- Nel 2024, 1.090 persone hanno perso la vita sul lavoro.
- Incremento del 6,6% dei casi di infortunio tra over 59.
- Nelle Marche, i decessi sono raddoppiati, passando da 2 a 4 nel 2025.
All’interno del contesto lavorativo attuale, gli incidenti sul posto di lavoro non causano soltanto ferite fisiche immediate, ma creano anche una seria ed intricata problematica riguardante il benessere mentale sia dei dipendenti sia delle loro famiglie. Una valutazione dettagliata dei dati recenti—particolarmente quelli forniti dall’INAIL—mette in luce uno scenario preoccupante che non conosce confini legati né all’età né ai vari settori professionali; ciò testimonia l’esistenza reale di una crisi psicologica impellente che esige modifiche significative nella prevenzione e nell’assistenza offerta ai lavoratori. In effetti, nessun incarico dovrebbe mai superare il valore della vita umana nel corso dell’intera esistenza; tuttavia le statistiche continuano tristemente a documentare perdite umane intollerabili.
Entro il prossimo anno del 2024, nelle ricerche condotte da INAIL emerge l’inquietante cifra totale delle vittime sul lavoro: ben 1.090 individui hanno perso la vita. Per quanto riguarda specificamente la classe d’età compresa fra i 55 ed i 64 anni, sotto questo aspetto rimane quella maggiormente colpita, registrando ben 273 casi mortali. Nel momento però in cui ci si imbatte nel rapporto fra incidenze relative agli occupati emerge così una questione ancor più straziante: gli ultrasessantacinquenni, per esempio, hanno incontrato un pericolo mortale praticamente triplicato rispetto ai loro omologhi più giovani. Nel dettaglio sono state registrate circa 138 decessi ogni milione. Rispetto alla categoria successiva formata dai soggetti tra 55 e 64 anni, nella quale il tasso risulta bloccato attorno al numero equo di 54, e cinque. Unitamente, assumono riflessività inequivocabili nei confronti dell’interezza settoriale rappresentativa. Tale fenomeno, sovente nascosto sotto il velo di aggregazioni statistiche troppo generalizzate, mette in evidenza una vulnerabilità precisa e allarmante che necessita urgentemente di una valutazione approfondita.
La gravità della situazione emerge chiaramente dall’aumento dei casi denunciati d’infortunio tra i lavoratori con più di 59 anni: siamo infatti dinanzi a un incremento del 6,6%. Tuttavia, la capacità di sviluppare interventi preventivi efficaci è fortemente compromessa dalla scarsità di dati esaustivi. Le analisi ufficiali tendono a non fornire dettagli sufficienti secondo fasce d’età più segmentate (quali i gruppi 60-64 o over 65), complicando notevolmente l’applicazione strategica necessaria per affrontare questa problematica. Tale mancanza informativa limita la piena comprensione delle tendenze comportamentali degli infortuni sul lavoro ed esclude azioni correttive adeguatamente incisive da essere attuate; questo aspetto contribuisce a peggiorare uno scenario già preoccupante.
Le conseguenze emotive generate da simili eventi trascendono il singolo individuo colpito, investendo famiglie intere e alterando destini. L’impatto psicologico risulta devastante: provoca sofferenza profonda al pari dell’elaborazione del lutto stesso e instilla nella comunità quel senso radicato d’insicurezza circa il futuro imminente. In questo contesto, l’INAIL svolge un ruolo cruciale attraverso il suo servizio sociale, offrendo non solo assistenza burocratica per le prestazioni, ma anche un fondamentale “momento di ascolto e relazione”. Questo supporto è essenziale per il rilascio emotivo e la gestione del lutto, alleviando l’ansia legata a un futuro incerto e connettendo le famiglie con i servizi territoriali.
