- Aggressione a Collegno: un genitore violento contro un portiere 13enne.
- Il portiere ha riportato la frattura del malleolo e sospetta frattura dello zigomo.
- Gli attacchi fisici nel calcio giovanile sono aumentati del 67%.
- Nel 2022-23 si sono registrati 125 arresti e 113 feriti.
- Il 40% degli sportivi ha subito abusi o coercizioni.
Il calcio giovanile piemontese è stato teatro di uno scandalo senza precedenti, facendo sorgere interrogativi inquietanti riguardo al senso autentico dello sport e alle sue funzioni educative. Durante la domenica pomeriggio del noto torneo Under 14 Super Oscar tenutosi a Collegno vicino Torino, un genitore quarantenne si è reso protagonista di un’aggressione violenta nei confronti del giovane estremo difensore tredicenne dell’avversario, rappresentato dalla Volpiano Pianese dopo che la competizione si era conclusa con una vittoria per 1-0 del CSF Carmagnola.
L’incontro aveva visto contrapporsi due squadre in uno spirito competitivo acceso ma non degenerante; tuttavia, nel finale si è generata una situazione turbolenta fra i giovani calciatori. Quello che avrebbe potuto tradursi in nulla più che banali rimostranze o lievi contatti fisici tra adolescenti è diventato ben presto una scena tragica: l’uomo infatti non solo ha oltrepassato la barriera fisica ma si è avventato con violenza sull’estremo difensore avversario. A partire da quel momento l’aggressore – noto come genitore di uno dei partecipanti del Carmagnola – colpisce brutalmente il ragazzo alla testa, prima strattonandolo fino a farlo cadere al suolo e continuando nell’azione violenta anche dopo questa fase iniziale. La scena ha lasciato attoniti e sotto shock allenatori, staff e, soprattutto, i giovani calciatori presenti.
Andrea Mirasola, allenatore della Volpiano Pianese Under 14, ha raccontato i minuti di terrore, descrivendo l’aggressore come “una furia” e sottolineando la paura per l’incolumità del ragazzo. L’intervento tempestivo dei dirigenti e degli allenatori, insieme alla condotta esemplare dei genitori del Volpiano, ha impedito che la situazione degenerasse ulteriormente. Il giovane portiere è stato prontamente trasportato all’ospedale Martini di Torino, dove gli è stata diagnosticata la frattura del malleolo e una sospetta frattura dello zigomo. Un danno fisico significativo che, tuttavia, potrebbe rappresentare solo la punta dell’iceberg rispetto alle profonde ferite psicologiche ed emotive che un’esperienza così traumatica può lasciare in un adolescente.
La giustizia ordinaria è stata immediatamente messa in moto, con la denuncia del padre aggressore per lesioni e l’apertura di un’indagine da parte dei carabinieri per ricostruire l’esatta dinamica dei fatti. La Paradiso Collegno, organizzatrice dell’evento in questione, ha espresso una netta opposizione verso qualsiasi forma di violenza proposta; in questo senso si è raccomandata che entrambe le squadre coinvolte vengano escluse dal torneo quale misura fortemente simbolica. L’episodio, tuttavia deplorevole, è infine inquadrabile all’interno delle crescenti problematiche relative alla violenza nel calcio giovanile nazionale; vi sono esempi chiarificatori recenti dalla cronaca: non possiamo non citare l’assalto subito da un giovane arbitro appena diciottenne lo scorso giugno ad Arezzo, oppure similari dinamiche verificatisi a Catania lo scorso aprile che avevano indotto all’esclusione della compagine interessata dal campionato del 2025-2026.
