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Migrazione infantile: quali sono le ferite invisibili che segnano i giovani migranti?

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  • I giovani migranti affrontano violenze sociali, politiche, economiche e psicologiche.
  • Dal 20% al 25% dei richiedenti asilo ha subito torture.
  • Solo il 5% dei 600.000 torturati in Europa riceve cure adeguate.

Il peso invisibile della migrazione: Traumi precoci e vulnerabilità psicologica

Il fenomeno della migrazione è frequentemente concepito come un semplice cambiamento geografico; tuttavia racchiude in sé una serie articolata di ferite profonde ed elaborate con effetti perniciosi invisibili sul piano psicologico – queste sofferenze influiscono particolarmente sui giovani migranti. Costretti ad abbandonare il proprio nido domestico insieme a tutto quello che riconoscono come familiare, questi ragazzi affrontano percorsi intrisi d’insidie tali da incidere profondamente sia sul corpo sia sulla mente. La perdita della casa è molto più dell’assenza fisica: essa implica lo strappo dei fondamentali legami emotivi e culturali indispensabili per l’affermazione dell’identità personale. L’abbandono improvviso della propria realtà si traduce quindi in uno shock iniziale aggiuntivo rispetto alle già difficili situazioni incontrate lungo il tragitto.

Le motivazioni sottostanti queste fughe dai paesi d’origine risultano diverse e sempre più pressanti: dal manifestarsi delle violenze belliche alle ingiustizie politiche fino all’impatto devastante della povertà estrema o dagli sconvolgimenti dovuti ai mutamenti climatici. In questo delicato momento evolutivo i giovani vivono uno stato di esposizione verso nuove forme senza pari di vulnerabilità nella loro storia personale. All’interno dei loro contesti originari, numerosi individui hanno già affrontato situazioni caratterizzate da un’intensa violenza sociale, *politica*, *economica* e psicologica; eventi tragici quali guerre sanguinose, lutti familiari o strazianti distacchi dai genitori ne costituiscono gli aspetti più drammatici. Le loro precedenti esperienze migratorie si traducono frequentemente in effetti deleteri come il sopraggiungere di disturbi post-traumatici da stress (PTSD), ansia persistente o stati depressivi; nei più piccoli poi il fardello dei traumi precoci può dar luogo a sensibili ritardi nello sviluppo cognitivo, emotivo &e sociale.

L’odissea migratoria assume i connotati di un vero proprio calvario: gli attraversamenti problematici fra deserto e oceani rappresentano solo una parte della vicenda mentre il rischio quotidiano dell’sfruttamento, degli abusi, della fame,* che affligge coloro che tentano questa strada tortuosa resta palpabile nelle mancate garanzie ai confini. La sorte vuole anche l’allontanamento forzoso dalle famiglie; moltissimi trovano se stessi rinchiusi in centri detentivi contraddistinti dalla disumanità oppure alla mercé del tempo nei campi profughi caratterizzati da condizioni miserabili. Tali spazi non risultano esclusivamente stancanti sotto il profilo fisico ma colpiscono profondamente anche sul piano emotivo rendendoli esperienze veramente difficili da sopportare. La dipendenza assoluta da adulti sconosciuti per la sopravvivenza accresce la loro vulnerabilità e un senso di paura opprimente. L’esito di tali esperienze è spesso uno stress cronico, con ipervigilanza e una profonda sensazione di impotenza.

“Un minore è felice quando crede che il suo ambiente sia sicuro e controllato.”