Il tributo umano e sociale degli incidenti sul lavoro è ulteriormente evidenziato da dati regionali e settoriali che presentano tendenze preoccupanti. Nelle Marche, il primo trimestre del 2025 ha fatto registrare un peggioramento rispetto all’anno precedente, con un aumento degli infortuni totali (da 3.347 a 3.355) e un raddoppio dei decessi (da 2 a 4). Particolarmente allarmante è l’incremento degli infortuni in itinere (+11,2%), ovvero quelli occorsi durante gli spostamenti casa-lavoro. L’incidenza tra le donne è cresciuta di quasi il 5%, superando la media nazionale, e si registra un aumento anche negli infortuni scolastici (+4,8%), fenomeno parzialmente legato all’ampliamento della copertura assicurativa per gli studenti.
A livello settoriale, l’agricoltura si conferma uno degli ambiti più pericolosi, con il 44% dei casi mortali tra i lavoratori over 55. Le cosiddette “morti verdi” sono spesso causate dal ribaltamento di trattori, come dimostrano le tragiche cronache di Benevento e Irpinia, dove agricoltori di 68 e 75 anni hanno perso la vita in incidenti simili. L’edilizia, invece, è afflitta dalla piaga delle cadute dall’alto, tre volte più frequenti tra i lavoratori anziani. Casi come la morte di un muratore 65enne precipitato da un’impalcatura a Roma o di un operaio 60enne a Napoli sono drammatici esempi di questa realtà. Anche il settore dei trasporti registra incidenti mortali, spesso dovuti a schiacciamenti, come quello di un operaio 65enne rimasto incastrato in un macchinario in Valtellina o di un 60enne travolto da un muletto a Brescia.
Questi eventi reiterati rivelano non solo una questione di sicurezza fisica, ma anche le profonde conseguenze psicologiche che si manifestano nel “disturbo post traumatico da stress cronico, con depressione ed ansia miste” (PTSD). La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 31514 del 25 ottobre 2022, ha riconosciuto il PTSD cagionato da mobbing come malattia professionale indennizzabile dall’INAIL, sottolineando l’importanza di analizzare le condizioni lavorative che possono sfociare in patologie psichiatriche gravi. La sottovalutazione dell’origine professionale delle malattie mentali rimane un nodo critico, con dati INAIL che mostrano un limitato riconoscimento rispetto al crescente numero di denunce.

Il costo invisibile: patologie mentali e stress lavoro-correlato
L’attenzione crescente verso la salute mentale nei luoghi di lavoro sta rivelando una vera e propria “epidemia invisibile”, le cui ripercussioni superano di gran lunga quelle degli incidenti fisici. I dati INAIL, aggiornati tra il 2019 e il 2023, mostrano un incremento preoccupante delle patologie mentali causate da stress e condizioni traumatiche. A fronte di 2.047 denunce per malattie psichiche, solo il 7,3% ha ottenuto il riconoscimento ufficiale, a fronte di un tasso del 47,1% per le patologie non psichiche nello stesso periodo. Questo divario abissale non solo evidenzia la complessità diagnostica e la difficoltà nel dimostrare il nesso causale con l’attività lavorativa, ma suggerisce anche una probabile e diffusa sotto-segnalazione del problema.
I fattori scatenanti di queste patologie sono molteplici e profondamente radicati nelle dinamiche lavorative. Il 41% dei casi è correlato a problemi nei rapporti interpersonali, mentre il 22% è attribuibile al ruolo all’interno dell’organizzazione. La gravità di tali informazioni mette in luce la necessità imperativa di trattare i rischi psicosociali allo stesso livello dei rischi tradizionali nell’ambito delle strategie di sicurezza aziendale; questo perché le conseguenze sulla salute mentale nonché sul benessere globale degli operatori sono impossibili da ignorare.
