- Nel 2023, 3.039 decessi e 224.634 feriti a causa incidenti stradali.
- Oltre 500 casi di traumi maggiori l'anno nel nosocomio di Cuneo.
- Il trauma di Tipo II ha prognosi sfavorevole e dissociazione.
Nel contesto attuale delle piaghe sociali, gli incidenti stradali emergono come un problema di grave rilievo. Tali eventi non colpiscono solamente le vittime dirette attraverso lesioni fisiche considerevoli – quali traumi cranici, lesioni spinali e fratture che possono necessitare dell’intervento immediato dei servizi di elisocorso – ma causano anche danno all’equilibrio psichico delle persone presenti nei pressi della scena dell’incidente.
Nel corso del 2023, i dati segnalano il triste bilancio di 3.039 decessi dovuti a incidenti stradali in Italia. Sono stati registrati inoltre ben 224.634 feriti, accompagnati da un totale stimato di 166.525 sinistri automobilistici. Sebbene si osservi una modesta contrazione delle mortalità pari al (-3,8%) rispetto all’annata precedente (2022), il numero complessivo degli eventi traumatici ha subito una flessione: gli incidenti all’interno della medesima fascia sono aumentati rispettivamente dello (+0,4%) per quanto concerne gli scontri e a seguire +0,5%(+) per quanto riguarda le ferite riportate dalle persone coinvolte. [ISTAT]. L’ospedale Cardarelli di Napoli ha lanciato un allarme sui ricoveri in codice rosso, spesso minorenni, vittime di gravi traumi della strada, sottolineando l’urgenza di una riflessione estesa oltre il danno fisico immediato. Nel nosocomio di Cuneo, si registrano oltre 500 casi l’anno di traumi maggiori correlati a sinistri stradali, evidenziando il ruolo cruciale della Medicina d’Urgenza ed Emergenza nel salvare vite umane. Questi eventi, lungi dall’essere semplici accadimenti meccanici, si trasformano in esperienze minacciose estreme, insostenibili e inevitabili, capaci di scuotere le fondamenta della psiche umana.
Il trauma, inteso come una “ferita” che rompe la normalità e ha un impatto negativo sulla persona, si manifesta in diverse gradazioni: da disagi soggettivi legati a pericoli percepiti ma limitati, a condizioni che minacciano l’integrità fisica o la vita stessa, propria o dei propri cari. Nonostante la gravità di tali esperienze, le risposte individuali sono un ventaglio di possibilità, dal recupero completo a reazioni più severe che impediscono il ritorno a una vita normale. Questo panorama è ulteriormente complicato dall’alta esposizione al trauma per i soccorritori, i testimoni e la comunità in generale, rendendo necessaria una robusta strategia di supporto psicologico.
- 3.039 morti (-3,8% rispetto al 2022)
- 224.634 feriti (+0,5%)
- 166.525 incidenti (+0,4%)
Un esempio recente che ha catalizzato l’attenzione pubblica e che serve da lente d’ingrandimento su queste dinamiche è stato lo scontro tra un’Ape e un camion avvenuto un giorno fa a Rolo, in provincia di Reggio Emilia. L’incidente, causato apparentemente da un abbaglio del sole che ha spinto il veicolo a tre ruote nella corsia opposta, ha coinvolto un pensionato di 89 anni. L’anziano, cosciente ma dolorante, ha riportato traumi agli arti inferiori e un trauma cranico, trasportato d’urgenza all’ospedale Santa Maria Nuova di Reggio. Fortunatamente, l’urto con la fiancata del camion ha evitato conseguenze ben peggiori, ma l’immediata mobilitazione dei soccorsi, inclusi ambulanza, automedica e vigili del fuoco, e l’attivazione dell’elisoccorso (poi dirottato su un altro intervento), rendono l’idea della gravità potenziale e del forte impatto emotivo di eventi simili.
I diversi incidenti menzionati presentano però un denominatore comune: l’esposizione potenziale a esperienze traumatiche. Questo fenomeno non colpisce esclusivamente coloro che ne sono direttamente coinvolti; è infatti rilevante per i soccorritori, i testimoni o addirittura per l’intera comunità.