Questi fatti drammaticamente evocano interrogativi fondamentali riguardo alla salubrità dell’ambiente sportivo e sul ruolo degli adulti, entità deputate a formare ed eventualmente tutelare i ragazzi dedicati all’attività sportiva. Secondo studi recentissimi nei settori correlati al fenomeno della violenza nelle competizioni calcistiche italiane, è emerso che gli attacchi fisici sono aumentati addirittura del 67%; soltanto durante la stagione calcistica del 2022-23 sono stati effettuati oltre centoquattro venticinque arresti, culminando nell’alzarsi dei casi di incontri contrassegnati da feriti fino al numero impressionante di centotredici. [Gazzetta dello Sport]
L’eredità dei traumi infantili: una catena intergenerazionale di disregolazione emotiva e aggressività
Il concetto dell’eredità dei traumi infantili, essenziale nei discorsi sui legami familiari, illumina il modo in cui certe esperienze negative vissute dai genitori possano condizionare le vite dei loro figli. Si osserva così un fenomeno inquietante: i frutti della suffering generazionale vengono trasmessi, dando vita a comportamenti segnati da disfunzionalità emotiva. Non sono solo le ferite fisiche o materiali a passare da una generazione all’altra; ciò che spesso emerge è un modello ricorrente caratterizzato dalla difficoltà nella regolazione delle emozioni, oltre all’insorgere dell’aumento della reattività aggressiva, risultando così un fattore critico per la salute mentale futura. L’incidente occorso al giovane portiere tredicenne a Collegno rappresenta non solo un atto isolato ma anche il rispecchiamento di un problema più vasto relativo alla violenza nello sport giovanile. Questo avvenimento impone una riflessione sulle cause psicologiche profonde che possono alimentare comportamenti simili; è essenziale esaminare l’importanza dei traumi infantili e delle pesanti conseguenze ereditate rispetto allo sviluppo delle emozioni e alla regolazione dell’aggressività.
Numerosi studi condotti nell’ambito della psicologia cognitiva ed empirica rivelano chiaramente che le esperienze avverse subite durante l’infanzia possono generare effetti estremamente negativi e persino duraturi nel tempo. Le statistiche indicano infatti che circa 300 milioni di bambini tra i due e i quattro anni sono soggetti a varie forme di maltrattamento fisico o abuso emotivo; si stima purtroppo che annualmente 40 milioni muoiano per tali condizioni drammatiche. Sebbene questi dati siano allarmanti, ci invitano ad affrontare questioni complesse largamente diffuse nella nostra società.
Gli individui minorenni colpiti da eventi traumatici sembrano spesso sviluppare una modalità alterata nell’elaborazione delle interazioni sociali, indirizzando la loro attenzione verso elementi riconducibili al timore o alla paura. Si osserva un’elevata reattività emotiva, una ridotta consapevolezza delle proprie emozioni, difficoltà nell’apprendimento emotivo e gravi carenze nella capacità di regolazione delle emozioni. Studi pionieristici come quelli di René Spitz nel 1949 sull’abbandono hanno già messo in luce come un prolungato neglect possa condurre a un deterioramento della personalità e a gravi problematiche evolutive, fino al “marasmo” e alla morte nei casi più estremi. Ricerche successive hanno confermato che i bambini maltrattati manifestano maggiori difficoltà nella regolazione delle emozioni rispetto ai loro coetanei.
Un altro aspetto cruciale è la trasmissione generazionale della disregolazione emotiva. Se un genitore ha subito abusi durante l’infanzia, questa esperienza può influenzare profondamente la capacità di regolazione emotiva nella prole. Recenti ricerche hanno messo in luce che i minori esposti a contesti di violenza tendono ad elaborare modelli comportamentali disfunzionali, un fenomeno che incide significativamente nel mantenimento del ciclo di violenza intergenerazionale.
- È orribile quello che è successo, ma concentriamoci sulla pronta risposta......
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- Forse stiamo guardando il dito e non la luna... cosa ha portato......
L’intersezione di sentimenti quali la frustrazione, affermatasi con la presenza di una profonda disfunzionalità, mette in luce come gli adulti segnati da traumi affrontino difficoltà relazionali. La loro esperienza si rivela spesso caratterizzata da un crescente aumento della rabbia, associata a una marcata bassa autostima, esemplificando così i complessi effetti collaterali delle esperienze traumatiche subite.