Le professioni nel campo sanitario si rivelano tra le più vulnerabili rispetto a quest’epidemia invisibile. Medici e infermieri, insieme ai portantini, fanno registrare un significativo 11,8% nelle denunce ricevute. Analogamente, anche il settore del commercio al dettaglio registra un tasso del 9,8%, dove sono inclusi commessi e cassieri; mentre la Pubblica Amministrazione si attesta su un 6,3%, riguardando gli impiegati amministrativi. Tra i disturbi prevalenti figurano quelli dell’adattamento (60,4%), oltre a reazioni agli stress acuti ed eminentemente il disturbo post-traumatico da stress (PTSD), riscontrando che ben il 72,5% ne attribuisce la causa all’attività lavorativa svolta. Le molestie così come gli attacchi fisici o psicologici – incluse pratiche quali mobbing o bossing – rappresentano ulteriormente elementi critici capaci di contribuire all’insorgenza di gravi malattie psichiatriche. Il caso significativo da prendere in considerazione è quello di una giovane studentessa diciassettenne che ha riportato gravi ferite alla mano sinistra durante uno stage in un vivaio situato nella provincia di Modena; ciò accadde mentre maneggiava un tosaerba senza apparente supervisione. Tale incidente del giugno 2025 riporta all’attenzione generale le problematiche connesse alla sicurezza nell’ambito dell’alternanza scuola-lavoro. Esso mette in luce come i ragazzi possano essere vulnerabili ai rischi reali quando sono inseriti prematuramente nel contesto lavorativo senza idonee garanzie. Non solo si tratta di traumi fisici; eventi simili comportano anche effetti profondamente deleteri sul piano psicologico, creando preoccupazioni sia per la vittima sia per la sua famiglia — incutendo timore e ansia per ciò che riserva il futuro oltre a prolungare i tempi necessari al recupero con possibili ripercussioni durevoli. Sia le istituzioni educative che i sindacati hanno chiesto una revisione complessiva dei protocolli esistenti, oltre a una maggiore attenzione formativa mirata a garantire la sicurezza intrinseca dell’alternanza stessa invece che stigmatizzarla. 894 denunce, un aumento dello 0,8% rispetto all’anno precedente. Marco Daniele Ferri, presidente di Confcooperative Lavoro e Servizi Lombardia, sottolinea come questo incremento, seppur contenuto, evidenzi che le attuali misure non sono sufficienti. Egli propone un cambiamento culturale che vada oltre le procedure formali e stimoli una maggiore consapevolezza del valore umano e sociale della sicurezza. I costi non sono solo economici (assenze per malattia, straordinari, assistenza familiare), ma anche intangibili (danno d’immagine e impatto psicologico sui colleghi e sul clima lavorativo). Le province di Como (+7,8%) e Varese (+7,4%) hanno registrato gli aumenti percentuali più significativi.
In un contesto più ampio, a livello europeo, lo stress lavoro-correlato è una “strage silenziosa” che causa oltre 10. Nel panorama degli infortuni professionali si registrano annualmente circa 000 morti, cifra nettamente superiore ai 4.000 decessi causati da incidenti fisici. Secondo la Confederazione Europea dei Sindacati (CES), più di 6.000 vittime possono essere imputate alle coronaropatie ed ulteriormente i casi di suicidio collegabili alla depressione indotta dal contesto lavorativo superano le 4.999 unità. Questo fenomeno presenta un impatto diseguale soprattutto sulle donne ed è prevalentemente distribuito nelle aree centrali, europee orientali ed europee sudorientali.
La CES sollecita l’introduzione di una normativa mirata per assicurare che le aziende compiano delle valutazioni riguardo ai rischi psicosociali coinvolgendo direttamente i dipendenti insieme ai loro rappresentanti.
Le metamorfosi veloci nel mercato del lavoro dovute all’emergere dell’intelligenza artificiale (IA) insieme al processo di digitalizzazione stanno imponendo nuove sfide quali lo stress cronico, sull’isolamento delle persone, nonché sul fenomeno sempre più diffuso del burnout.
Tale situazione è stata esacerbata dall’aumento del telelavoro dopo la pandemia ma anche dalla perpetua disponibilità richiesta dalle organizzazioni aziendali.
In Italia ormai circa un terzo della forza lavoro riporta sintomi riconducibili al seasonabrain; work-.
Ciò implica altresì che molti lavoratori hanno dovuto cercare assistenza psicologica affinché si possano gestire tali difficoltà poste dall’ambiente professionale.