L’ombra del trauma sui soccorritori: diretto e vicario
L’ambito degli interventi d’emergenza è intrinsecamente caratterizzato dall’esposizione a scenari potenzialmente traumatici, costringendo i professionisti coinvolti a confrontarsi con contesti estremamente gravosi. Questi soccorritori — vigili del fuoco e personale sanitario inclusivi — affrontano giornalmente situazioni dotate di un significativo carico psicologico ed emotivo. Tali circostanze non soltanto richiedono abilità tecniche elevate, ma anche un’abilità relazionale e gestionale delle emozioni ben sviluppata. È qui che entra in gioco la disciplina della psicologia applicata al soccorso; essa si concentra sul riconoscimento delle varie manifestazioni della sofferenza mentale: dalla forma temporanea fino ai disturbi severissimi quali il Disturbo Acuto da Stress (DAS) e il Disturbo Post-Traumatico da Stress (PTSD).
Secondo quanto riportato nel DSM-5, il trauma è descritto come l’esperienza diretta oppure indiretta legata ad avvenimenti capaci di provocare morte imminente, ferite significative oppure episodi di violenza sessuale. Per gli operatori del soccorso, tale esposizione ha due modalità: quella diretta, ovvero quando essi stessi vivono le minacce o gli orrori annessi all’incidente; oppure quella vicaria: quest’ultima descrive una situazione dove i professionisti sono sottoposti costantemente alla visione cruda e straziante degli eventi tragici – basta pensare alla dolorosa raccolta dei resti umani. Quest’ultima forma di trauma è particolarmente insidiosa, poiché si insinua attraverso l’empatia e il coinvolgimento emotivo con le vittime, lasciando un segno profondo anche senza un’esperienza diretta di pericolo fisico.
- Sintomi di evitamento (evitare luoghi o eventi associati al trauma)
- Alterazioni cognitive e umorali (depressione, irritabilità)
- Alterazione della reattività (ipervigilanza, problemi del sonno)
Il concetto di traumatizzazione vicaria descrive la possibilità che un soccorritore viva in prima persona il trauma altrui, assorbendone in qualche modo l’impatto emotivo. I sintomi che possono manifestarsi sono molteplici e variegati, anche se non tutte le persone reagiscono allo stesso modo. Dopo un evento traumatico, l’organismo e il cervello umano innescano risposte di stress fisiologiche che, nella maggior parte dei casi, tendono a risolversi naturalmente. Questo avviene grazie alla capacità intrinseca del cervello di elaborare le informazioni e integrarle nel sistema di memoria, ricollocandole in modo adattivo. Tuttavia, quando questo meccanismo fallisce, lo stimolo stressante persiste come una forte stimolazione sensoriale, capace di rievocare ricordi intensi e disturbanti, spesso legati a odori, suoni o immagini che caratterizzavano lo scenario dell’incidente. Questa esperienza traumatica può rimanere “dissociata” dal resto della psiche, sfociando in una specifica sintomatologia. Le reazioni immediate possono spaziare da pianto intenso, rabbia e paura, a comportamenti estremi come agitazione psicomotoria o il freezing, una risposta difensiva di “congelamento” che impedisce di reagire, pensare o agire.
Il supporto psicologico per i soccorritori è fondamentale, data la loro esposizione costante a eventi traumatici. Interventi precoci possono mitigare effetti a lungo termine come il PTSD.
Nel lungo termine, le conseguenze di un trauma non elaborato possono includere un senso di impotenza e mancanza di controllo, dolore per le perdite subite, senso di colpa (ad esempio per essere sopravvissuti), ansia profonda, incubi notturni e flashback intrusivi. Possono emergere sensazioni di vergogna, alienazione, e un persistente desiderio di tornare alla normalità precedente all’evento. Se il processo di adattamento è rallentato o impossibile, possono insorgere disagi come mancanza di motivazione o attacchi di panico. La distinzione tra trauma di tipo I (evento unico e inaspettato, con prognosi di terapia favorevole e remissione rapida della sintomatologia) e trauma di tipo II (serie di eventi connessi o trauma prolungato, con rievocazione meno frequente ma tendenza alla dissociazione e schemi interni disfunzionali, associato a PTSD e prognosi sfavorevole) aiuta a comprendere la complessità delle reazioni post-trauma.