L’episodio di violenza nel campo di Collegno ripropone la questione della rabbia e della scarsa autostima come componenti centrali nelle esperienze di adulti che hanno subito traumi infantili. Indipendentemente dalle dinamiche specifiche che hanno portato l’uomo a scagliarsi contro il giovane portiere, è fondamentale considerare il bagaglio emotivo e psicologico che potrebbe aver contribuito a una reazione così estrema e violenta.
La rabbia, in particolare, è un fattore di mantenimento fondamentale nello sviluppo del disagio psicologico, soprattutto in coloro che hanno vissuto maltrattamenti. Una recente indagine di Weindl e colleghi ha chiarito come la rabbia e la ruminazione rabbiosa possano essere forme disadattive di regolazione emotiva, influenzate da una scarsa autostima. I risultati di questo studio hanno mostrato che l’autostima mediava il 26% del rapporto tra regolazione emotiva e rabbia, e il rapporto tra regolazione emotiva e ruminazione rabbiosa era mediato per il 57,5% dall’autostima.
La scarsa autostima, d’altra parte, è una conseguenza diretta di esperienze traumatiche vissute in giovane età, un periodo di vulnerabilità critica per lo sviluppo dell’identità personale. La letteratura scientifica ha evidenziato in modo inequivocabile la forte presenza di una componente rabbiosa e di una ridotta autostima negli adulti che hanno un trascorso di traumi infantili.
Oltre la cronaca: la prevenzione della violenza e il ruolo dello sport
Il caso avvenuto a Collegno rappresenta una manifestazione critica della problematica della violenza all’interno del calcio giovanile e rimarca con chiarezza la stringente esigenza di interventi preventivi e strategie specifiche, da attuarsi sia a favore delle vittime sia nei confronti degli autori dell’aggressione. Purtroppo, la brutalità negli sport continua ad affliggere il settore; in particolare, i casi in cui adulti perpetrano atti violenti sui più giovani sono sempre più frequenti. Un sondaggio rivela che circa il 40% degli sportivi ha segnalato esperienze legate a comportamenti abusivi o coercitivi durante la loro carriera atletica; ciò evidenzia come questa tematica non possa essere considerata sporadica o eccezionale. [Change the Game].
La mancanza di strumenti di sensibilizzazione, prevenzione e contrasto in ambito sportivo rende dunque urgente programmare un’azione efficace. Progetti come “Giochiamo D’Anticipo” mirano a sensibilizzare allenatori, genitori e atleti su problematiche legate all’abuso, fornendo strumenti pratici per prevenire e contrastare il fenomeno della violenza [CIPM]. Le disposizioni recenti fissano fondamentali principi guida tesi a garantire la saldatura della sicurezza dei minori, insieme alla battaglia contro le molestie e le discriminazioni. È richiesta, pertanto, l’adozione da parte delle associazioni sportive di specifici schemi organizzativi, ai quali dovrà necessariamente affiancarsi il ruolo di una figura preposta alla salvaguardia da abusi. [Fortune Italia].
Riflessioni sulla resilienza e la responsabilità collettiva
Quando un genitore, che dovrebbe essere un faro di guida e protezione, si trasforma in aggressore su un campo da gioco, non assistiamo solo a un fatto di cronaca, ma a una crepa pericolosa nel tessuto sociale e psicologico delle nostre comunità.
È fondamentale considerare la responsabilità collettiva; non possiamo limitarci a condannare il gesto isolato, ma dobbiamo interrogarci su come la società, le istituzioni sportive e la rete di supporto familiare possano intervenire per spezzare cicli di violenza e disagio. Solo creando un ambiente sportivo sano e culturalmente consapevole è possibile sperare in una vera trasformazione.
- Neglect: trascuratezza o incuria di chi ha responsabilità genitoriale o tutelare verso un minore.
- Ruminazione rabbiosa: pensiero ripetitivo focalizzato su sentimenti e pensieri negativi, che impedisce una corretta regolazione emotiva.
- Daspo: è imposto un bando di accesso agli eventi sportivi a tutte le persone riconosciute colpevoli di atti di violenza.