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L’innovazione tecnologica e il supporto psicologico: pilastri per la prevenzione
Di fronte a un quadro così complesso e allarmante, l’innovazione tecnologica, in particolare l’intelligenza artificiale (IA), emerge come una nuova e promettente frontiera per la prevenzione degli incidenti e la tutela della salute mentale sul lavoro. L’IA sta trasformando radicalmente l’approccio alla sicurezza, fornendo strumenti che superano la semplice reazione agli eventi e consentono un’azione preventiva mirata e proattiva.
L’analisi predittiva, supportata dall’IA, rappresenta uno degli strumenti più innovativi. Grazie alla capacità di elaborare grandi quantità di dati storici e attuali, l’IA può individuare pattern e anomalie che indicano potenziali situazioni di rischio, permettendo di anticipare gli incidenti prima che si verifichino. Antonella Iacoviello, della Direzione Regionale Lombardia dell’INAIL, evidenzia l’importanza di questi dati per “intercettare su quale azienda, su quale settore, su quale area geografica lavorare”, consentendo di “fare quel lavoro di analisi dei bisogni”. In questo modo, è possibile costruire mappe dettagliate dei rischi che considerano fattori come orari, condizioni ambientali e caratteristiche demografiche dei lavoratori, ottimizzando l’allocazione delle risorse e l’efficacia degli interventi preventivi. L’IA può anche rilevare rischi associati a malattie professionali, segnalando anticipatamente condizioni operative o ambientali che potrebbero compromettere la salute dei lavoratori, ad esempio in presenza di sostanze chimiche o rumori elevati.
Parallelamente all’analisi predittiva, i dispositivi indossabili (wearable) dotati di sensori avanzati offrono un monitoraggio in tempo reale delle condizioni di sicurezza. Integrati in caschi o abiti da lavoro, questi dispositivi rilevano parametri vitali come la frequenza cardiaca e la temperatura corporea, segnalando situazioni di stress fisico o affaticamento. Maurizio Curtarelli, senior research project manager di Eu-OSHA, sottolinea come i dispositivi indossabili possano “rilevare variazioni nei parametri vitali dei lavoratori, quali battito cardiaco e temperatura corporea, permettendo di reagire prontamente a eventuali segni di stress fisico o pericolo”. Marcello Urgo, docente di ingegneria gestionale al Politecnico di Milano, aggiunge che l’IA può identificare “posture errate o movimenti anomali” che, nel lungo periodo, “potrebbero segnalare il rischio di infortuni”. Questo monitoraggio costante non solo permette di ridurre i tempi di risposta in caso di emergenza, ma anche di adattare rapidamente le misure di sicurezza ai cambiamenti delle condizioni ambientali, raccogliendo dati preziosi per l’analisi a lungo termine e l’ottimizzazione dell’ergonomia del lavoro.
L’automazione intelligente, che include la robotica collaborativa (cobot), contribuisce significativamente a migliorare la sostenibilità e il benessere dei lavoratori. Alleggerendo il carico fisico e ripetitivo, queste tecnologie riducono l’usura fisica e creano ambienti di lavoro meno stressanti. Guido Jacopo Micheli, docente di ingegneria e management degli impianti industriali al Politecnico di Milano, evidenzia che “riducendo il carico di lavoro fisico e i compiti ripetitivi, la robotica e l’intelligenza artificiale possono permettere ai lavoratori di concentrarsi su attività di maggiore valore e creatività”. Questo non solo previene infortuni muscoloscheletrici, ma aumenta anche la motivazione e il benessere psicologico, riducendo l’assenteismo e il turnover dei dipendenti. Paolo Vercesi, direttore esecutivo di AFIL, rimarca che l’automazione significa un “ambiente di lavoro più sicuro e meglio organizzato, grazie alla riduzione dei compiti manuali pesanti e a un sistema di produzione più stabile e prevedibile”.