- È confortante vedere un'analisi così approfondita... 😊...
- L'articolo ignora completamente le responsabilità individuali... 😠...
- E se il vero trauma fosse la perdita di controllo... 🤔...
Criteri diagnostici del disturbo da stress acuto e PTSD nel DSM-5
Il DSM-5 ha integrato nella sua struttura un capitolo specifico sui disturbi associati a eventi stressanti e traumatici. In tale contesto trovano collocazione il Disturbo Acuto da Stress (DAS) e il Disturbo Post-Traumatico da Stress (PTSD), entrambe le condizioni classificate secondo criteri puramente sintomatici. Per stabilire una diagnosi valida per il DAS è fondamentale che vi siano stati episodi legati alla morte concreta oppure alla sua minaccia grave, incluse situazioni come gravi lesioni fisiche oppure violenze sessuali. Questa esposizione può avvenire attraverso esperienze dirette oppure assistendo agli avvenimenti traumatici vissuti da altre persone; essenziale è anche apprendere riguardo a fatti accaduti ai propri cari o agli amici intimi; si considera inoltre la ripetuta ed estrema esposizione ai dettagli brutali dell’evento, un esempio chiaro possono essere i primi soccorritori impegnati sul campo. È importante evidenziare come il Criterio A4 escluda l’esposizione ai contenuti mediatici se non connessa ad attività professionali specifiche: ciò pone in rilievo l’importanza della connessione diretta o indiretta con le scene cariche di eventualità traumatizzante.
Per quanto riguarda la classificazione del DAS, sono richiesti almeno nove sintomi diversi distribuiti nelle seguenti aree: tra questi troviamo memorie intrusive ripetitive, incubi dovuti al trauma, fenomenologie dissociative (quali flashback vividi ovvero sentimenti d’irrealismo), intensa angustia psicologica ma anche fisica collegata alle reminiscenze dell’accaduto ed una continua difficoltà nel provare stati emotivi positivi. La presenza di un disagio deve essere considerata clinicamente significativa, tale da influire negativamente sul funzionamento sociale o professionale dell’individuo. Nel caso del PTSD, la diagnosi avviene quando i sintomi perdurano oltre un mese, con possibilità di presentazione a qualunque età; tipicamente l’insorgenza si verifica nei primi tre mesi dopo l’evento traumatico, sebbene possa anche manifestarsi in modo ritardato. È cruciale sottolineare che le terapie non farmacologiche tendono ad avere una maggiore efficacia rispetto ai trattamenti farmacologici nel trattamento del PTSD. [Thesis Università di Padova].
La resilienza e il supporto psicologico nelle emergenze
Di fronte all’imponente complessità del trauma e delle sue mille sfaccettature, emerge l’importanza cardinale della resilienza, quella capacità intrinseca dell’essere umano di adattarsi e resistere agli eventi minacciosi. Non si tratta di una qualità statica, bensì di un percorso dinamico, una competenza che può essere coltivata nel tempo e plasmata dalle esperienze vissute.
La crescente consapevolezza dell’importanza del supporto psicologico ha portato allo sviluppo di iniziative specifiche per i soccorritori. Progetti come ANIA CARES hanno introdotto protocolli di pronto soccorso psicologico dedicati al trattamento dei traumi legati a incidenti stradali e all’assistenza alle vittime e alle loro famiglie. Interventi mirati includono il supporto psicologico a soccorritori e testimoni, sottolineando la necessità di un approccio olistico che consideri il benessere mentale con la stessa urgenza della salute fisica.
