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Infortuni sportivi: come proteggere la salute mentale degli atleti

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  • Il 34% degli atleti d'élite soffre di ansia e depressione.
  • La CTE causa degenerazione delle cellule cerebrali a seguito di traumi cranici.
  • La CBT aiuta a modificare i pensieri disfunzionali legati all'infortunio.

I danni causati dagli incidenti sportivi sono un tema spesso ignorato quando si discute della salute mentale, con una focalizzazione predominante sulle ripercussioni fisiche immediate. Eppure, le conseguenze per la sfera psichica degli atleti tendono ad avere risonanze significative e prolungate nel tempo; questi traumi possono incidere non solo sulle prestazioni sportive ma anche sul tessuto della loro vita quotidiana. Le esperienze personali sia di Helen Maroulis, famosa campionessa olimpica nel wrestling, sia di Mike Webster, noto giocatore di football americano, offrono spunti rilevanti per comprendere questa problematica articolata e evidenziano l’importanza dell’adozione di un approccio olistico nella gestione delle problematiche legate agli infortuni atletici.

L’infortunio invisibile: quando il corpo guarisce ma la mente soffre

Il caso di Helen Maroulis è emblematico per comprendere la natura insidiosa dei traumi sportivi sulla salute mentale. Dopo aver raggiunto l’apice della sua carriera con la medaglia d’oro olimpica nel 2016, Maroulis ha subito una serie di commozioni cerebrali tra il 2018 e il 2019. La commozione cerebrale, un trauma cranico causato spesso da colpi alla testa, può manifestarsi con sintomi fisici evidenti come mal di testa, vomito o problemi di equilibrio. Tuttavia, come dimostra la sua esperienza, gli effetti possono estendersi ben oltre il recupero fisico, sfociando in quello che lei stessa ha definito un “infortunio invisibile”.


Questo “infortunio invisibile” si traduce in difficoltà psicologiche significative, tra cui ansia, confusione, depressione e una profonda sensazione di non riconoscersi più. Recenti studi riportano che la prevalenza di ansia e depressione nello sport è del 34% tra gli atleti d’élite, con punte del 47,8% nel Regno Unito [Basilico 2023].
L’imposizione culturale che richiede una costante esibizione della forza e della resilienza, tipica del panorama sportivo attuale, ha rappresentato un serio ostacolo per Maroulis nell’individuare le risorse necessarie al proprio benessere emotivo. Questo fattore l’ha condotta all’internamento in una struttura psichiatrica ed ha acuito i suoi impulsi suicidi. La vicenda si fa portatrice di una riflessione profonda riguardo alla maniera in cui lo spazio atletico tenda frequentemente a ignorare o reprimere i segni del disagio mentale tra gli atleti; ciò accade proprio perché queste figure sono comunemente sovraccaricate dalla sola aspirazione al risultato. Le reiterate diagnosi della sua condizione cranica non hanno ricevuto quell’immediata attenzione dal punto di vista psicologico necessaria per limitarne la crescita del dolore interiore e dell’isolamento sociale vissuto.

I vari racconti soggettivi relativi alla vita post-traumatica evidenziano quanto sia indispensabile delineare piani riabilitativi su misura: ogni atleta possiede situazioni singolari collegate ai propri traumi passati nonché esperienze diverse da cui derivano esigenze specifiche nella terapia proposta. In questo contesto emerge significativamente la professionalità dello psicologo dello sport, poiché tale figura dispone delle conoscenze requisite nei campi sia emotivi sia pratici legati allo sport stesso; essa si rivela fondamentale nell’accompagnamento degli atleti lungo il loro percorso recuperativo. L’utilizzo strategico dell’accettazione degli eventi traumatizzanti abbinata alla psicoeducazione consente agli individui coinvolti non solo di interpretare meglio le emozioni provate ma anche di orientarsi attraverso quegli stati confusionari che frequentemente li caratterizzano durante questa delicata fase, facilitando così gradualmente il loro ripristino a uno stato ottimale dal punto di vista tanto fisico quanto mentale.