Tuttavia, l’adozione dell’IA introduce nuove sfide, in particolare sul fronte del benessere psicologico. Il monitoraggio costante e la gestione algoritmica dei lavoratori possono generare un senso di sorveglianza eccessiva, riducendo l’autonomia decisionale e aumentando lo stress e l’ansia. Maurizio Curtarelli avverte che “l’utilizzo di queste tecnologie può comportare una riduzione di rapporti sociali e interazioni” che sono fondamentali per il supporto psicologico tra colleghi e il sostegno dei manager. La “gamification” del lavoro, con la pressione algoritmica per raggiungere obiettivi di produttività, può intensificare il carico di lavoro e causare burnout. È cruciale un approccio etico e trasparente che garantisca ai lavoratori visibilità sui dati raccolti e una chiara comprensione delle finalità delle tecnologie. La gestione algoritmica non deve minare il giudizio umano e l’autonomia, richiedendo una revisione del ruolo dei lavoratori e delle relazioni interne.
Per sostenere un uso responsabile dell’IA, è indispensabile un quadro normativo chiaro e trasparente. L’Europa ha già adottato un regolamento stringente, ma è fondamentale che le normative sull’IA siano definite con chiarezza per tutelare la dignità e l’autonomia dei lavoratori. Antonella Iacoviello sottolinea l’importanza di bilanciare innovazione e protezione dei diritti fondamentali: “Garantiamo i diritti fondamentali, garantiamo la libertà degli stati, garantiamo l’innovazione”. L’introduzione di tecnologie come il riconoscimento facciale o i sistemi di monitoraggio emozionale richiede un’attenta valutazione etica, e il monitoraggio in tempo reale delle attività lavorative deve essere regolamentato per evitare violazioni della privacy e della trasparenza. La formazione continua è un pilastro fondamentale: Fabiana Pirola, docente all’Università di Bergamo, indica la necessità di “sviluppare percorsi formativi specifici che possano colmare le lacune tra la ricerca accademica e le necessità delle aziende”, includendo formazione pratica per manager e operatori sulla gestione dei rischi, con strumenti immersivi come la realtà aumentata e la realtà virtuale.
Un esempio concreto dell’impegno per la sicurezza sul lavoro è l’iniziativa dello Sportello di ascolto per gli operatori del 118 in Sardegna. Questo servizio, promosso da A. N. A. S. Zonale Sardegna con il sostegno della Regione Autonoma, offre supporto psicologico gratuito per prevenire il burnout e altri disagi tra medici, infermieri, autisti e volontari esposti ad alto impatto emotivo. Colloqui individuali e di gruppo con psicologi esperti sono disponibili anche per i soccorritori in formazione, considerati più vulnerabili. L’iniziativa, completamente gratuita e sostenibile, rappresenta un riconoscimento cruciale dell’impatto psicologico delle emergenze e un passo avanti verso la tutela del benessere di chi salva vite.
Oltre la superficie: la psicodinamica del trauma in ambito lavorativo
Nell’ambito della tematica legata agli incidenti sul lavoro è imperativo superare i confini della semplice osservazione riguardante le lesioni corporee o le rilevazioni economiche. Si configura infatti una dimensione molto più complessa da esplorare: il piano psicodinamico del trauma, che necessita assolutamente d’essere approfondito con competenza. Qualsiasi evento disastroso—che si tratti dello schiacciamento accidentale di una gamba all’interno della cartiera a Momo, nella provincia di Novara, o dell’assoggettamento prolungato a situazioni lavorative opprimenti come il mobbing—si imprime irrimediabilmente nell’anima dell’individuo coinvolto. La collaborazione tra psicologia cognitiva e comportamentale si rivela fondamentale.
