanza di autocontrollo, è invece una malattia complessa, cronica e multifattoriale, che
richiede un “intervento terapeutico multidisciplinare” che vada oltre la mera prescrizione
dietetica o l’incentivo all’attività fisica.
È fondamentale integrare supporto nutrizionale, psicologico e sociale, e in molti casi, la
psicoterapia gioca un ruolo cruciale. Tra le terapie più efficaci in questo contesto, la Terapia
Cognitivo Comportamentale per l’obesità (CBT-O) e la Terapia Comportamentale Dialettica (DBT)
emergono come strumenti potenti. La DBT, già ampiamente riconosciuta per il trattamento di disturbi
alimentari come anoressia, bulimia e Binge Eating Disorder (BED), può efficacemente aiutare a
modificare i comportamenti disfunzionali legati all’alimentazione, lavorando sulle emozioni intense
e disregolate spesso associate al trauma.
La stabilizzazione del paziente è un pilastro fondamentale negli interventi
trauma-informed. Prima di affrontare direttamente i ricordi traumatici, è essenziale costruire una
base di sicurezza e stabilità emotiva. Questo implica l’apprendimento di strategie di regolazione
emotiva, la gestione dello stress e lo sviluppo di risorse interne che consentano al paziente di
affrontare il proprio disagio senza ricorrere a meccanismi di coping distruttivi, come
l’alimentazione compulsiva.
peso del 15% dopo 12 mesi” [Dalle Grave et al., 2020]. Il
modello terapeutico suggerito per gestire l’obesità resistente ai metodi
comportamentali deve necessariamente includere tali aspetti fondamentali. La chirurgia bariatrica
si configura come una possibile soluzione solo in specifici casi di obesità grave, ma
ciò non elimina il bisogno imprescindibile di ricevere sostegno psicologico appropriato sia
antecedentemente che successivamente all’intervento. Questo è cruciale per affrontare le questioni
emotive e comportamentali sottostanti al disturbo. È essenziale che i pazienti affetti da obesità
ricevano un trattamento rispettoso della loro dignità, combattendo attivamente lo stigma
prevalente nella società; è quindi imperativo assicurare pari opportunità nell’accesso a
diagnostica e interventi terapeutici, così come al supporto psicologico su tutto il territorio
nazionale.
Oltre la bilancia: una riflessione sul peso del passato
L’incremento dell’obesità in Italia non è soltanto un problema di salute fisica, ma un campanello
d’allarme che risuona profondamente nelle sfere della salute mentale e psicologica. Abbiamo visto
come le esperienze traumatiche infantili, le ACEs, possano plasmare, a nostra insaputa, il
nostro rapporto con il cibo, trasformandolo da fonte di nutrimento in rifugio emotivo. Questo
meccanismo, radicato nella neurobiologia del sistema di ricompensa, ci spinge a cercare nel “comfort
food” una gratificazione che altre esperienze ci hanno negato o che il nostro cervello disfunzionale
non riesce più a processare correttamente.
Molti studi evidenziano un’importante correlazione tra trauma e il rischio di obesità; ad esempio,
“L’abuso sessuale infantile è un fattore di rischio significativo per lo sviluppo della bulimia
nervosa”
[Carter et al., 2006]. È essenziale riconoscere che non si tratta solo di scelte
alimentari, ma di come le esperienze passate influenzano le attuali decisioni di vita e salute.
- ACEs: esperienze infantili avverse che includono traumi fisici, emotivi e sessuali.
-
Binge Eating Disorder (BED): disturbo caratterizzato da episodi ricorrenti di
abbuffate di cibo.
Un’approccio multidisciplinare per la cura dell’obesità
La lotta all’obesità, quindi, non si combatte solo con diete e programmi di esercizio fisico.
Richiede un atto di profonda empatia e comprensione verso chi ne soffre. Dobbiamo riflettere
sul fatto che, per molti, il peso corporeo è una memoria incarnata di sofferenze passate,
un sintomo silente di traumi non elaborati. Riconoscere questa connessione significa spostare il
focus dalla colpevolizzazione alla cura, dallo stigma alla compassione. È un invito a esplorare non
solo “cosa” mangiamo, ma “perché” mangiamo in certi modi, e a considerare che dietro ogni chilo in
eccesso potrebbe celarsi una storia di résilience e di sopravvivenza, che merita di essere
ascoltata e curata con rispetto e competenza. Solo così potremo costruire una società più sana, non
solo nel corpo, ma anche nell’anima, che sappia riconoscere e accogliere tutte le sue fragilità.
- Medici e specialisti della salute.
- Psicologi e terapisti per il supporto emotivo.
- Nutrizionisti per la consulenza alimentare.