Il recupero di Maroulis, reso possibile grazie al supporto di un team di specialisti, dimostra che con il giusto aiuto è possibile superare le conseguenze psicologiche dei traumi sportivi e tornare a praticare la propria disciplina. La sua testimonianza amplifica la consapevolezza sulla necessità di considerare l’aspetto psicologico dei traumi alla stregua di quello fisico, prevenendo così conseguenze gravi come depressione, isolamento sociale e, in casi estremi, una sintomatologia precoce legata a patologie neurodegenerative. È fondamentale che le federazioni sportive e le società adottino un approccio bio-psico-sociale per garantire il supporto necessario agli atleti infortunati [Scienza e Sport 2024].

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CTE: un’ombra sul futuro degli atleti

La storia di Mike Webster, uno dei più grandi giocatori di football americano, offre un esempio tragico delle conseguenze a lungo termine dei traumi cranici ripetuti. La sua gloriosa carriera, costellata di placcaggi e scontri sul campo, lo ha reso una leggenda ma ha anche contribuito allo sviluppo dell’Encefalopatia Traumatica Cronica (CTE). Questa malattia neurodegenerativa, causata da molteplici traumi cranici, può manifestarsi anni dopo la fine dell’attività agonistica, portando a cambiamenti significativi nell’umore, nel comportamento e nelle capacità cognitive.


Dopo il suo ritiro nel 1991, Webster ha iniziato a mostrare sintomi anomali, tra cui amnesia, depressione e segni simili a quelli del Parkinson. La sua morte prematura all’età di 50 anni è stata inizialmente attribuita a un attacco di cuore, ma uno studio post-mortem ha rivelato la presenza di CTE. Questa diagnosi ha fornito una spiegazione tardiva per le difficoltà che Webster aveva affrontato negli ultimi anni della sua vita, gettando una luce sinistra sui rischi associati agli sport ad alto impatto.

La CTE è una degenerazione progressiva delle cellule cerebrali a causa di vari traumi cranici, osservata non solo in atleti, ma anche in soldati esposti a esplosioni. I sintomi possono includere cambiamenti dell’umore, alterazioni del comportamento e problemi cognitivi. Molti atleti non mostrano segni di CTE fino a fasi avanzate della vita, rendendo difficile la diagnosi precoce [MSD Manuals 2023].
Sebbene la comunità sportiva stia sviluppando una crescente consapevolezza riguardo alla CTE e alle sue implicazioni per la salute degli atleti, il livello della minaccia rimane alto. Ciò è ancor più preoccupante considerando l’assenza di procedure standardizzate per affrontare i traumi cranici dopo la carriera agonistica.

Tutte le federazioni sportive insieme alle singole società e agli stessi atleti devono considerare seriamente i pericoli connessi ai colpi ricevuti alla testa; è necessario mettere in campo strategie preventive efficaci. Tra queste rientrano dispositivi protettivi avanzati e un’applicazione scrupolosa dei protocolli relativi ai traumatismi cranici. Il progresso nella comprensione della salute mentale accanto a quella fisica degli sportivi costituisce una tappa fondamentale nel percorso evolutivo del settore; questo è reso evidente anche dai tragici esempi forniti da figure iconiche quali Mike Webster e Helen Maroulis.

L’esperienza vissuta da Mike Webster serve come monito incessante sull’urgenza di prestare maggior attenzione al bien-être duraturo degli sportivi. La corretta informazione sui rischi associati, insieme a un’assistenza medica non solo necessaria ma anche inclusiva sul piano psicologico, può risultare decisiva nel miglioramento della qualità della vita delle persone impegnate nello sport competitivo altamente specializzato; ciò potrebbe contribuire sostanzialmente ad evitare epiloghi drammatici nei loro percorsi esistenziali.