Anche l’arrivo nel paese ospitante non segna la fine delle difficoltà, ma l’inizio di una nuova serie di ostacoli psicologici e sociali. I giovani rifugiati devono confrontarsi con lingue, culture e norme sociali sconosciute, spesso incappando in discriminazione e xenofobia. L’incertezza sullo status legale e la continua separazione dai propri cari aggravano ulteriormente il carico emotivo. L’accesso ai servizi di salute mentale è sovente limitato da barriere linguistiche, legali o sistemiche. In questo nuovo contesto, molti lottano con una perdita di identità e familiarità, la mancanza di strumenti di coping e di sistemi di supporto, instabilità emotiva e, in alcuni casi, un intenso senso di colpa del sopravvissuto. La narrazione riguardante i rifugiati rappresenta frequentemente una narrazione caratterizzata da sofferenza, esperienze traumatiche precoci e gravose che si protraggono nel tempo. Si calcola che dal 20% al 25% delle persone in cerca d’asilo abbiano vissuto l’orrenda esperienza della tortura, un fenomeno ancora attivo in ben 102 nazioni del mondo. Nella cornice europea, circa 600.000 individui fuggiti da contesti violenti hanno patito questa terribile sorte; tuttavia, solo 30.000 (ossia un modesto 5%) hanno avuto accesso a trattamenti terapeutici adeguati. Tale scenario allarmante sottolinea la sconcertante carenza nei sistemi di sostegno e assistenza predisposti per questa popolazione vulnerabile: ciò costringe molti a combattere da soli contro le pesanti ripercussioni negative derivate dai loro drammi personali.

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  • Articolo toccante, mette in luce le ferite invisibili... ❤️...
  • Mi sembra che l'articolo ignori completamente le risorse... 🤔...
  • Interessante notare come il trauma migratorio possa essere visto... 🧠...

Le cicatrici nascoste: Impatto neurobiologico e conseguenze a lungo termine

Le esperienze traumatiche estreme e croniche, definite “T grandi”, minacciano l’integrità fisica e psichica dei bambini migranti, generando vissuti di impotenza, disperazione e orrore. A questi si possono aggiungere i “t piccoli”, ovvero i traumi relazionali derivanti da neglect, abusi o maltrattamenti in famiglia. L’infanzia è un periodo particolarmente sensibile, poiché la personalità è ancora in formazione e manca delle risorse necessarie per proteggersi. Sentirsi minacciati di morte, picchiati o abusati produce una profonda insicurezza, diffidenza e impotenza, che porta alla creazione di meccanismi di sopravvivenza disfunzionali. Questi meccanismi tendono a cronicizzarsi anche una volta superato il pericolo, bloccando lo sviluppo e l’integrazione sociale.

Il traumatismo in età evolutiva ha gravi conseguenze neurobiologiche. Studi dimostrano un forte impatto sull’evoluzione strutturale del cervello, con possibili dimensioni ridotte o alterazioni a carico dell’ippocampo e del corpo calloso. Il sistema neuroendocrino può subire alterazioni nella produzione di cortisolo, l’ormone dello stress, mentre il sistema nervoso autonomo mostra una maggiore disregolazione nelle risposte di attacco o fuga. Queste modificazioni rendono la prognosi di remissione dei sintomi più sfavorevole rispetto agli adulti.

Le conseguenze a breve e lungo termine dei traumi sono molteplici. Subito dopo l’evento, si possono osservare sintomatologie acute come reazioni acute da stress e PTSD. Con il tempo, tuttavia, il trauma tende a cronicizzarsi e a rimanere “inscritto” nelle memorie in uno stato somato-sensoriale, ovvero attraverso sensazioni fisiche e comportamentali. I sintomi più comuni includono comportamenti agiti di attacco o fuga, disturbi comportamentali, difficoltà di concentrazione, insuccessi scolastici, perdita di competenze evolutive (come il controllo degli sfinteri o del linguaggio), aggressività, scoppi di collera improvvisi e la ripetizione compulsiva di scene traumatiche nel gioco. È essenziale riconoscere come una guarigione superficiale non si traduca necessariamente in una vera e propria integrazione o lavorazione del trauma subito. A differenza degli adulti, i bambini esprimono il loro vissuto traumatico attraverso modalità differenti. Potrebbero sembrare tranquilli e spensierati per estese fasi temporali, ma in seguito manifestare sintomi attraverso


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