La sfera cognitiva applicabile alla psicologia dimostra con chiarezza come le modalità attraverso cui registriamo ed elaboriamo eventi traumatici possano alterare radicalmente la nostra reazione emotiva così come quella attuativa verso diverse circostanze. Un lavoratore protagonista di un grave sinistro sul luogo d’impiego—testimone diretto della propria gamba schiacciata sotto i rulli meccanici—non affronta solamente un forte dolore fisico; si trova ad attraversare anche un’esperienza trasformativa per quanto concerne il suo senso di sicurezza personale, l’autoefficacia nel contesto occupazionale, oltre ad incidere significativamente su quella fragilità inerente all’identità professionale. Quando un evento traumatico si verifica, la mente comincia il processo di elaborazione attraverso l’uso di schemi mentali, noti anche come schemi cognitivi. Questi possono subire deformazioni tali da generare pensieri invasivi come flashback o incubi ed evocare un continuo senso di pericolo persino in situazioni ritenute sicure. Questa dinamica rappresenta uno dei fondamenti del Disturbo Post-Traumatico da Stress (DPTS), riconosciuto non solo per le sue implicazioni cliniche ma anche giuridiche: quando si presenta in forma cronica insieme a sintomi di depressione e ansia mista, è stato validato dalla Cassazione come malattia professionale suscettibile d’indennizzo. Ciò segna una svolta rispetto all’ostacolo tradizionale nell’associare il contesto lavorativo al disagio psicologico.
Dal punto di vista della psicologia comportamentale, le ripercussioni del trauma emergono attraverso varie risposte apprese. Tali reazioni includono l’evitamento sistematico delle situazioni o degli oggetti connessi all’esperienza traumatica; un aumento dell’ipervigilanza; oppure manifestazioni quali irritabilità e scoppi d’ira. Comportamenti inizialmente mirati alla salvaguardia dell’individuo tendono ad irrigidirsi nel tempo fino a diventare disadattivi; questa evoluzione negativa può compromettere notevolmente l’ambito sociale, familiare e lavorativo della persona coinvolta. La dimensione del supporto psicologico riveste un’importanza fondamentale; esempi emblematici sono lo Sportello d’ascolto, dedicato agli operatori del 118 sardi, così come i programmi pensati per assistere gli studenti che hanno subito incidenti durante l’alternanza scuola-lavoro. Tali iniziative sono cruciali nel processo di elaborazione del trauma, nell’aiuto alla ricostruzione di schemi cognitivi funzionali e all’acquisizione di nuove tecniche di coping.
In ambito medico-legale legato alla salute mentale emerge una comprensione sempre più raffinata della connessione fra trauma psicologico persistente e neurobiologia dello stress prolungato. L’attivazione continua dell’asse HPA – composto dall’ipotalamo, dall’ipofisi e dalle ghiandole surrenali – dopo aver vissuto esperienze traumatiche o ripetuti micro-traumi quali il mobbing provoca significativi sbilanciamenti nei livelli del cortisolo e in quelli dei neurotrasmettitori associati. Le conseguenze possono manifestarsi non solo con sintomi quali ansia intensa, stati depressivi e incapacità nel mantenere alta la concentrazione, ma anche con effetti durevoli su funzioni cognitive fondamentali qual è la memoria o sull’equilibrio emotivo nei processi decisionali quotidiani. La comprensione di queste dinamiche neurobiologiche sottolinea l’importanza di interventi precoci e multidisciplinari che non si limitino al supporto psicologico, ma che possano considerare anche un eventuale supporto farmacologico, integrando approcci psicoterapeutici evidence-based come la Terapia Cognitivo Comportamentale (CBT) con un monitoraggio attento della salute medica complessiva dell’individuo.
Di fronte a queste realtà, siamo chiamati a una riflessione: quanto siamo realmente disposti a investire non solo nelle protezioni fisiche, ma anche in quelle invisibili, capaci di tutelare la mente e il futuro di chi, ogni giorno, contribuisce al nostro benessere collettivo? La vera prevenzione, in quest’ottica, non può più distinguere tra corpo e mente, ma deve abbracciare un approccio olistico in cui la dignità e la vita di ogni lavoratore siano priorità assolute, in ogni fase della sua esistenza professionale.
- PTSD: Disturbo Post-Traumatico da Stress, una condizione psicologica che si sviluppa dopo un evento traumatico.
- INAIL: Istituto Nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro, ente italiano che fornisce protezione assicurativa ai lavoratori contro gli infortuni e le malattie professionali.
- Mobbing: Accumulo di atti ostili e sistematici, che creano un ambiente di lavoro intimidatorio e degradante.