Affrontare il trauma: strategie e resilienza nella riabilitazione

L’infortunio sportivo, sia esso un danno fisico o un trauma cranico, innesca un complesso processo emotivo che va oltre il dolore fisico e la limitazione funzionale. Nella fase acuta post-infortunio, le emozioni possono essere molto intense, spesso caratterizzate da shock iniziale, paura, rabbia, rifiuto, frustrazione e un senso di perdita. La psicologia dello sport offre strumenti fondamentali per affrontare questi aspetti emotivi e cognitivi. Un percorso di riabilitazione psicologica mira a supportare l’accettazione dell’evento traumatico e a facilitare il recupero globale dell’atleta.

Diverse tecniche terapeutiche possono essere impiegate, spesso derivate dalla terapia cognitivo-comportamentale (CBT). La CBT aiuta gli atleti a identificare e modificare i pensieri disfunzionali legati all’infortunio, promuovendo un approccio più realistico e costruttivo al recupero. Inoltre, la mindfulness è stata riconosciuta come uno strumento efficace per sviluppare la consapevolezza e ridurre l’ansia [Calzetti-Mariucci 2024].
L’idea di resilienza, intesa come la capacità di far fronte alle difficoltà e riorganizzarsi dopo episodi traumatici, si rivela fondamentale per gli sportivi colpiti da infortuni. È tuttavia importante evidenziare come questa qualità non risieda nell’indole del singolo; invece, è possibile costruirla e raffinarla attraverso adeguati interventi psicologici. Inoltre, il sostegno fornito deve trascendere i confini temporali del post-infortunio: le ricadute o i nuovi segni distressanti potrebbero apparire con l’evoluzione della situazione personale dell’atleta a distanza di mesi dall’accaduto. Pertanto diventa imperativo stabilire programmi di follow-up continuativi volti a preservare non solo l’integrità fisica, ma anche il benessere mentale degli atleti interessati.

L’importanza di un approccio olistico e consapevolezza per il futuro

L’interrelazione tra traumi legati allo sport e benessere psichico duraturo richiede una ridefinizione della nostra visione riguardante l’atleta. La figura dell’atleta non può più essere vista esclusivamente come un’entità fisica da trattare; è essenziale apprezzarne l’integrità personale: ogni atleta possiede anche una dimensione emotiva e mentale meritevole della stessa cura riservata alla fisioterapia. I casi emblematici di Helen Maroulis insieme a quello altrettanto significativo di Mike Webster, nonostante il diverso esito delle loro esperienze sportive, evidenziano quanto possa rivelarsi fragile l’equilibrio psichico degli atleti ed il bisogno cruciale che viene dalla disponibilità a ricevere assistenza adeguata.

L’ambiente culturale dello sport deve necessariamente adattarsi ed incoraggiare la creazione di un contesto dove cercare sostegno per difficoltà mentali venga percepito come un sintomo di coraggio anziché di fraquezza. Risulta imprescindibile che allenatori, dirigenti, compagni d’attività atletica così come l’opinione pubblica siano formati sui potenziali effetti collaterali sul piano psicologico derivanti dai colpi subiti nello svolgimento dell’attività agonistica; è essenziale sviluppare abilità capaci di identificare segni rivelatori di inquietudine interiore. Esaminando una concezione più moderna della cognizione umana si potrebbe investigare su quali modalità i colpi subiti all’interno dell’agone influenzino le immagini interne suggerite agli atleti circa loro stessi, riguardo al proprio fisico oltreché all’ambiente circostante.

L’obiettivo finale è un’investimento fondamentale per il benessere e il successo a lungo termine degli sportivi, affrontando l’infortunio invisibile con la stessa serietà dedicata alla riabilitazione fisica.



Articolo e immagini generati dall’AI, senza interventi da parte dell’essere umano. Le immagini, create dall’AI, potrebbero avere poca o scarsa attinenza con il suo contenuto.(scopri di più)

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