Questo campo analizza come le persone reagiscono a situazioni di crisi e fornisce strategie per mitigare l’impatto psicologico di tali eventi. L’intervento del soccorritore non può prescindere da una solida expertise professionale, ma deve altresì integrare una sostanziosa abilità relazionale ed emotiva. Questo duplice aspetto si rivela cruciale per tutelare il benessere psico-fisico dei protagonisti coinvolti. Infatti, le loro attitudini all’adattamento e alla gestione delle esperienze traumatiche trovano frequentemente sostegno in quelle strategie indispensabili, come il consulto con operatori più esperti, l’assimilazione delle lezioni apprese dalle emergenze passate e l’aggiornamento continuo attraverso corsi formativi.
Nonostante ciò, oltre a tali comportamenti difensivi, ci sono vari aspetti predisponenti capaci di amplificare le fragilità individuali; queste condizioni aumentano significativamente il rischio di incorrere in traumi dopo eventi altamente ansiogeni. Di conseguenza, risulta imperativo garantire nella sfera della psicologia dell’emergenza un’assistenza psicosociale ad hoc non solo destinata alle vittime dirette delle disgrazie o dei lutti sofferti, ma altresì ai soccorritori stessi.
Riflessioni sul trauma vicario e la salute mentale
Il viaggio attraverso le dinamiche del trauma, sia esso diretto o vicario, e l’esame dei suoi effetti su soccorritori e testimoni, ci spinge a una riflessione più ampia sulla salute mentale in un contesto di costante esposizione a eventi potenzialmente sconvolgenti. Dal punto di vista della psicologia cognitiva, è fondamentale comprendere come il nostro cervello elabora le informazioni relative a un evento traumatico.
Normalmente, il nostro sistema di memoria è in grado di integrare nuove esperienze, ricollocandole in modo “adattivo”. Tuttavia, in caso di trauma, questo processo può essere interrotto, lasciando l’individuo “bloccato” in un’esperienza di vissuto di morte immediata e totalizzante. I ricordi traumatici non sono solo pensieri o immagini, ma possono trasformarsi in stimolazioni sensoriali intense – odori, suoni, sensazioni fisiche – che mantengono l’evento vivo e intrusivo nella mente, costringendo la persona a riviverlo più e più volte.
- PTSD: Disturbo da Stress Post-Traumatico; una condizione psicologica che può manifestarsi in seguito a un evento traumatico.
- CBT: Terapia Cognitivo-Comportamentale; una delle metodologie terapeutiche più efficaci per il trattamento del PTSD.
- ANIA CARES: Progetto per la fornitura di supporto psicologico alle vittime di incidenti stradali.
Questo meccanismo evidenzia l’importanza della regolazione emotiva e della capacità di integrazione delle esperienze, competenze che possono essere sostenute e sviluppate. A un livello più avanzato, la ricerca neuroscientifica ci mostra come il trauma possa alterare la struttura e la funzionalità del cervello, influenzando le reti neurali coinvolte nella paura, nella memoria e nella regolazione delle emozioni. Qualora non vengano affrontate adeguatamente, le alterazioni possono sfociare in fenomeni quali la dissociazione, descrivendo un distacco marcato dalla realtà che funge da meccanismo difensivo estremo.
Il settore della medicina attinente alla salute mentale propone differenti strumenti utili per gestire queste manifestazioni intricate; spazia dalle terapie farmacologiche fino al sostegno fornito da specialisti nella psicoterapia. Tra questi si annovera l’EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing), metodica finalizzata alla rielaborazione dei ricordi traumatici. Comprendere appieno tali dinamiche complesse si rivela cruciale non solamente per gli addetti ai lavori, ma anche nell’ambito collettivo della società. È imperativo riconoscere il loro invisibile fardello, promuovere la resilienza delle persone coinvolte e assicurare un adeguato sostegno psicologico: misure imprescindibili volte all’edificazione di comunità più salubri pronte ad affrontare le sfide.
La riflessione conseguente risulta profonda: a quanto ammonta realmente il prezzo emotivo e psichico imposto da specifiche professioni ed esperienze su coloro che vi si dedicano? Quanto siamo disposti noi stessi—sia come singoli sia nel contesto sociale—ad attivare tutte le risorse necessarie affinché tale cura possa essere realizzata?